Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  maggio 23 Mercoledì calendario

UN INNOVATORE DI NOME FALCONE

Vent’anni fa un atto di guerra contro le istituzioni repubblicane cambiava per sempre la storia d’Italia. Pur di uccidere Giovanni Falcone, Cosa Nostra oltrepassò il confine dell’attentato dinamitardo - già praticato negli anni 60 con le Giuliette al tritolo e nel luglio del 1983 con il massacro del consigliere Rocco Chinnici - e deliberò di far saltare in aria un pezzo di autostrada, come succede in guerra, con le bombe sganciate per interrompere le vie di comunicazione al nemico.
Quell’atto orribile, che pose fine alla vita del giudice Falcone, della moglie Francesca Morvillo, di Antonio Montinaro, Rocco Dicillo, Vito Schifani e ferì gravemente altri servitori dello Stato e inermi cittadini, determinò un moto di sdegno verso i responsabili che ancora oggi mantiene inalterato il suo valore etico e culturale.
Vent’anni sono un tempo sufficiente per tentare una riflessione sulle conseguenze dirette e indirette di quell’evento sulle istituzioni e sulla vita politica del Paese che vada oltre il rimpianto, la commozione per le vittime, per i loro familiari e il dovere di coltivare la memoria.
La prima conseguenza, la più dolorosa, rimane quella di aver perso per sempre una preziosa risorsa della nostra Repubblica, un autentico fuoriclasse, capace come pochi, nel suo settore, di immaginare il futuro, di ricercare soluzioni innovative, di segnare percorsi di riforma cui ancora oggi è possibile richiamarsi.
Ho avuto modo, negli oltre tre anni trascorsi da ministro della Giustizia, di rendermi conto di quanto fosse profondo il segno lasciato da Falcone sul sistema giudiziario, non solo come giudice ma anche come direttore generale del ministero.
Rileggendo le sue carte, meditando sulle sue idee e cogliendo negli sguardi e nelle parole dei miei collaboratori che con lui avevano lavorato i sentimenti di un’ammirazione incondizionata per l’uomo, il magistrato, il giurista, ne ho apprezzato in modo speciale la personalità e il valore.
Oggi, idealmente, desidero dargli atto che queste riflessioni hanno determinato, direi quasi guidato, le mie scelte nell’azione di contrasto alla criminalità organizzata.
Scelte che hanno prodotto buone riforme e grandi miglioramenti nel sistema repressivo e delle misure di prevenzione personali e patrimoniali, perché erano sorrette da un disegno coerente e concreto che affondava le sue radici nelle intuizioni e negli studi di Giovanni Falcone.
E sono grato al procuratore Pietro Grasso che, in questi giorni, pur non lesinando critiche, ha dato atto con correttezza istituzionale di quanto di buono è stato fatto in materia dal precedente Governo.
Lo considero un complimento ma anche, sia pure indirettamente, un riconoscimento della bontà di quelle idee che abbiamo efficacemente sviluppato e che necessariamente rimanda alla sua memoria.
Chissà quali e quante altre brillanti iniziative avrebbe potuto elaborare Falcone se fosse rimasto in vita al vertice del ministero di via Arenula.
Di sicuro, molti, e io per primo, avremmo pensato proprio a lui come Guardasigilli di questo governo tecnico che sosteniamo con lealtà nell’interesse del Paese in un momento di grande difficoltà, senza curarci del prezzo che questo comporta anche in termini di consenso elettorale.
E forse anche stavolta Falcone sarebbe stato osteggiato dagli stessi suoi colleghi che tanto lo criticarono per aver proposto ed ottenuto la creazione della Procura nazionale Antimafia e delle direzioni distrettuali antimafia, istituzioni che oggi nessuno oserebbe mettere in discussione. Ma questo, come tutti sappiamo, è il destino dei precursori, degli innovatori, delle menti migliori.
Dopo tanti anni si può perdonare chi ieri guardò Falcone con la stessa espressione con la quale gli esperti di salto in alto guardarono "Dick" Fosbury, che superò l’asticella di schiena per la prima volta nella storia di quello sport.
Anche nell’antimafia, come nel salto in alto, c’è un prima e un dopo.
Un prima e un dopo Giovanni Falcone, l’uomo che ha messo in campo un nuovo metodo per sconfiggere Cosa Nostra, che ha intuito che bisognava saltare in modo diverso l’asticella attraverso una visione globale del fenomeno, con il coordinamento delle investigazioni, ma anche con la collaborazione e la cooperazione internazionale tra sistemi giudiziari diversi.
Oggi, vent’anni dopo, nessuno mette in discussione la trans-nazionalità del crimine organizzato e la necessità di prevedere forme sempre più efficienti di contrasto internazionale e globale a tale fenomeno.
Oggi, vent’anni dopo, l’esigenza di individuare e colpire la ricchezza prodotta dal crimine organizzato si è fatta regola ordinaria, investigazione di base, con norme giuridiche che stimolano e migliorano il rendimento concreto di tali iniziative.
Oggi, vent’anni dopo, grazie alle indagini più efficienti e meglio coordinate, sono ormai agli sgoccioli le latitanze infinite e anche la mafia che non spara, quella dei colletti bianchi viene più facilmente raggiunta e punita.
Oggi, vent’anni dopo, Cosa Nostra fa meno paura che in passato avendo da tempo perso l’alone di misteriosa invincibilità di cui per decenni si è gloriata. E questo lo si deve anche alle idee di Falcone.
Dirsi questo in un momento di così grave incertezza, ove vili attentati nascondono l’ambizione di un ritorno a un passato di cui non si sente la mancanza, significa riaffermare, tutti insieme, che l’Italia è anche il Paese dei Falcone, dei Borsellino, dei Livatino, un Paese che sa trovare le energie per migliorarsi, per crescere, per vincere la sfida al crimine ma anche quella della ritrovata competitività. Ed ai tanti giovani, ai nostri figli, che parteciperanno alle varie cerimonie in ricordo della strage di Capaci vorrei dire: non siate tristi, sorridete, magari con la stessa limpidezza dei sorrisi di Falcone e di Paolo Borsellino.
Sorridere perché, da vero fuoriclasse, Giovanni Falcone ha continuato a colpire la mafia anche da morto, facendo camminare le sue idee sulle gambe di tanti altri uomini dello Stato, delle istituzioni, della politica, della società civile.
Sorridete perché vent’anni dopo, possiamo dire che il giudice Falcone ha vinto. Sorridete perché questa è anche la più giusta delle punizioni per i suoi assassini.
Angelino Alfano è segretario del Pdl