Gian Maria De Francesco, il Giornale 23/5/2012, 23 maggio 2012
Italia fuori da Piazza Affari, ora è degli arabi - Piazza Affari da oggi parlerà arabo. Non è un paradosso né una boutade , ma il risultato della cessione da parte di Unicredit e di Intesa Sanpaolo dell’ 11,5 complessivamente detenuto nel London Stock Exchange (Lse), il gruppo di Foleet Street che dal 2007 controlla Borsa Italiana
Italia fuori da Piazza Affari, ora è degli arabi - Piazza Affari da oggi parlerà arabo. Non è un paradosso né una boutade , ma il risultato della cessione da parte di Unicredit e di Intesa Sanpaolo dell’ 11,5 complessivamente detenuto nel London Stock Exchange (Lse), il gruppo di Foleet Street che dal 2007 controlla Borsa Italiana. L’operazione - un accelerated book building guidato da Morgan Stanley (Banca Imi e Unicredit London branch i due co-bookrunner)- è stata annunciata ieri pomeriggio. Gli istituti guidati da Federico Ghizzoni e da Enrico Tomaso Cucchiani hanno approfittato dell’ottimo andamento sulla piazza londinese di Lse (che ieri ha chiuso a 10,21 sterline) per cedere rispettivamente il 6,1 e il 5,4% ed uscire da un settore non più strategico come quello della gestione dei mercati. Ai corsi di Borsa i 16,6 milioni di titoli di Unicredit e i 14,5 milioni di Intesa valgono gli uni 210 milioni e gli altri 183,4 milioni di euro, ma in genere a questo tipo di deal si applica uno sconto e quindi dovrebbero ricavare meno dei 395 milioni circa del prezzo di mercato. Il risultato, tuttavia, è che l’Italia sarà molto molto minoritaria nella società che gestisce Piazza Affari. Al contrario Milano avrà nel Medio Oriente i suoi principali soci. I due maggiori azionisti di Lse sono infatti la Borsa di Dubai con il 21% e il fondo sovrano del Qatar con il 15%, mentre un altro 35% è in mano a investitori istituzionali. Il nostro Paese è praticamente uscito di scena giacché agli azionisti italiani è rimasto un 3% circa ripartito tra Banca Finnat, Banca Intermobiliare, Emittente Titoli e Banca Sella. Dopo l’uscitadi scena di Monte Paschi e del Banco Popolare, lo zoccolo duro era rappresentato proprio da Unicredit e Intesa. Ma, con la crisi che imperversa dappertutto, mantenere una quota non strategica in un business non correlato all’attività bancaria non aveva praticamente nessuna valenza se non la percezione di dividendi. E così, dopo gli ultimi rialzi (a fine aprile Lse ha toccato un massimo degli ultimi dodici mesi a 11 sterline), è stata presa la decisione finale. Fino al 2007, finché Borsa Italiana era un’entità a sé stante e per giunta non quotata dove il settore bancario italiano aveva la maggioranza, la partecipazione rappresentava una scelta «sistemica», sebbene non core . Il riassetto cambierà volto anche alla governance del London Stock Exchange che ad oggi vede nel cda diversi esponenti italiani, così come stabilito ai tempi della fusione con Piazza Affari. Nel board siedono infatti l’ad di Eni Paolo Scaroni come indipendente, i rappresentanti dei vertici di Borsa Italiana, ovvero Raffaele Jerusalmi ( ceo) e Massimo Tononi (presidente) e Andrea Munari di Intesa Sanpaolo. Sergio Ermotti, ex ad di Unicredit oggi in Ubs, siede nel consiglio come indipendente.