Giuseppe Parlato, Libero 23/5/2012, 23 maggio 2012
I COMUNISTI LASCIARONO GRAMSCI IN PRIGIONE
Non è la prima volta che si affronta la questione del rapporto fra il Pci e Gramsci negli anni della sua detenzione; tuttavia, il recentissimo libro di Giuseppe Vacca, Vita e pensieri di Antonio Gramsci. 1926-1937, (Einaudi, pp. 367, euro 33), costituisce un punto di svolta e di chiarezza negli studi finora dedicati al tema: ineccepibile dal punto di vista documentario e scientifico, del tutto persuasivo e lontano da suggestioni ideologiche e da reticenze di parte dal punto di vista interpretativo.
La storia incomincia con l’arresto di Gramsci, segretario del Partito comunista italiano, da parte della polizia fascista, l’8 novembre 1926. Un mese prima, il politico sardo aveva inviato, a nome dell’Ufficio politico del Pci, una lettera al Comitato centrale del Partito comunista russo nella quale segnava in maniera insanabile e definitiva la sua posizione eterodossa nei confronti della nuova politica di Stalin sul movimento comunista internazionale. In sostanza si trattava di uno dei momenti della lunga lotta fra la tesi del «socialismo in un solo Paese» di Stalin e quella della «rivoluzione permanente» teorizzata da Trockij. In realtà Gramsci era un leninista e non si riconosceva in nessuna delle due parti in lotta, ma il fatto che non fosse favorevole a Stalin lo collocò immediatamente fra i fedeli di Trockij, almeno agli occhi del nuovo leader del Cremlino.
Non appena in carcere, si aprivano per il politico sardo quattro possibilità: poiché pochi erano i capi d’accusa, era probabile che lo rilasciassero o che fosse condannato a una mite pena detentiva; in caso di pena particolarmente lunga, invece, si riteneva possibile la liberazione del detenuto per scambio a livello diplomatico ovvero si riteneva possibile la concessione della libertà vigilata. In realtà nessuna di queste ipotesi andò in porto e non tanto per colpa delle autorità fasciste. Anzi, Mussolini a un certo punto, sarebbe stato ben felice di liberarsi dell’ingombrante prigioniero, a condizione che ciò non si fosse trasformato in un successo politico del Pci o in un vantaggio diplomatico per l’Urss. Da questo punto di vista, Mussolini non corse alcun pericolo, perché i primi che vollero che Gramsci restasse in carcere in Italia fu proprio il Pcus e, soprattutto, lo stesso Stalin.
Molte pagine del volume sono dedicate alla famosa lettera di Ruggero Grieco del 10 febbraio 1928: la lettera di Grieco, che allora era uno dei dirigenti più in vista del Pci, fu spedita da Basilea a Mosca e di lì al carcere di San Vittore, a Milano, dove Gramsci era detenuto; essa alludeva a nuovi eventi che avrebbero mutato la condizione del detenuto e di ciò merito principale veniva attribuito al Pci. Ovviamente le autorità di polizia posero estrema attenzione al contenuto delle lettere vanificando le possibilità di una liberazione che le trattative, d’accordo il governo italiano, stavano rendendo possibile. Successivamente, il governo italiano si dichiarò, in via informale, ancora disponibile, ma nessuna richiesta pervenne mai da Mosca.
Vacca sottolinea con efficacia che il governo sovietico non avrebbe avuto alcun vantaggio dalla liberazione di Gramsci: il leader sardo era in disgrazia, soprattutto dopo la svolta del Komintern del 1928-29, e comunque una liberazione si sarebbe trasformata in una riabilitazione del leader comunista presso il vertice dell’Urss, cosa che Stalin evidentemente non gradiva.
La reazione di Gramsci alla lettera di Grieco e alle altre maldestre iniziative del Pci per la liberazione di Gramsci (campagne di stampa, rivelazione delle sue condizioni di salute) fu durissima. Fino all’ultimo sospettò che dietro a Grieco ci fosse Togliatti e che quindi fosse il suo successore a non volerlo libero; tanto che, ai parenti raccomandò di non dare a Togliatti la documentazione che poi diventerà l’opera principale di Gramsci, i Quaderni dal carcere.
Quale fu il ruolo di Togliatti nella mancata liberazione di Gramsci? Intanto mai Togliatti – sul quale il Cremlino aveva puntato come successore di Gramsci – si sarebbe mosso contro Stalin, anche se non fosse stato d’accordo con la politica sovietica; inoltre, come Vacca sottolinea efficacemente, Togliatti non aveva bisogno di sabotare i tentativi di scarcerazione di Gramsci perché alla carcerazione pensava Mussolini e a impedire la liberazione ci pensava Mosca. E anche la lettera di Grieco appare un lavoro in collaborazione fra Komintern e struttura comunista italiana: non a caso il suo percorso fu piuttosto strano, da Basilea a Milano, via Mosca. In tutto questo, Gramsci appare sempre più come un isolato e una pedina. Isolato dal Pci e isolato dal Cremlino. Possibile pedina di scambio per il fascismo, che avrebbe preferito non vederselo morire in carcere, e pedina «bruciata» per tutti gli altri. Da vero comunista, tuttavia, non volle mai ammettere che il maggiore pericolo potesse venire da Mosca, come dimostra il progetto di espatriare in Urss una volta avvenuta la liberazione. Forse, se ne accorse solo alla fine e infatti a un certo punto chiese di potere tornare nella natìa Sardegna.
Coerenza politica e ingenuità, una sintesi che il detenuto Gramsci mostrò fino all’ultimo. Come dimostrò il fatto di fidarsi fino in fondo dell’economista Piero Sraffa. Fu lui a stabilire con Gramsci un consolidato rapporto di assoluta fiducia. Fu lui a rappresentare, all’insaputa di Gramsci, il vero contatto con Togliatti. Fu lui a scagionare Togliatti dall’accusa di essere l’ispiratore della lettera incriminata di Grieco. Fu ancora lui a contravvenire alle disposizioni di Gramsci, passando, d’accordo con Mosca, tutta la documentazione dei Quaderni a Togliatti.
Un destino amaro, quello di uno dei maggiori pensatori politici dell’Italia del Novecento. L’unico elemento di conforto, se così si può dire, è la persuasione che se Gramsci avesse ottenuto la liberazione e l’espatrio in Urss, probabilmente non sarebbe scampato al biennio delle terribili purghe di Stalin, quelle che nel 1937-38 liquidarono in primo luogo quanti dissentivano dal potere staliniano.
Giuseppe Parlato