Salvatore Tramontano, il Giornale 23/5/2012, 23 maggio 2012
PRIMI FISCHI A MONTI
I fischi? Non è colpa sua, lo disegnano così. Ci sono momenti in cui la faccia e il vestito da «governo tecnico» non ti fanno sentire a proprio agio. Sei fuori posto. Qualsiasi cosa uno si metta a dire suona stonata. Monti, come è giusto che un premier faccia, è andato in Emilia, tra le case distrutte dal territorio, tra la gente che si è vista crollare una vita addosso. Solidarietà di Stato, certo. Solo che tutta la sobrietà del premier faceva un effetto stoccafisso. Monti stava lì, vestito da tecnico, con i colori del tecnico e la cravatta da tecnico, a cercare le parole giuste da dire in una situazione così disperata. Non ce la faceva a mostrare empatia. Era fermo. Quasi distante. Un po’ incerto su cosa promettere. Così la prima cosa che gli è venuta in mente è stata «ricostruire». Dopo il terremoto purtroppo bisogna ricostruire. Ma cosa?
E qui Monti ha pensato da economista.
Bisogna subito ricostruire il tessuto economico e industriale. Le aziende, le fabbriche, tutto quello che racconta il miracolo emiliano. Vero. Giusto. Solo che qualcuno si è detto: e le case? Di fronte alle case distrutte e alla gente senza più un tetto Monti si è messo a parlare d’aziende. Poi ha capito. E gli è apparsa all’orizzonte la scritta Imu. Far pagare la tassa sulla casa a chi ha la casa in macerie è una presa per i fondelli, dolorosa. Il premier ha fatto due conti e ha proposto di cancellare l’Imu per i terremotati. Non gli è venuta d’istinto. Prima ha pensato al debito pubblico. È normale, visto che è il capo del governo tecnico che deve rimettere in piedi i conti dello Stato. Solo che lì, davanti all’umanità nuda di chi ha perso tutto, i suoi conti sono apparsi come roba da marziano, da robottino, da ragioniere.
Pazienza. L’importante è che poi l’Imu viene, almeno qui, cancellata.
A Sant’Agostino, come a Finale Emilia, si vive il dolore per chi non c’è più e si respira la paura per il domani. Monti fa del suo meglio. Porta la solidarietà dello Stato. Giura che non lascerà sole queste terre. È la prassi. Solo che c’è quella maledetta distanza tra lui e gli italiani che rende tutto sobrio, anzi glaciale. Quando partono i fischi ci si rende conto che non sono di rabbia o di disillusione. Non sono il dolore che si fa sfogo. È la risposta di un’Italia che guarda in faccia i tecnici e ormai vede solo il conto delle direttive europee. E quando hai bisogno di speranza non chiedi conforto ai burocrati. È la sindrome di Monti.
L’uomo giusto nel posto sbagliato.