Aldo Grasso, Corriere della Sera 24/05/2012, 24 maggio 2012
PAOLO BORSELLINO E LA FICTION AGIOGRAFICA
La Rai ha fatto benissimo a ricordare il ventennale della strage di Capaci, con vari programmi e appuntamenti di diverso spessore. Anche la fiction «Paolo Borsellino, i 57 giorni» rientrava in questa commemorazione (Rai1, martedì, ore 21.20). È sempre molto difficile parlare di simili argomenti, sopraffatti come siamo dalla commozione, dal ricordo, dal dubbio, dall’efferatezza della mafia e dall’ambiguità di certi apparati dello Stato. Per cui, ancora una volta, è giusto chiarire un principio fondamentale: qui si parla di fiction, cioè di rappresentazione della realtà. La gravità del contenuto non può far passare in secondo piano questo metodo di affidare al calendario la discorsivizzazione della storia: basta sfogliarlo e creare infinite possibilità di eventi e di anniversari. Ma così è inevitabile che prevalga la maniera, l’attitudine agiografica. In questo modo, la storia di un vero eroe civile diventa un «santino», uno dei tanti che Rai Fiction ha creato in questi anni.
Francesco Scardamaglia, sceneggiatore, e Alberto Negrin, regista, sono molto versati a eseguire questo compito: a loro basta un attore (in questo caso il pur bravissimo Luca Zingaretti), qualche battuta a effetto, una regia priva di una qualsivoglia invenzione linguistica e pazienza se Borsellino finisce per assomigliare un po’ troppo a Montalbano.
I 57 giorni del titolo sono quelli che separano l’assassinio di Francesca Morvillo, di Giovanni Falcone, della sua scorta da quello di Paolo Borsellino, in quella che è conosciuta come la «strage di via D’Amelio». Come se il suo destino fosse già segnato, il magistrato vive questa lenta agonia fra gli affetti della famiglia e l’ambiguità degli apparati, fra il senso del dovere e la paura più antica. Prima di essere ucciso dalla mafia, Borsellino è annichilito dal senso di incompiutezza, dall’aver capito quasi tutto.
Aldo Grasso