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 2012  maggio 24 Giovedì calendario

LA PISTA DELLA VENDETTA. IL PADRE DI UNA FERITA E’ UN PENTITO DI MAFIA —

Non è più la scena del crimine, ma resta l’unico punto saldo di una inchiesta difficile.
Ieri l’Istituto professionale che porta il nome di Francesca Morvillo Falcone è tornato a essere una scuola. I nastri della polizia scientifica che recintavano l’ingresso sono stati rimossi. Le tracce di quel sabato terribile sono sparite. Solo l’altare laico di fiori e lettere dedicato a Melissa Bassi ricorda a tutti che questa vicenda è ben lontana dalla sua conclusione.
Adesso questo edificio è diventato un mondo da esplorare, perché gli investigatori continuano a non escludere nulla, ma ritengono che in quelle aule, in quegli uffici, possa trovarsi il possibile movente di un delitto ancora senza spiegazioni e colpevoli. L’ipotesi più minimalista tra le tante messe in campo finora non toglie un grammo di pressione a investigatori costretti anche a fronteggiare l’ansia di cittadini legittimamente spaventati dall’idea che là fuori ci sia un bombarolo in libertà e l’urgenza della politica di avere qualche risposta concreta.
Dunque un atto di terrore compiuto non dalla criminalità o dall’eversione organizzata, ma da qualcuno mosso da una motivazione personale, scollegata da qualunque movimento o formazione. Pur sempre di un terrorista si tratta. Le domande fatte dagli investigatori a preside e personale docente riguardano la possibile esistenza di qualche dipendente, presente o passato, che provasse rancore contro l’Istituto. È stato anche chiesto se ci sono mai state segnalazioni di guardoni e potenziali adescatori appostati davanti ai cancelli, e addirittura se qualche genitore avesse manifestato in maniera vistosa il proprio malcontento, segno della volontà di non trascurare alcun aspetto della vita scolastica.
Un bidello ha ricordato che lo scorso 28 aprile una persona «vistosamente alterata» si presentò chiedendo di essere ricevuto dal preside, per andarsene subito dopo proferendo minacce, «ve la farò pagare». Alcuni professori di un istituto vicino hanno parlato di un loro ex collega con il quale non si erano lasciati bene, dotato di fisionomia simile a quella della persona ripresa nel video dell’esplosione, altri hanno segnalato un paio di loro colleghi che hanno avuto dissidi di vario genere con la dirigenza scolastica. Dettagli, storie minime, ma non si butta via niente, quando c’è così poco.
C’è solo da tornare alla casella di partenza, riesaminando ogni traccia. Quella più suggestiva, forse anche la più facile da percorrere, portava a una sorta di vendetta trasversale. A mezzogiorno del primo luglio 2010 Vincenzo Greco, muratore, era stato colpito da due revolverate mentre usciva dalla sua casa di Mesagne. Suo fratello, Antonio, collaboratore di giustizia che vive da tempo lontano dalla Puglia, è il padre di una delle ragazze ferite dalla bomba di sabato. L’agguato era stato attribuito a Francesco e Sandro Campana, eredi al trono della Sacra Corona Unita dopo la cattura dello storico boss Giuseppe Rogoli, che in seguito furono arrestati.
L’equazione parrebbe semplice. Ma nel riavvolgere il nastro, gli inquirenti hanno valutato come all’origine di quell’agguato del 2010 ci fosse un pugno dato da uno dei fratelli Greco a Francesco Campana durante una comune permanenza in carcere, circostanza confermata proprio da Antonio. Come vendetta, poteva bastare. Non solo: un’altra studentessa colpita dall’esplosione ha parenti che vengono considerati come fedelissimi dei Campana.
Mesagne, inoltre, è l’ultima delle nove fermate di un autobus che ogni mattina parte da Francavilla Fontana e percorre la dorsale costiera del brindisino raccogliendo gli studenti di ogni scuola, non solo del Morvillo Falcone. Al tavolo di coordinamento delle indagini che si riunisce ogni mattina non ci crede nessuno, alla pista paramafiosa. Allora, non solo per esclusione, si torna a quella scuola, a qualcuno che forse la conosceva bene, a una mente contorta che la considerava causa dei suoi mali. Con appena qualche convinzione in più e nessuna certezza. Perché di semplice, nell’attentato di Brindisi, non c’è proprio nulla.
Marco Imarisio