Tomaso Montanari e Malcom Pagani, il Fatto Quotidiano 24/5/2012, 24 maggio 2012
GOVERNO NELLA DISCARICA
All’idea di affumicare un patrimonio dell’Unesco, aveva rinunciato persino Manlio Cerroni. L’uomo di Malagrotta. Lo spazzino in grado di bruciare 4.500 tonnellate di immondizia romana, ogni giorno, per decenni. A discarica satura, Cerroni aveva allungato lo sguardo giungendo a Corcolle, Villa Adriana. E aveva girato la testa. Troppi vincoli archeologici, riprovazione e prime pagine internazionali per non decidere di migrare altrove. Più in là dell’intuito di Cerroni, è atterrato il governo di Mario Monti.
LA PRIMA discarica “tecnica” della nuova era rischia di essere anche l’ultima. E mostra crepe in cui si insinuano due antichi tratti nazionali. Lo scempio del nostro patrimonio. E l’impossibilità di dimettersi. Dopo aver ricevuto una lettera del sottosegretario alla presidenza del Consiglio Catricalà in mattinata (“Corcolle non si discute”) Lorenzo Ornaghi minaccia di farlo nel pomeriggio, frenato, non riesce a decidersi e concede un’intervista fluviale a un importante quotidiano nazionale (direttorissimo in attesa per ore) in cui sostiene che in caso di spaventosa figura con il mondo (con Villa Adriana c’è già la certezza) le darà. Premier e Presidente della Repubblica, a Palermo per ricordare Falcone, non ne sanno nulla e, furibondi, niente dichiarano. Ornaghi non vuole complicità, ma urlare le proprie ragioni a Catricalà gli vale solo uno strapuntino (la presenza del ministero al tavolo della conferenza dei servizi) che serve a coprirsi in attesa di tempi peggiori. Lo confortano tutti. Arriva l’abbraccio mortale di Galan, il convinto sostegno di Italia Nostra, l’appoggio inaudito del centrosinistra con Melandri e Orfini. Poi in serata, quello bifronte e contraddittorio del titolare degli Interni Cancellieri (Protezione del prefetto Pecoraro e plauso alla conferma della fiducia governativa- con richiesta di un approfondimento collegiale in Cdm venerdì) e del Guardasigilli Paola Severino. Fuoco. Partito da una scelta demenziale, alimentato dall’interlocuzione escludente tra Pecoraro e Catricalà (convinti sostenitori del sì a Corcolle) con il ministro dell’Ambiente Clini, in Brasile, all’oscuro (sconvolto) di tutto e Ornaghi in condizioni simili e subordinate.
Villa Adriana è una complessa partita di giro in cui considerazioni civili, politiche e soprattutto economiche si inseguono concorrendo a un affare. Bruciare i rifiuti della capitale vale circa 300 milioni di euro l’anno. Ma farlo a Villa Adriana, dopo gli orrori di Pompei, può rendere balcanico il contesto e costare il residuo prestigio artistico di un Paese. L’impressione è che Monti non tornerà indietro, ma la speranza segreta è che le pressioni estere impediscano il golpe e l’ipotesi più probabile è che il braciere incendi gli incubi del prossimo governo.
In quello attuale intanto, mentre il gioco della parti tra Polverini e Alemanno li colloca alternativamente su sponde opposte, si litiga. Al Quirinale, nonostante da alcuni “incontri privati” trapeli la contrarietà e la preoccupazione di Napolitano, nessuno osa mettere in pratica l’articolo 9 della Costituzione “La Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”. Così una questione tanto rilevante finisce per rimanere nelle mani di un solo uomo e le dita scaldate dal cerino sono quelle del prefetto Pecoraro (Bisignani, D’Alema, Copasir, Valmontone), sordo alla proposta di Clini. Dimenticata Maccarese, Il ministro dell’Ambiente individuò il sito di Monte Carnevale, non lo ascoltarono e dopo pochi giorni, una lettera dello stesso ministero della Difesa che manda soldati in Afghanistan a combattere, eccepì sulla scelta avvertendo del rischio delle “onde elettromagnetiche” per i graduati. Pecoraro è deciso a proseguire sulla strada di Villa Adriana. Nessuno, a iniziare da Ornaghi, è in grado di frenare il tafazzismo. Le sue promesse dimissioni vanno inquadrate in una cornice in cui la debolezza del comparto culturale italiano e la sua irrilevanza stringono il cuore. Salvatore Settis aveva chiesto ieri al ministro se il frutto della conduzione del Mibac si sarebbe rivelato «il trionfo dell’incompetenza». Tema dell’invettiva, la biblioteca dei Girolamini a Napoli. Argomento difficile perché contrariamente a quanto dichiarato alla Camera, la nomina del conservatore dei Girolamini (ora indagato) non era stata fatta dai religiosi, ma da un decreto del sottosegretario Cecchi. Corcolle è solo l’ultima puntata di un libro nero. Ed è apparsa a Ornaghi, davvero contrario, come l’ultima occasione di rovesciare il tavolo, distinguersi e cambiare il proprio destino. Consigliato in tal senso, si è mosso. Dalla crisi certa, alla crisi sfiorata, approdando alla crisi rientrata, in poche ore.
ALL’ANSA Ornaghi alle sedici e trenta, un’ora prima di andare da Catricalà, si diceva «contrarissimo» alla discarica. Alla fine, siamo in Italia, la posizione è sfumata. Domani è un altro giorno. A prendere sul serio la boutade è stato forse solo Andrea Carandini, che – con una lettera durissima che avrebbe potuto però scrivere in uno qualsiasi dei mille giorni del suo mandato triennale – ha ritirato la disponibilità ad essere nominato presidente del ricostituendo Consiglio Superiore dei Beni Culturali. Anche per lui (da un mandato scaduto, però), dimissioni a metà. Un nobile gesto ad un prezzo da saldo. A meno che, quando gli spiegheranno di cosa si è trattato davvero, Carandini non le ritiri. Sarebbe la degna conclusione di una tragica farsa da osservare tra lacrime, maschere a gas e cari saluti da cartolina ingiallita firmata Villa Adriana.