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 2012  maggio 24 Giovedì calendario

Il pasticciaccio di Facebook - Ofalò delle vanità o commedia degli errori. Decidete voi se preferite la prosa al veleno di Tom Wolfe o i versi melliflui di William Shakespeare per descrivere il fiasco di Facebook

Il pasticciaccio di Facebook - Ofalò delle vanità o commedia degli errori. Decidete voi se preferite la prosa al veleno di Tom Wolfe o i versi melliflui di William Shakespeare per descrivere il fiasco di Facebook. Il debutto sui mercati più anticipato dell’anno, una delle più grandi offerte pubbliche di acquisto nella storia degli Usa, la consacrazione di una società-fenomeno che nove anni fa nemmeno esisteva. Tutte le etichette magniloquenti appiccicate al «social network» da parte di investitori che ci volevano credere e da banchieri che ce li hanno fatti credere si sono dileguate in pochi minuti in un mattino uggioso a New York. La pompatissima Opa di Facebook che si pensava sarebbe andata in orbita sul mercato del Nasdaq venerdì scorso è colata a picco, vittima di errori di computers, hybris umana e paure recondite dei mercati. In pochi avrebbero previsto che la vita in Borsa di Facebook sarebbe iniziata così, con azioni che hanno perso quasi un quarto del loro valore in tre giorni (nonostante un piccolo ritorno di fiamma ieri), recriminazioni incrociate tra investitori, Wall Street e Nasdaq e una raffica di inchieste aperte da regolatori di Washington. E’ un pasticciaccio da cui non si salva nessuno e che avrà un effetto deleterio sulla psiche già fragile dei mercati e sulla fede degli investitori, soprattutto i piccoli risparmiatori, nel sistema di redistribuzione del capitale Americano. Il primo colpevole è Facebook, e i suoi dirigenti, che si sono fatti sedurre dalle sirene di Wall Street e hanno spinto per un’Opa gigante - 16 miliardi di dollari che ha dato alla società una valutazione incredibile: 100 miliardi. A pochi giorni dal debutto, alcuni dei primi finanziatori di Facebook, tra cui Goldman Sachs e il dirigente Peter Thiel, hanno raddoppiato, a sorpresa, le quote azionarie che volevano vendere inondando il mercato con tante, troppe, azioni. Venerdì scorso, Nasdaq ci ha messo del suo, commettendo degli errori clamorosi che hanno ritardato l’apertura della quotazione di Facebook di più di mezz’ora e hanno lasciato tantissimi investitori nel limbo, incapaci di sapere se i loro ordini per comprare e vendere azioni fossero stati eseguiti o meno. In un mercato dai ritmi super-veloci, con delle azioni che stavano crollando, le deficienze del Nasdaq sono costate milioni di dollari che la società dovrà restituire ad investitori grandi e piccoli. «Il Nasdaq ha castrato l’Opa di Facebook», mi ha detto un alto dirigente di una banca di Wall Street. «Senza i loro errori grossolani, sarebbe stata un’altra storia». Forse, ma la realtà è che Facebook e le banche, in particolare la Morgan Stanley che è stata a fianco di Mark Zuckerberg e i suoi fin dall’inizio dell’avventura, non sono senza colpe. La voglia di ottenere il massimo dei soldi, di essere i primi della classe e di infrangere record li ha portati ad esagerare. A volere troppo e subito. Il fatto che nessuna delle molte banche che sono state pagate per consigliare Facebook sull’Opa gli abbia detto di andarci con i piedi di piombo la dice lunga sull’indipendenza di Wall Street. I dubbi, legittimi, sulla crescita di Facebook hanno fatto il resto. Con una strategia non provata – l’idea è che le aziende possono catturare milioni di utenti con pubblicità mirate – e una serie di notizie non proprio buone, tra cui la decisione della General Motors di smettere di fare pubblicità su Facebook – non è chiaro se la società di Zuckerberg riuscirà a giustificare una valutazione da 100 miliardi di dollari. Il che non vuole dire che Facebook sia un «dog», un cane d’investimento, la frase usata dagli operatori di Borsa per condannare società senza futuro. Ha 900 milioni di utenti, più di 4 miliardi di ricavi e un brand da far impazzire. La strada dei mercati è lunga, basta chiedere a Google e Amazon.com, che ebbero debutti deludenti ma negli anni seguenti divennero giganti della tecnologia e dei mercati. E se c’è una certezza nel mondo frenetico della compravendita delle azioni è che la memoria dei mercati è cortissima – «tipo ameba», mi ha detto un veterano della Borsa ieri. Facebook è riuscita a raccogliere un sacco di soldi che, se investiti bene, faranno dimenticare presto il passo falso iniziale. Fino ad allora però, né Mark Zuckeberg né i signori di Wall Street e dei mercati si possono considerare i primi della classe.