Riccardo Luna, la Repubblica 24/5/2012, 24 maggio 2012
Millecinquecento "geek" riuniti in un auditorium a Pittsburgh per un concorso di brevetti. Ecco chi sono gli scienziati che cambieranno il mondo – L´auditorium del centro congressi di Pittsburgh ribolliva di sudori, gridolini, eccitazione allo stato puro
Millecinquecento "geek" riuniti in un auditorium a Pittsburgh per un concorso di brevetti. Ecco chi sono gli scienziati che cambieranno il mondo – L´auditorium del centro congressi di Pittsburgh ribolliva di sudori, gridolini, eccitazione allo stato puro. Millecinquecento ragazzini di tutto il mondo, compresi cinque italiani, nel giorno più bello della loro vita. È partita la musica a palla, una roba che faceva solo bum-bum-bum, e da un lato è entrato un giovane presentatore di colore che ha iniziato a dire cose come "dammi il cinque fratello! E voi altri, siete caldi?". Se non fosse stato per i pantaloni chiari con la riga perfettamente stirata e la camicia bianca di lino pregiato, lo avresti scambiato per uno dei tanti rapper di strada all´inizio del solito concerto. Ma in realtà era il presentatore della convention, infatti ha subito chiamato sul palco l´ospite d´onore: tal Brian David Johnson. Anche lui giovane, gasato e pelato a lucido. «È il futurista di Intel!» ha detto il simil-rapper citando la supercorporation dei processori che stanno in tutti i nostri pc o quasi. E l´altro lo ha subito stoppato. Ha atteso che si facesse silenzio, ovvero che miracolosamente tutti i millecinquecento ragazzini stessero zitti, poi si è avvicinato al microfono e ha gridato: «I am a geek!». E sul boato che stava facendo tremare il David Lawrence Convention Center, ha aggiunto: «Geeks rock!». Che si potrebbe tradurre così: Sono un geek. I geek spaccano. Oh-oh. Già, ma chi sono i geek e cosa stanno spaccando? Sono i nuovi geni: sono usciti dalle loro stanze, hanno spento i pc e adesso vogliono cambiare il mondo. Pensano di poterlo fare perché sono oggettivamente i più bravi. In che cosa? In tutto quello che fanno, dipende. Sono i curiosi, gli entusiasti di ogni novità, soprattutto tecnologica. In un certo senso ci sono sempre stati: per esempio "Gutenberg era un geek" secondo il guru della rete Jeff Jarvis che ha appena dedicato un libretto all´inventore della stampa a caratteri mobili mettendolo in copertina ma ritoccato con uno dei simboli di questa cultura: gli occhialoni da vista con la montatura nera quadrata. Sì, quelli dei secchioni. Ecco in un certo senso una volta i geek erano solo i secchioni brillanti che impazzivano per i film di fantascienza. Erano i tempi di "Freaks and Geeks", una serie tv di un secolo fa: dodici anni per la precisione. Oggi quel concetto è molto più largo, e riguarda tutti coloro che hanno una passione al limite della ossessione, e che applicano un metodo scientifico o matematico per fare le cose meglio. Perfezionisti come metodo, ottimisti per la fiducia illimitata nella tecnologia, e scettici per natura nel senso che diffidano di tutti quelli che fanno le cose male. A proposito delle scetticismo, uno dei miti viventi dei geek è Ben Goldacre, autore di una rubrica sul Guardian di notevole successo che si chiama Bad Science: in pratica mette alla berlina tutti coloro che sparano panzane pseudo-scientifiche. Esattamente come fa dalla Svizzera il blogger Paolo Attivissimo che si definisce "cacciatore di bufale" e vanta quasi 80 mila follower su Twitter. In un certo senso, i programmatori sono stati i primi geek: scrivere milioni di righe di codice per far funzionare qualcosa richiede metodo e fiducia. "Ma ormai non ci sono più solo i computer, i geek sono ovunque" spiega Chris Anderson, direttore di Wired, il magazine di San Francisco che in vent´anni ha contribuito a far uscire questa cultura dalla nicchia un po´ sfigata dove era confinata all´inizio. Ormai, secondo Anderson, ci sono i cuochi geek, ovvero quelli che cercano un metodo scientifico