Barbara Fiammeri, Il Sole 24 Ore 24/5/2012, 24 maggio 2012
«MAI PIÙ CANDIDATO PREMIER, NON SO SE RESTERÒ IN CAMPO»
Silvio Berlusconi esclude una sua ricandidatura per Palazzo Chigi. Anzi, atterrato a Bruxelles per il vertice del Ppe arriva perfino a mettere in discussione la sua permanenza sulla scena politica: «Non so se resterò in campo». Parole che rapidamente risuonano nell’aula della Camera, dove si sta votando la legge di riforma sul finanziamento pubblico dei partiti, e che inevitabilmente accrescono i timori e la confusione imperante tra le fila del Pdl.
«Angelino lo sai che ti voglio bene...», aveva detto qualche ora prima il Cavaliere durante il faccia a faccia, a tratti drammatico, con il segretario del partito e tutto lo stato maggiore pidiellino. Berlusconi smentisce le «falsità» di quanti gli attribuiscono l’intenzione di voler riprendere la guida del Pdl. Ma le voci insistenti sulla sua voglia di «azzerare» l’attuale vertice, per ripartire con «facce nuove» e tentare così la riaggregazione dell’area moderata, sono troppo numerose per non far risuonare l’allarme a via dell’Umiltà. Lo confermano le dimissioni (respinte da Berlusconi e Alfano) presentate di primo mattino da Sandro Bondi, uno dei tre coordinatori del Pdl, che dice di non poterne più di leggere quello che «anche oggi è stato detto sul Pdl e sulle persone che, come me, in questi anni hanno avuto responsabilità nella gestione del partito».
«Non è vero niente», ripete ai suoi ospiti l’ex premier, prendendosela in particolare con Repubblica («un giornale che fa politica, ostile a noi»). Ma con più o meno enfasi quasi tutti i quotidiani, anche quelli cosiddetti d’area, danno voce ai contrasti interni al Pdl e alla «tentazione» del Cavaliere «di fare piazza pulita». La teoria del complotto ordito dai nemici non convince neppure i più fedeli berlusconiani. Lo sa anche Alfano, che non a caso stavolta non si trincera dietro la consueta riservatezza. «C’è chi avvelena i pozzi», dice il segretario del Pdl conversando con i giornalisti alla Camera. E i presunti "avvelenatori" sono anche all’interno del partito.
«Lo sanno tutti che Berlusconi spesso si lascia andare, che dice cose che pensa solo in parte ma che enfatizza per compiacere l’interlocutore del momento...se poi uno si mette a raccontarle in giro, aggiungendoci anche la sua interpretazione...», dice un ex ministro vicino al Cavaliere. L’indice è puntato soprattutto su Daniela Santanchè e su quell’area alquanto eterogenea di cui fanno parte sia ex An che ex Fi che da tempo lavora affinchè Berlusconi assuma una posizione più radicale.
In realtà il Cavaliere non ha scelto. Non ancora. Ha bisogno di tempo. E lo dimostra l’incertezza sul lancio della nuova «proposta politica», che fino a prima delle elezioni era data per imminente. Berlusconi vuole capire anzitutto come si muoveranno i suoi avversari ma anche i suoi potenziali alleati. La (quasi) discesa in campo di Luca Cordero di Montezemolo, annunciata ieri dalle colonne del Corriere della Sera, non lo lascia affatto indifferente. Tant’è che ne parla volutamente in pubblico. «Non potrà che stare con i moderati», spiega Berlusconi conversando con i giornalisti a Bruxelles. Poco importa che Montezemolo abbia già detto, anzi scritto, di non avere alcun interesse per «alleanze gattopardesche». L’ex premier è convinto di poterlo portare dalla sua parte e con lui Maroni («anche la Lega ha capito che se continua così muore...») e a seguire Casini («non potrà a quel punto tenersi fuori»). Ma come? «Dipende da quel che si offre...», sostiene un dirigente pidiellino. E l’offerta potrebbe essere la premiership, sostenuta da un progetto di riassetto costituzionale di tipo presidenzialista. Per questo ha già lasciato intendere di essere anche pronto ad aprire al doppio turno alla francese, il sistema fino a ieri più inviso al cavaliere e al Pdl ma che tanto piace(va) al Pd. Ma se questa fosse la strategia, l’attuale vertice del Pdl avrebbe ragione a preoccuparsi. Difficilmente qualcuno degli attuali «big» avrebbe infatti la possibilità di mantenere le attuali posizioni e lo stesso peso specifico dentro il partito, che è determinato anche dal numero di seguaci, ovvero di parlamentari. E visto che i posti a disposizione saranno decisamente meno, lo saranno anche i seguaci.