Sergio Rizzo, Sette 18/5/2012, 18 maggio 2012
Regioni d’oro con le tasche bucate – Sono ancora lì, sdraiati sulla schiena, esattamente dove li avevamo lasciati quasi due anni e mezzo fa, mentre il portiere sfoglia distratto per l’ennesima volta la Gazzetta del Sud
Regioni d’oro con le tasche bucate – Sono ancora lì, sdraiati sulla schiena, esattamente dove li avevamo lasciati quasi due anni e mezzo fa, mentre il portiere sfoglia distratto per l’ennesima volta la Gazzetta del Sud. E fa male al cuore. I bronzi di Riace dovevano essere dentro il museo di Reggio Calabria già da un anno: invece non si sono mai mossi dall’androne di Palazzo Campanella, la sede del Consiglio regionale a Reggio Calabria, dove alla fine del 2009 avevano allestito una sistemazione provvisoria. Dignitosissima: i visitatori potevano ammirare i bronzi adagiati su appositi supporti mentre dei bravissimi restauratori si prendevano cura di loro. Dovevano restarci un annetto al massimo, giusto il tempo per i lavori al museo che dovevano essere completati per le celebrazioni dei 150 anni dell’Unità d’Italia. Invece sono passati quasi 29 mesi. E fatalmente le due meravigliose statue di bronzo che tutto il mondo ci invidia, ma che noi a malapena sappiamo di avere, si preparano a festeggiare il quarantesimo compleanno del loro ritrovamento (la storia dice che vennero scoperti dal sub dilettante Stefano Mariottini il 16 agosto del 1972) in posizione supina, dietro la grande vetrata e sotto gli sguardi stupiti delle scolaresche e degli scarsissimi visitatori: sabato 5 maggio, alle cinque del pomeriggio, ce n’erano tre. E il cantiere si fermò. E pensare che i politici calabresi, per evitare che fossero portati via da Reggio Calabria, con la scusa che il museo dov’erano esposti andava sgombrato per i lavori, avevano minacciato una rivolta da far impallidire quella di Ciccio Franco del 1970. Risultato: come al solito il costo delle opere è lievitato, i soldi sono finiti e il cantiere si è fermato. Per finire e rimettere i bronzi al loro posto manca qualche milioncino. Cinque, in particolare, li deve tirare fuori la Regione. Ma reperirli dev’essere stata una vera impresa se è vero che si è dovuto aspettare fino a qualche giorno fa per avere la lieta novella. Anche se i soldi, quando servono in fretta, saltano subito fuori. Saltano fuori, per esempio, per iniziative come la fondazione “Calabresi nel mondo” presieduta dal deputato pidiellino Giuseppe Galati, ex sottosegretario all’Industria in uno dei governi di Silvio Berlusconi, cui la Regione ha contribuito con 100mila euro. E saltano fuori anche per migliorare la qualità dell’ambiente di lavoro dei nostri rappresentanti. Una prova? I 129.374 euro spesi per gli arredi e una riverniciatina agli uffici della giunta non appena Giuseppe Scopelliti è stato eletto presidente della Regione Calabria. Fra le fatture anche quella da 9.780 euro di una ditta di articoli sportivi, la Sport world srl. Tanto da far sorgere un legittimo interrogativo: vuoi vedere che il governatore fa ginnastica in ufficio? Si tiene in forma e risparmia tempo. Facendo risparmiare di conseguenza soldi anche ai suoi concittadini. Certo, ci si potrebbe chiedere perché non sia stata impiegata altrettanta solerzia nel cercare i soldi per finire il museo, dato che l’operazione farebbe risparmiare ai calabresi un bel po’ di quattrini. Almeno se è vero, come ha scritto Antonietta Catanese sul Quotidiano della Calabria, che la permanenza dei bronzi a palazzo Campanella costa centinaia di migliaia di euro l’anno. Ma tant’è. Succede al Sud, come succede anche al Nord. Ogni spesa, di solito, diventa un risparmio. Anche se il dubbio che dietro ci sia la fregatura viene sempre. La presidente della Regione Lazio, Renata Polverini, ha annunciato che si farà una nuova società di riscossione regionale. Le sue ragioni: «Naturalmente