Alberto Statera, la Repubblica 25/5/2012, 25 maggio 2012
La confraternita dei "qualcosisti" La scapigliatura di Luca Montezemolo, il leggiadro ondivagare senza una rotta di Emma Marcegaglia, attratta a fasi alterne dalle menzognere sirene berlusconiane, e ieri ancora l´ennesimo stanco rito d´insediamento "qualcosista" del nuovo presidente della Confindustria Giorgio Squinzi
La confraternita dei "qualcosisti" La scapigliatura di Luca Montezemolo, il leggiadro ondivagare senza una rotta di Emma Marcegaglia, attratta a fasi alterne dalle menzognere sirene berlusconiane, e ieri ancora l´ennesimo stanco rito d´insediamento "qualcosista" del nuovo presidente della Confindustria Giorgio Squinzi. Il quale promette che, dopo una battaglia epica con il suo avversario Alberto Bombassei, egli è animato soltanto dalla "missione", parafrasando, forse senza avvedersene, i vecchi leader democristiani che si appellavano allo "spirito di servizio". E negando l´assioma di Gianni Agnelli, secondo il quale in quella poltrona si alternano ormai soltanto "professionisti confindustriali". Non bastano le vaghe evocazioni schumpeteriane del neo eletto bulgaro («il cambiamento per noi imprenditori è un modo di essere») a dare nerbo a una cerimonia già vista un´infinità di volte, che quasi sempre, come ha notato non uno qualunque ma Giorgio Fossa, uno degli ex presidenti, si trasforma in «un oceano di chiacchiere generiche». «Così come è questa Confindustria non serve proprio a nulla», ci soffia all´orecchio uno degli imprenditori che siede sbadigliante nelle prime file e paga un bel pacco di contributi associativi: «Ha ragione Marchionne a starsene fuori». E un altro a ricasco rincara: «Ormai ricordiamo i vecchi partiti che non hanno più niente da dire». Un Beppe Grillo di sicuro qui nell´Auditorium della Musica non c´è. Basta scrutare il tavolo della presidenza - venti facce più o meno note dell´industria privata e pubblica, appena ingentilite da un tripudio di fiori freschi come fosse San Remo - che sembra il palco del Politburo della vecchia Unione Sovietica. E poi, per l´appunto, le parole all´insegna del "Qualcosismo" che perpetua il "Partito dei Qualcosisti", come lo chiamava Francesco Saverio Nitti. «Ci vogliono soluzioni per superare la crisi», dice il neo presidente. Ma cosa? «Qualcosa». Le "priorità" sono tante e tali e così genericamente declinate che non può sfuggire il paradosso: quando le priorità sono troppe non sono più priorità, ma necessariamente posteriorità. La «madre di tutte le priorità», come la chiama Squinzi (del quale sarebbe interessante conoscere il ghost writer) è la riforma della Pubblica Amministrazione, «che ci può aiutare a tornare a crescere». Ma se in cent´anni la Confindustria non è riuscita a smontare il suo elefantiaco apparato burocratico, la sua struttura pletorica e autoreferenziale, come può pretenderlo dallo Stato? Nell´Auditorium ci inseguono nugoli di attacché per presentarci «il nuovo vicepresidente». Uno, due, tre. Ma quanti sono i nuovi vicepresidenti? Undici. Sì, avete capito bene. Undici, più un numero incalcolabile di comitati tecnici, commissioni, 267 organizzazioni territoriali, un numero di dipendenti superiore a quello del ministero degli Esteri, che ha rappresentanze diplomatiche in ogni parte del mondo. Nel palazzo di vetro della Confindustria all´Eur c´è in pratica una duplicazione di ogni funzione della Pubblica Amministrazione da abbattere. Costo del tutto all´incirca 600 milioni di euro l´anno, che molti non vorrebbero più sborsare. Un apparato che non ha l´eguale né in Germania né in Gran Bretagna e forse in nessuna altra parte del mondo industriale. Il ministro Corrado Passera però sta al gioco e in un´enumerazione priva di pathos di quanto sta facendo con il governo "strano", concorda sulla priorità delle priorità confindustriale sulla Pubblica Amministrazione. E cosa promette? Un provvedimento ad horas. No, un "tavolo", un "gruppo di lavoro", una "commissione tecnica" di grandi esperti (ancora tecnici in aiuto ai tecnici?), pur rivendicando al Politburo e alla gelida platea «qualcosa di più che l´enunciazione dei problemi stessi». Intanto lui mobiliterà 100 miliardi in un futuro «non lontano». Per che cosa? Per "Grandi Lavori", che sembrano sinonimo delle "Grandi Opere" che Berlusconi ha propagandato per un paio di decenni, ma che non si sono mai palesate. Poi ci vorrà un "gruppo di lavoro" che stabilisca se convenga fare un paio di autostrade in Sicilia, come si favoleggia, o magari tentare di sistemare il territorio di un´Italia che frana, anche quando non viene devastata dai terremoti. Un regalo di addio alla Marcegaglia, che dice di essere pronta a tornare a Gazoldo degli Ippoliti mentre il suo avversario Montezemolo tardivamente annuncia una mezza discesa in campo politica per salvare l´Italia, in verità il governo lo ha fatto con il pagamento (ma in che tempi? ) di parte dei crediti delle imprese nei confronti dello Stato. Per il resto il cahier de doleances risuonato ieri a Parco della Musica è su uno spartito più che noto: ci vogliono investimenti. Ma chi li deve fare, se negli ultimi lustri molti imprenditori si sono arricchiti e il resto del paese si è impoverito, con un trasferimento di ricchezza dal lavoro al capitale, visto che tra le aziende quotate a Piazza Affari i soldi prelevati come dividendi sono assai più di quelli investiti come aumento di capitale? Ci vuole una riforma del fisco e una riduzione della pressione fiscale. Ma come si fa se l´evasione appare invincibile anche per merito di non pochi imprenditori? «Uscire dall´emergenza - avverte Squinzi - non esaurisce il grande tema di una nuova politica industriale per la crescita». Giusto, ma dov´è, a parte l´ovvia domanda di modernizzazione del paese, il progetto della Confindustria? Uno degli economisti che su questo la canta più chiara è Marco Vitale: «In questi anni, da Confindustria - ha scolpito - non è venuta fuori neanche un´idea degna di nota sul come uscire dalla crisi. Solo vecchie richieste rivestite di attualità in un momento in cui l´imprenditoria avrebbe bisogno di idee, di direzione strategica, di spinte verso il futuro e verso il nuovo». Per concluderne: «Se per un colpo di bacchetta magica la Confindustria sparisse domani, non succederebbe niente di grave». Sciama mogio e silenzioso dall´Auditorium il popolo degli imprenditori, che solo qualche anno fa osannava il grande progetto riformatore del "collega" Berlusconi («il vostro programma è il mio programma») e adesso, incapace di esercitare il ruolo di classe generale, si sente tradito dalla politica. Molti di loro non ricordano o non sanno quanto diceva Alcide De Gasperi nel 1948, ai tempi del "Quarto partito": «Le leve del comando decisive in un momento così grave non sono in mano né degli elettori né del governo». Ma in quelle dei padroni, che dovrebbero ritrovare l´impulso schumpeteriano per trasformare la crisi in un´occasione di sviluppo e crescita. Non di eterna querimonia.