per cucinare meglio come lo scienziato Nathan Myrvold che dopo essersi occupato della malaria e aver diretto lo sviluppo tecnologico di Microsoft ha scritto un libro per spiegare "la formula della patatina fritta perfetta"; oppure ci sono i giardinieri geek, che analizzano ogni zolla della terra del proprio balcone e individuano i nuovi strumenti per far crescere meglio le piante; e ancora gli sportivi geek, come si vede nel film Moneyball dove il protagonista, effettivamente un po´ sfigato, applica una serie di algoritmi misteriosi per aiutare Brad Pitt a trasformare una squadretta di baseball in un´armata quasi imbattibile. Ma i geek per antonomasia sono gli inventori. Come i millecinquecento ragazzini che la settimana scorsa stavano a Pittsburgh. Erano lì per la Intel International Science and Engineering Fair, ovvero la più importante competizione fra gli studenti di scienze e matematica. Qui non si trattava però di fare a gara per risolvere delle equazioni: qui si trattava di inventare e far funzionare qualcosa che migliori il mondo. Come fece Ben Gulak, tre volte finalista di Isef, tornato quest´anno come star dell´evento: la prova vivente di cosa può diventare un bravo geek. Lui a 17 anni ha inventato Uno, il primo veicolo "transformer", che a bassa velocità si piega in due e viaggia su una ruota sola (ed è elettrico). Adesso che ne ha 22 ha messo sul mercato The Shredder, una specie di skateboard cingolato come un carrarmato, e motorizzato, che può scalare e scendere da qualunque terreno. Piace molto all´industria bellica, pare. Quest´anno l´Isef lo ha vinto, con un urlo degno di una medaglia olimpica, Jack Andraka di Crownsville nel Maryland: è un ragazzino di soli 15 anni che ha presentato una invenzione che fa tremare la voce solo a dirla. Ha inventato una specie sticker per determinare subito, con sangue o urina, se qualcuno ha il cancro al pancreas. Secondo i 1300 giudici della gara, lo sticker di Jack «ha una accuratezza del 90 per cento ed è 28 volte più veloce, 28 volte meno costoso e 100 volte più sensibile degli attuali test in commercio». Come ha fatto un 15enne a realizzare una cosa che potrebbe dare una svolta alla prevenzione del tumore più letale che c´è? «Perché mio zio è morto di cancro al pancreas e mi sono messo a studiare come avrei potuto salvarlo». Studiare è la parola magica. L´Italia a Pittsburgh era rappresenta da due team. Uno formato dalle sorelle Elalim e Jasmine Zen Vukovic, che studiano a Sassari e hanno presentato un progetto che unisce turismo, musica e naturalmente matematica. E un altro, che viene dal liceo De Giorgi di Lecce, formato da Aldo Cingolani, Roberto Fasano e Andrea Paladini. La loro invenzione è un procedimento chimico per rendere idrorepellente qualunque materiale, una cosa che potrebbe avere infinite ricadute di prodotti commerciali. Ma il fatto per cui i tre studenti di Lecce saranno ricordati forse è un´altro. Il giorno della inaugurazione, il 14 maggio, tutti i team sono stati invitati a presentarsi sul palco, lo stesso palco del tipo che urlava "Geeks Rock!", con un poster che rappresentasse il proprio paese. Aldo Roberto e Andrea hanno disegnato l´Italia, in basso ci hanno messo l´uomo di Vitruvio di Leonardo da Vinci, che non è solo un simbolo del genio italiano ma anche una icona dei geek di tutto il mondo. E poi sopra ci hanno messo una scritta, molto impegnativa di questi tempi, che racchiude l´incredibile ottimismo per il futuro che hanno questi ragazzi: "The future Italy belongs to us". Ho chiesto loro perché ne fossero tanto sicuri. Roberto, l´autore della frase, ha risposto così: «I palazzi più alti sono quelli che hanno le fondamenta più forti. Noi italiani siamo la nazione con le «fondamenta» storiche più ampie e forti e quindi saremo noi in futuro a svettare rispetto alle altre nazioni se sapremo dare spazio ai giovani scienziati». Speriamo, ragazzi: che il futuro dell´Italia vi appartenga davvero.