Mario Platero, Il Sole 24 Ore 23/5/2012, 23 maggio 2012
L’IMPAZIENZA DI OBAMA PER LA PARALISI OLTREOCEANO
L’altra sera Barack Obama ha dato molti spunti per stabilizzare la crisi europea. Meriterebbero, per costruzione, visione e tecnicismi, di essere ascoltati al vertice di Bruxelles di oggi. Anche perché non c’è dubbio che di questo gli Otto hanno già parlato. E che un consenso l’hanno raggiunto.
Il primo punto che ha voluto ricordare Obama riguarda l’emergenza: «Oggi non è come due anni fa e percepisco un maggiore senso di urgenza», ha detto il presidente americano. Come dire, forse si muoveranno davvero. Soprattutto ha chiesto che ci sia un’azione d’impatto, energica: «Basta con la politica dei piccoli passi, io credo che alla fine sia meglio agire con forza». Potremmo aggiungere: la Grecia insegna. C’è poi un messaggio politico che dovrebbe mettere a tacere coloro che vedono una cospirazione americana per far fallire l’euro: «Io credo che alla fine sia molto importante che l’Europa riconosca che il suo problema riguarda qualcosa di più di una moneta - ha detto Obama - ci deve essere un coordinamento effettivo sia sul piano fiscale che su quello monetario per un’agenda per la crescita occorre rafforzare il progetto europeo».
L’America dunque chiede di rafforzare il progetto europeo. Crede anche che ci sia un sincero desiderio di muoversi in quella direzione. Ma riconosce che ci sono «17 Paesi che debbono trovarsi d’accordo su ogni passo che si decide di intraprendere. E allora penso al mio unico Congresso, poi penso a 17 Congressi e devo dire che mi viene un certo mal di testa». Obama chiede all’Europa di fare il grande passo, di delegare ulteriore sovranità al Governo centrale a Bruxelles. La questione è anche politica. Ma il suo è un auspicio più teorico che pratico. Dal punto di vista pratico invece il presidente ha preso atto delle difficoltà del nostro sistema bancario, della necessità di ricapitalizzarlo per restituire fiducia agli investitori, perché alla fine una buona componente del problema è di natura psicologica. Per questo ci vuole un firewall che «consenta a quei Paesi che stanno facendo la cosa giusta e che non sono la Grecia, di non soffrire solo perché i mercati sono nervosi».
Infine lo snodo chiave di cui si discute in questi giorni: il ruolo della Bce. A fronte della disciplina fiscale, già adottata «ci vuole ora una politica monetaria che promuova la capacità per alcuni Paesi come la Spagna e l’Italia, che hanno adottato misure molto dure e obiettivi molto duri, di offrire ai loro cittadini la prospettiva per un milgioramento dell’economia – ha detto Obama - per un aumento dei posti di lavoro, per un aumento dei redditi, anche se ci vorrà qualche tempo». Basta chiudere la porta in faccia insomma, basta stringere la cinghia in modo punitivo invece che costruttivo. Un messaggio molto duro nei confronti della Germania. L’America è pronta ad aiutare, ha detto Obama, anche se solo sul piano "tecnico". Insomma, può dare consigli, indicare la strada maestra che si apre davanti all’Europa, ma il problema è europeo e l’Europa deve risolverlo da sola A partire dagli incontri di oggi.