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 2012  maggio 23 Mercoledì calendario

PAROLA DI LEADER: TRA “VAFFA” E CITAZIONI LETTERARIE

Beppe Grillo applica alla politica un linguaggio da comico. Incorrendo in cortocircuiti semantici su cui la pletora di detrattori prova a far leva per tratteggiarlo come “Berlusconi 2.0”, “Gabibbo barbuto”, “razzista”, “terrorista” e “mafioso”. La forma è sostanza e questo lo espone agli attacchi. Quello che però si sottovaluta è l’efficacia dell’ “errore semantico”. Ci è arrivato persino Silvio Berlusconi. Non è che Grillo ha successo nonostante gli eccessi: ce l’ha anche perché è eccessivo. Nel suo livore da Savonarola incazzoso, molti italiani si identificano. Quando Grillo scrive che “Bersani è un pollo che si crede un’aquila”, quelli che stimano il segretario del Pd – o ne hanno bisogno per sopravvivere come il Pdl – mettono il broncio. Gli altri lo stimano di più. Grillo è arrabbiato, è divertente. Non somiglia ad Enrico Letta e non partecipa alle messe laiche: ciò lo rende un alieno politico . Beppe Grillo ha codificato – in anni di blog e decenni di controinformazione – un linguaggio preciso, reso ulteriormente acuminato dal socio Gianroberto Casaleggio. Giochi di parole, metafore, iperboli e provocazioni su cui i tromboni elucubrano pensosi. Mentre il mondo va da tutt’altra parte. Ecco alcuni topoi grilleschi. Zombie e Titanic. Grillo è manicheo, fosco, senza sfumature. Apocalissi (benché “morbide”), complotti, black-out, Titanic che affondano (con i morituri che brindano prima di annegare). E i politici? Tutti morti. “L’accezione morto vivente può riferirsi a vari tipi di creature fantastiche, come ad esempio zombie, vampiri, mummie, o pdmenoellini”. Un tale scenario alimenta l’idea che gli unici vivi, in grado di “resettare” il sistema, siano lui e il Movimento 5 Stelle.
Io parlo da solo.
Il monologhista Grillo ha tramutato la sua incapacità al dialogo in forza. Niente tivù , niente giornali. Grillo parla solo con il blog o dal pulpito. Conosce i rischi del web e non replica alle critiche (a differenza degli Alfano, Gasparri e Riotta, che si piccano su Twitter coprendosi ulteriormente di ridicolo). A difenderlo sul web ci pensano i grillini. Questo non “abbassarsi” ne esaspera la potenza da Guru.
Psiconano. Come il suo antesignano teorico Giannini – ma anche come Emilio Fede – Grillo usa i soprannomi per esasperare lo scontro. Alzheimer Prodi, Rigor Montis, Topo Gigio Veltroni. La battuta è facile, ma provoca la risata immediata (e quindi il plauso “di pancia” dell’elettore, che non di soli massimi sistemi vive).
Caviglie da mordere. Nella narrazione di Grillo, per dirla alla Vendola, l’avversario non è solo disonesto: è pure ridicolo. Da qui gli aneddoti ridanciani: Maroni che tenta di mordere la caviglia a un poliziotto, la supercazzola di Vendola. O Brunetta che per mettersi le mani in tasca deve sedersi.
Come a Sanremo. Grillo tratta i potenti come trattava all’Ariston i Toto Cutugno e i Jovanotti. Un D’Alema non vale più di Marisa Lauri-to.
Italiani! L’intercalare dei comizi. Serve a prendere le distanze da se stesso. A smitizzarsi. Usando un’autoironia elementare e parodiando Mussolini. Come a dire: “Non prendetemi troppo sul serio”.
Stay Tuned. La chiusura di molti post. “Restate sintonizzati”. Alimenta l’attesa per nuove e magnifiche sorti progressive.
Vecchi e giovani. Grillo si è impadronito del concetto di nuovo, vantando una sorta di copyright sulla Rete. Anagraficamente non è giovanissimo neanche lui, ma lo sono i militanti. Lui sdogana i Pizzarotti, il Pd i Fassino. Quando poi in tivù vengono chiamati i Buttiglione e le Bindi a “spiegare il fenomeno grillino”, sembra di vedere la Binetti che racconta un porno.
Generalizzazioni. Grillo ama insistere sul “tutti uguali”, “destra e sinistra”, “i giornalisti”, “Pdl e Pdmenoelle”. E’ il primo a sapere che non è vero, ma anche la (fastidiosa) generalizzazione rimarca la differenza tra “noi” e “loro”. Gli attacchi – “qualunquista”, “populista”, “demagogo” – fanno nuovamente gioco. Grillo ha calamitato la stima di chi odia la destra berlusconiana e al tempo stesso ritiene il centrosinistra profondamente correo. Se è proprio quel centrosinistra a definirlo “qualunquista”, risplende come una medaglia al valore.
Il figlio Ciro. Da vent’anni tratteggia l’Italia come un paese dove ogni cosa non è illuminata e “tutto è capovolto”. I politici fanno i comici e viceversa. Grillo ricorre all’autocelebrazione (“Io l’avevo detto chi era Craxi”, “Io l’avevo detto cos’era la Parmalat”) e cita Ciro. Il figlio minore, che in virtù della sua tenera età è il solo a comprendere una realtà schizofrenica.
Turpiloquio. Grillo ama rotolarsi nel politicamente scorretto. I “vaffanculo” e “banchieri del cazzo” infastidiscono le anime candide (le stesse che non si scandalizzano se a insultare l’Italia è una Fornero), ma anche l’insulto cementa l’immagine del “fustigacasta”.
Bastiancontrario. Mentre la gauche caviar celebrava Monti e Napolitano come i Garibaldi Bros, Grillo stava fuori dal coro. Rifiutando l’egemonia culturale retorico-buoni-sta. Per i detrattori “sa solo criticare”, per chi lo vota è tra i pochi a non arrendersi. Sfidando i fischi bipartisan, come quando in pieni Mondiali 2006 scrisse di non tifare l’Italia di Lippi.
Gnocchi fritti. Grillo resta in cuor suo un artista e ama infierire sui colleghi. Rimarca le differenze con Sabina Guzzanti, si sportella con Luttazzi e (ieri) ha irriso Gene Gnocchi. Adora la retorica del paladino solitario.
Partigiani. I suoi post hanno spesso riferimenti colti. Letterari, storici. Da una parte lo rendono intellettualmente credibile, dall’altra evocano scenari bellici (“Stalingrado”, “Berlino”) propedeutici all’iperbole della “Terza Repubblica”. O a quella, più impegnativa, di “nuovi partigiani”.