Giorgio Vasta, la Repubblica 25/5/2012, 25 maggio 2012
LA MERAVIGLIOSA VITA DELLA PUNTEGGIATURA
Un mio compagno di classe, alle scuole medie, scrivendo i temi ricorreva sempre alla medesima strategia: intrattenendo con l´interpunzione un legame fondato su sospetto e prudenza, disseminava il testo di microscopiche scorie bluastre (non a casaccio ma ricorrendo a un criterio talmente privato da risultare impenetrabile). Questo modo di procedere gli serviva a proteggersi dalle eventuali contestazioni che l´insegnante avrebbe potuto muovergli, chiarendo di volta in volta che non di punteggiatura si trattava bensì di macchioline tanto casuali quanto irrilevanti, accidentali sporcature d´inchiostro da imputare soltanto a una Bic difettosa.
Per trasformare il sospetto in fiducia, la prudenza in coscienza, a quel vecchio compagno di classe (una regola non scritta dell´aneddotica prevede che protagonista di situazioni vagamente cialtrone sia sempre un compagno di classe) sarebbe servito leggere Questo è il punto. Istruzioni per l´uso della punteggiatura (Laterza), un libro nel quale Francesca Serafini – italianista, saggista, sceneggiatrice per la televisione e per il cinema – riesce a raggiungere simultaneamente due obiettivi.
Il primo è quello di proporre un prontuario che nel descrivere la norma la assume criticamente, trascorrendo di continuo dalle regole alle eccezioni d´autore, intendendo queste non come un arrembaggio velleitario al canone (per esempio nel caso del paradossale ribellismo marinettiano) ma come quel sistema di lesioni fertili che contribuiscono nel tempo a rinnovare il canone stesso.
Questo è il punto è una bussola per orientarsi in uno strumentario espressivo che evolvendo tramite sedimentazioni e rotture del paradigma viene tradizionalmente percepito come un dispositivo debole, continuamente opinabile, persino arbitrario; se non subentra una pratica interpuntiva adulta, l´uso scolastico sarà l´escamotage semplificante nel quale si cercherà rifugio.
Serafini incoraggia allora a intrattenere con ogni segno un rapporto al contempo consapevole e affettivo (se non affettuoso): a diventare, cioè, autori delle proprie scelte di punteggiatura. Per esempio a riconoscere i due punti non solo come varco d´ingresso a un´elencazione ma anche come il segnale di un impulso della frase a fuggire in avanti, oppure a sentire le parentesi emblematiche di quel bisogno della lingua di precisare se stessa chiosandosi (nonché a inabissarsi famelica nella propria stessa materia), le virgole come il segno che nel non volersi assumere la responsabilità di chiudere il discorso preferendo procrastinare la fine (la virgola è un segno-Sherazade) rivela il desiderio della frase di durare per più tempo possibile; e ancora il saggio di Serafini induce a riconoscere la capacità dei tre puntini di calibrare dissolvenze marcando fisicamente la quota di vuoto presente in ogni testo, così come stimola a essere sobri nell´uso dei punti esclamativi (soprattutto se impiegati per dopare artificialmente il discorso).
Il secondo obiettivo che Questo è il punto fa suo riguarda una scelta di campo. Nel ripercorrere una disputa infinita – quella che contrappone chi pensa alla punteggiatura come a un dispositivo prosodico-pausativo (la concezione per cui la punteggiatura individua pause di diversa lunghezza) a quella che le attribuisce una funzione logico-sintattica – Serafini prende una posizione netta: «La concezione pausativa è il magnete, quella sintattica il Nord». In altri termini, andando oltre le tentazioni di una punteggiatura "respiratoria" (di fatto un´altra allucinazione scolastica di cui liberarsi in fretta), l´interpunzione è sempre funzionale a scolpire la forma del discorso: segmenta cioè il periodare, lega sintatticamente, individua la tonalità emotiva di una frase e, come accade quando si ricorre alle virgolette alte o al corsivo, commenta l´uso di un termine enfatizzandolo o invitando a riconoscerlo criticamente.
Ciò che in questo breve saggio suscita sorpresa e ammirazione è che non circoscrivendo il ragionamento e la scelta degli esempi al solo ambito letterario, ma dilatandosi invece verso contesti quali il cinema, le serie televisive, le graphic novel e internet, l´«esperienza della lingua» descritta da Serafini si configura come una ragnatela di deduzioni e di intuizioni, come una continua sperimentazione di linguaggi eterogenei. Perché tutto è testo, ci sembra di poter dire. L´esistente, se inscritto in una cornice di riferimento, si rende disponibile alla lettura, ed è allora che la punteggiatura interviene per rendere riconoscibili le strutture interne, per segnare eventuali scarti laterali, per annodare o per sciogliere un´andatura.
In altri termini, tutt´altro che essere – come pretendeva quel vecchio compagno di classe – una malattia esantematica, un malizioso morbillo della pagina, la punteggiatura è l´orchestra di segni che abbiamo a nostra disposizione per dare forma alla scrittura. Ricordandoci che senza un direttore consapevole che di continuo osservi e ascolti la lingua, non si genera senso.