Marina Cappa , Vanity Fair 30/5/2012, 30 maggio 2012
Via Delle Chiaviche: è da lì che bisogna partire. Da questa stradina dal nome emblematico dispersa nella pianura emiliana
Via Delle Chiaviche: è da lì che bisogna partire. Da questa stradina dal nome emblematico dispersa nella pianura emiliana. Conduce a un antico Ospitale, monastero cinquecentesco per il ricovero dei pellegrini, e – dietro – a un tendone da circo, che fu di Darix Togni e che adesso è intitolato al Little King Paolo Rossi. Da qui per tre serate – il 24 e 31 maggio, e il 7 giugno – andranno in onda su Sky Uno le Confessioni di un cabarettista di m. - Esercizi spirituali di rifondazione umoristica. Sono passati vent’anni dall’altro circo televisivo mandato in onda da Paolo Rossi, Su la testa!, e poco meno dal Circo di Paolo Rossi, spettacolo itinerante che ha attraversato l’Italia. Quello che adesso torna in pista sembra però un uomo diverso. Non solo perché ha 58 anni, portati decisamente meglio di alcune stagioni fa. Ma anche perché il «cabarettista di m.» (dove «m» sta per quello che tutti immaginiamo, ma anche per «mestiere» e per Monfalcone e Milano, le città in cui è nato e cresciuto professionalmente) questa volta ha un nuovo obiettivo: «Prendermi meno sul serio». Come: lei uno che si prende sul serio? «Lo so, c’è chi ha fatto di peggio. Ma io stavolta voglio fare uno spettacolo che è una confessione. Mi rimetto in gioco, ma stando al mio posto, una cosa che ormai non capita più a nessuno: i politici fanno i comici, i comici fanno i politici…». Beppe Grillo, un nome a caso. «Mi piaceva molto come comico». Dovrebbe tornare a fare il comico? «Non mi esprimo. Dico solo che io torno a fare il comico». Anche lei si era candidato, nel 2010, in Lombardia, per la Federazione della sinistra. «Era stato un equivoco: non avevo capito di essere davvero candidato, credevo fosse solo una lista di sostenitori». Quanti voti ha preso? «Non l’ho voluto sapere». Tornando al programma, lei parlava di «confessione»: del vero Paolo Rossi? «Sì, racconto episodi di vita personale buffi, come il mio odio per le Feste dell’Unità, pur essendo io di sinistra: il problema è che mi mettevano sempre vicino alla lotteria del maiale». Parliamo di qualcosa di più personale? «I rapporti con l’altro sesso? Adesso sono single, ma ammetto di aver avuto una vita sentimentale abbastanza turbinosa. Temo di non aver ancora capito bene le donne, il che non è poi completamente negativo: così resta un po’ di mistero. E poi vi ascolto di più, ma sarebbe bello che funzionasse in entrambe le direzioni: le donne dicono sempre che gli uomini non le ascoltano, ma loro?». L’amore è una forma di dipendenza, ma lei ne ha avute altre più pesanti, dall’alcol e da droghe. Adesso? «Adesso penso che la vera trasgressione sia la lucidità. Mi alzo alle 7 di mattina, faccio jogging e stretching, sto bene nel mio corpo. È stato un periodo pesante». Quanto è durato? «Il momento peggiore un anno. Ma queste sono battaglie che non finiscono mai, non si può mai dire di esserne usciti». Eppure ne è uscito: come ha fatto? «Gli aiuti servono, certo. Ma la cosa più importante è ascoltare se stessi. E io sono convinto che mi abbia salvato il lavoro, la passione per quello che faccio. Il lato oscuro comunque resiste, l’artista ce l’ha sempre». Non esiste un artista «pulito»? «I teatranti affrontano da secoli ciò che voi umani avete scoperto da relativamente poco: la famiglia allargata, le donne a capo di compagnie, gli attori gay o stranieri, il precariato. Noi siamo vicini alle tentazioni, ed è facile cadere in un “vizio”. Ma è anche più facile che per gli altri uscirne: la soddisfazione, la felicità che ci dà questo mestiere ci aiuta, molto più di quello che succede a un disoccupato che vive in periferia o a una casalinga sola. Siamo privilegiati». Da «privilegiato» ha frequentato anche molte droghe? «Ci sono state anche quelle, ma non intensamente, perché nel mio mestiere non mi avrebbero aiutato. E poi, rispetto all’alcol sono meno pericolose». Perché? «Il bicchiere lo hai sempre a portata di mano, il rischio è in agguato in ogni momento: c’è l’aperitivo, la sera con gli amici, ogni situazione è buona per bere». Ma lei quanto beveva? «Mi bastava pochissimo. Ho il metabolismo veloce. Il fatto che il bicchiere di whisky, o quello che è, ti toglie l’agitazione, le prime volte ti aiuta ad andare in scena». Quindi beveva contro l’ansia? «O in momenti particolari nella vita…». Per esempio? «A me è successo quando mia madre è andata in coma. Quella sera avevo uno spettacolo a Reggio Emilia, davanti a ottomila persone. Mi hanno chiesto se volevo sospendere ma ho rifiutato, sapevo che altrimenti non sarei più riuscito a riprenderlo. Però vedere con un occhio il pubblico che ride e con l’altro poco più in là l’auto che ti porterà all’ospedale da tua madre che muore... D’altra parte, anche questa non è una giustificazione. Credo però che una cosa sia fondamentale per tutti, a qualunque età: avere progetti». La politica può essere un progetto? «Politica è occuparsi dei problemi degli altri. Vuol dire anche svolgere il tuo lavoro con un minimo di coerenza, che è il senso di questo spettacolo». Uno spettacolo dove c’è il circo, anche se lei ha cominciato «in chiesa»... «Da bambino facevo il chierichetto, ho iniziato a fare il comico nel teatro della parrocchia: di pomeriggio frequentavo l’oratorio e la sera la sede degli anarchici. Alla fine, attraverso gli uni ho capito anche gli altri». E il circo lo frequentava? «Da mia nonna, dove passavo l’estate, c’era una compagnia di artisti girovaghi che si fermavano un mese sotto un tendone. Lì mi sono innamorato di un certo teatro popolare. Non a caso poi ho studiato da perito chimico: anche nel teatro mi piace mescolare elementi diversi. Oltre al fatto che amo il brivido del senza rete, non c’è un mio spettacolo che abbia la rete di protezione». In Benvenuti al Nord lei interpretava una sorta di Marchionne delle Poste e nel programma di Fabio Fazio Quello che (non) ho ha fatto un monologo sulla finanza… «Io gioco molto sul visionario, e spesso mi sono trovato ad anticipare cose che poi sono successe. Come quando ho debuttato con lo spettacolo La commedia da due lire lo stesso giorno in cui è scoppiata Tangentopoli, e il tema era proprio quello, oppure quando ho iniziato a parlare dell’Innominabile (ormai lo chiamo solo così) e lui allora era solo un imprenditore edile». Adesso non dovrà più preoccuparsi di nominarlo. «Non sarei così sicuro che sia finito. È come le zanzare: non le vedi ma ci sono». Nelle Confessioni di un cabarettista quanta politica ci sarà? «Ci siamo dati come regola di non nominare nessun politico perché quella satira è vecchia, va a finire che fai la parodia della parodia. E poi, per arginare il presente, abbiamo deciso di parlare soprattutto del passato e del futuro. Con l’aiuto della buona musica, perché in scena con me non ci saranno comici ma musicisti come Ligabue, Bollani, Gianmaria Testa, Vinicio Capossela».