anche al di là della grande questione che oggi investe Equitalia, abbiamo bisogno di dotarci di un servizio per le nuove funzioni che le Regioni hanno acquisito con il federalismo». Benissimo. La nuova società avrà naturalmente una sede, un numero adeguato di dipendenti e un bel consiglio di amministrazione. Già pregustiamo la lotta fra i partiti e le loro correnti per spartirsi le poltrone. Proprio sicuri che l’operazione si tradurrà in un’economia di spesa? Prendiamo poi il Pirellone, la nuova scintillante reggia della Regione Lombardia, con tanto di eliporto. Per il quotidiano la Repubblica è costata la bellezza di 572 milioni, anche se gli uomini del governatore Roberto Formigoni insistono su una cifra diversa: 400 milioni. Che comunque non sono bruscolini. «La differenza fra costo degli affitti di prima e valore della rata del mutuo attuale si traduce in un risparmio annuo di oltre 4 milioni», argomenta Maurizio Vitali, direttore di Lombardia notizie. Che cos’è? L’agenzia di stampa della Regione. Avete capito bene: Formigoni dispone di un’“Ansa” regionale pagata dai cittadini. Esiste dal 1990 e oltre al direttore ha 12 (dodici) giornalisti. L’importante è comunicare. Il consiglio regionale del Lazio, invece, non ha mai pubblicato la rivista che aveva progettato. Anche se la delibera che stanzia 30mila euro come compenso per il direttore non è mai stata annullata. Il progetto è sfumato quando ne hanno parlato i giornali, facendo capire che non si trattava esattamente di una spesa essenziale. In compenso si spende un milione e 4mila euro per “acquisizione di servizi di informazione e comunicazione istituzionale per le necessità del consiglio regionale del Lazio”. Contributi a giornali ed editori locali sotto forma anche di inserzioni pubblicitarie. Citiamo a caso: 20mila euro a Extra tv, 10mila a Editoriale Studio uno, 50mila a L’inchiesta, 10mila a Tele Tuscia, 20mila a Paese sera, 10mila ad Agenparl, 10mila a Italia sera, 70mila a Teleuniverso, 20mila a Canale Italia, 10mila a L’Agone nuovo, 30mila a Qui magazine… Una goccia nel mare, direte. Asciugarla forse non risolve nulla. Ma il mare non è forse fatto di tante gocce? I rivoli in cui la spesa pubblica si disperde in periferia, lontano dai riflettori, sono così tanti che una spending review seria per tagliare finalmente i costi inutili non potrebbe che iniziare da qui. Cominciando a tappare migliaia di piccole falle. Restiamo nel Lazio. Qualche settimana fa la Corte dei Conti ha condannato il signor Raniero Vincenzo De Filippis a pagare 750mila euro di danno erariale alla Regione di cui è dirigente. La causa? Per sette anni De Filippis è stato commissario liquidatore della Comunità montana Gronde dei Monti Ausoni, nella Provincia di Latina. Doveva liquidare, invece assumeva. Ha assunto, è la contestazione mossa dai giudici, ben 23 persone poi passate in pianta stabile alla Regione. Una ragazzata, se si pensa a quello che è accaduto in Sicilia. La Regione siciliana ha a libro paga 19.165 dipendenti: un numero abnorme, tanto più considerando che i dirigenti sono più di duemila. Ma a quei quasi 20mila stipendi si devono sommare le retribuzioni di 27.374 precari. I soldi transitano attraverso un’Agenzia per l’impiego che un anno fa “impiegava”, appunto, 103 persone di cui 17 dirigenti. Il più alto in grado aveva uno staff di 25 addetti. Presidente dell’Agenzia, Silvio Marcello Maria Cuffaro: fratello dell’ex governatore Totò Cuffaro, nientemeno. Il tutto nonostante esista una società regionale che ha più o meno gli stessi compiti. Si chiama Lavoro Sicilia e ha un consiglio di amministrazione di tre persone: l’ex vicecapo di gabinetto del governatore Raffaele Lombardo, l’ex capo della segreteria tecnica dell’ex ministro Mariastella Gelmini e un ex consigliere regionale del Pd. Per non scontentare proprio nessuno. Giusto qualche giorno fa proprio quei precari sono stati protagonisti di un durissimo scontro fra Lombardo e il commissario dello Stato Carmelo Aronica. Quest’ultimo ha impugnato 80 norme della manovra economica regionale. Una in particolare: quella che autorizza la Regione a indebitarsi per 558 milioni garantendo così anche gli oltre 27mila stipendi. Aronica ha ragione da vendere. La legge impedisce alle Regioni di fare debiti per la spesa corrente. Già. Avrebbe potuto replicare Lombardo: allora come mai la Regione Campania ha pagato per anni gli stipendi di 4mila forestali con i soldi prestati dalle banche? Si è invece limitato ad ammonire: «Volete vedere 50mila persone sul lastrico?». Fa più paura. Quanto costa avere un parere. Per non parlare delle consulenze. Una stima parziale resa nota recentemente dalla Funzione pubblica dice che lo scorso anno sono diminuite dell’8%. Ma la cifra resta enorme: 700 milioni. Gran parte dei quali sono responsabilità di Regioni, Province e Comuni. Una giungla nella quale si nascondono spesso le cose più incredibili. Dai finanziamenti ai giornalini comunali fino ai compensi spesso esorbitanti ai portavoce di governatori, governatorini e sindaci. Ragion per cui il taglio di alcuni enti potrebbe comportare risparmi ben più rilevanti di quanto si possa immaginare. Le nuove Province. Il caso delle Province rende bene l’idea, come sostiene Andrea Giuricin, autore di una stima del loro costo che è contenuta nel libro Abolire le Province curato da Silvio Boccalatte per Rubbettino-Facco. La sola Provincia di Carbonia–Iglesias, istituita nel 2005 in Sardegna, aveva nel 2007 un bilancio di 30 milioni di euro. Siccome il nuovo ente aveva assorbito 23 Comuni della Provincia di Cagliari, in quest’ultima si sarebbe dovuta registrare una diminuzione delle spese. Il contrario: fra il 2005 e il 2007 il budget della Provincia cagliaritana è salito di quasi 40 milioni, da 133 a 172. Risultato, con Carbonia-Iglesias il costo complessivo è cresciuto da 133 a 202 milioni. Una progressione del 50,4% in soli due anni. Per farsi un’idea ancora più precisa, del resto, basta considerare che le quattro nuove Province sarde nate nel 2005 e ora per fortuna in via di sparizione dopo il referendum di inizio maggio hanno 450mila abitanti. La più piccola, Ogliastra, non arriva a 58mila e ha ben due capoluoghi: Tortolì, con 10.838 residenti, e Lanusei, con 5.655 anime. L’uno ha la sede del consiglio provinciale, l’altro ha quella della giunta. Ma hanno due capoluoghi anche Carbonia-Iglesias, Medio Campidano e Olbia-Tempio Pausania. Con una inspiegabile moltiplicazione di sedi istituzionali e relativi costi. Addirittura tre capoluoghi, invece, ha la neonata BAT, ovvero la Provincia di Barletta, Andria e Trani. Che comprende in tutto dieci comuni. Ovviamente, capoluoghi inclusi. Il caso Campobasso. Più che normale, in questo clima, assistere a iniziative come quella di Micaela Fanelli, capogruppo del centrosinistra alla Provincia di Campobasso, che accusa la giunta di aver distribuito a pioggia mezzo milione: l’elargizione avrebbe assorbito totalmente l’aumento del 3,5% della tassa provinciale sulla Rc auto deciso di recente. Per la gioia, questo è ovvio, degli automobilisti molisani. Si passa dai 6mila euro per il progetto “Ambientiamoci” ai 10mila del progetto “Sporthando”, ai mille concessi all’Associazione Bersaglieri di Petacciato, per arrivare ai 2.800 investiti nella manifestazione “Il vino compagno di viaggio nella storia dell’uomo”. Furibonda, Micaela Fanelli ha chiesto al Consiglio di passare al setaccio tutte quelle operazioni. Prima che in qualche caso lo faccia magari la Corte dei Conti. Perché capita anche questo, come ha imparato a proprie spese Alessandrina Lonardo, per cinque anni presidente del Consiglio regionale della Campania. A settembre del 2011 la moglie dell’ex ministro della Giustizia nonché leader dell’Udeur Clemente Mastella è stata condannata dalla Corte dei Conti a restituire 17.942 euro alla Regione di cui ora è semplice consigliere. A Natale del 2005 aveva regalato ai suoi 60 colleghi altrettante medagliette d’oro commemorative e aveva spedito un piccolo presente (un piatto) a casa di ognuno dei 600 dipendenti del Consiglio. Poteva andarle pure peggio? Chissà. Il bello del beach volley a Bolzano. Di sicuro ha corso questo rischio il presidente della Provincia di Bolzano Luis Durnwalder, tirato in ballo dalla Corte dei Conti per una sponsorizzazione di 62mila euro assegnata a un torneo di beach volley (!) a Bolzano. In attesa dell’appello se l’è intanto cavata con una sentenza per cui dovrebbe restituire 2.400 euro. Un decimo del suo compenso mensile. Poco più che una tiratina d’orecchi, che però l’ha mandato su tutte le furie: «Di questo passo non saranno più i politici a decidere quali iniziative finanziare». Una frase che la dice lunga. Perché se in democrazia amministra chi viene eletto, chi amministra non deve mai dimenticare la massima dell’ex ministro dell’Economia Tommaso Padoa-Schioppa, il quale amava spesso ricordare che “il denaro di tutti non è il denaro di nessuno”. Fosse anche un euro. Ma sappiamo che non fra tutti gli “eletti” questo principio è sempre popolare come dovrebbe. D’obbligo accennare al modo in cui alcuni importanti Comuni gestiscono i servizi. A lungo si è parlato dei problemi dell’Atac, azienda del trasporto locale in perdita cronica, con un numero di dipendenti paragonabile a quello dell’Alitalia, che dal 2008 al 2010 aveva assunto 684 persone. Il sito web ilportaborse.com ha pubblicato le retribuzioni di 90 dirigenti, ed è una lettura estremamente interessante. Se le cifre riportare sono corrette, ce ne sono quattro di loro che hanno una retribuzione superiore ai 294mila euro fissati come tetto massimo per gli stipendi statali. E che guadagnerebbero addirittura più dell’amministratore delegato Carlo Tosti (282.750). Ben 73 incassano oltre 100mila euro l’anno. Ma aspettate a sorprendervi. Qualche giorno prima di levare le tende il suo predecessore Maurizio Basile trovò in un cassetto sette lettere, firmate da chi a sua volta l’aveva preceduto (Adalberto Bertucci), che riconoscevano ai sette dirigenti destinatari il diritto a un indennizzo pari a cinque anni di stipendio, contro i due da contratto, nel caso di licenziamento. Non soltanto. L’indennizzo sarebbe stato pagato anche nell’ipotesi di un semplice mutamento di mansione. Rischio per l’azienda derivante dalle lettere: 4 milioni di euro. Chi erano i sette? Fra di loro Angelo Cursi: incidentalmente, come ha rivelato sul Corriere Ernesto Menicucci, «parente del senatore del Pdl (Cesare Cursi, ex sottosegretario alla Salute, ndr)». E poi Riccardo Di Luzio, capo del personale ritenuto vicino agli onorevoli del Pdl Francesco Aracri e Vincenzo Piso, a loro volta considerati entrambi assai influenti sull’Atac. Quindi Francesca Romana Zadotti, ex collaboratrice di Bertucci, arrivata in un baleno sulla poltrona di amministratore delegato di Trambus open, società controllata che gestisce il claudicante business dei torpedoni turistici: sua nuora Chiara Marchi è impiegata al marketing dell’Atac, mentre suo figlio Tommaso Aiello, hanno raccontato sul Corriere Alessandro Capponi e Menicucci, «ha realizzato i gadget aziendali per i dirigenti, pagati da Atac circa 200mila euro». Mica male. Secondo Tosti da gennaio del 2011 a oggi l’azienda di trasporto romana avrebbe risparmiato 52 milioni di euro con le ristrutturazioni e la “rimodulazione dei contratti di fornitura”. Con cinquantadue milioni ci si mantiene per un anno l’intero consiglio regionale del Veneto, indennità, vitalizi e stipendi compresi. E qualcuno dice ancora che non c’è più niente da tagliare. Sarà… Sergio Rizzo