Paolo Conti, Corriere della Sera 22/05/2012, 22 maggio 2012
FASCE DI CARBONIO PER SALVARE LE TORRI
Le vecchie, care catene. Sarebbero bastati quegli antichi strumenti, reperibili in qualsiasi ferramenta, per evitare i collassi di torri, chiese, secolari strutture estensi. Parola di Giorgio Croci, docente di Problemi strutturali dei monumenti e dell’edilizia storica alla facoltà di Ingegneria alla Sapienza, animatore dello Studio Croci e Associati di Roma, leader europeo nel campo del restauro e del consolidamento strutturale antisismico di edifici storico-culturali. Allo studio Croci e Associati si deve l’adeguamento e miglioramento antisismico della Basilica di San Francesco ad Assisi. E sempre Croci è il protagonista del trasloco della Stele di Axum da Roma all’Etiopia.
Prevenzione mirata
Dice Croci: «In assoluto conviene prevenire. Ma una prevenzione a tappeto mette in ginocchio un’economia. Occorre uno studio per valutare ciò che va messo in sicurezza». Facciamo l’esempio della Torre dei Modenesi a Finale Emilia, simbolo di questo terremoto... «In quel caso sarebbe bastata una semplice cintura di catene, o di acciai speciali più recenti. Invece la torre è scoppiata per compressione». Costo dell’operazione? «Molto basso. Siamo nell’ordine dei trentamila euro. Con sessantamila si può mettere in sicurezza un edificio di medie dimensioni». Stesso discorso, spiega Croci, vale per le facciate: «Abbiamo visto venire giù il prospetto di chiese e di palazzi. Erano mal collegati con murature e solai, dove i buchi per le travature si trasformano in varchi di infiltrazioni. Sarebbe stata sufficiente qualche catena per prevenire tanti distacchi, e gli stessi morti». Tutto però dipende dalla mano centrale, cioè dall’amministrazione: «Il ministero per i Beni culturali ha da tempo avviato la Carta del rischio sismico ma dal punto di vista pratico-operativo stenta a decollare. Il comparto storico-artistico continua a essere drammaticamente penalizzato dal punto di vista delle risorse». Ci supera anche la Turchia. Proprio Croci col suo studio è stato incaricato dal ministero della Cultura turco di presentare un piano di prevenzione del rischio sismico per 140 edifici tra i più importanti di Istanbul: «Castelli, palazzi patrizi, chiese, moschee. I costi preventivati? Dalle poche decine di migliaia di euro».
Comunque Croci indica nel modello della basilica di Collemaggio a L’Aquila una possibile via d’uscita: «Con appena un milione siamo riusciti a mettere in sicurezza le strutture principali, coprendo il soffitto aperto con un tetto d’acciaio reversibile in ogni momento, riprendendo i muri. I pilastri vicini al cedimento sono stati fasciati con fibre al carbonio. Così la chiesa è stata riaperta al culto, è tornata a vivere. Inutile aspettare un finanziamento che non arriverà mai per un recupero totale. Ed è sempre meglio della cultura dei puntelli: una follia che ha svuotato il centro storico de L’Aquila rendendolo un cumulo di macerie che chissà chi, e come, potrà e vorrà togliere di lì».
Il modello Fenice
Punto sul quale concorda Vittorio Sgarbi: «Per fortuna, nel caso di quest’ultimo terremoto, i centri storici restano abitabili. Sarà bene che le comunità riprendano a vivere, evitando di ripetere l’assurda esperienza dell’Aquila, colpevolmente diventata una città morta. Magari recintando i beni crollati e progettando un recupero individuale e che non sia dell’intero centro abitato». Ripristino, ricorda Sgarbi, che deve avvenire senza dubbio «dov’era e com’era», ovvero usando gli stessi materiali e restituendo l’identico monumento alla comunità: «Escludo ci siano altre opzioni. In base ai folli dinieghi di alcuni architetti, Pavia non ha ancora la sua Torre Civica mentre invece, faccio un esempio, per fortuna Venezia ha di nuovo la sua Fenice così come ebbe a inizio secolo il suo campanile in piazza San Marco dopo il crollo del 1902. Ricostruire è anche un gesto direttamente collegato all’identità degli abitanti, alla loro storia».
Su posizioni opposte Luigi Prestinenza Puglisi, docente di Storia dell’Architettura contemporanea alla Sapienza di Roma: «L’Italia si sta trasformando in un gigantesco presepe composto di pezzi falsi, alla Disneyland. Penso che il "com’era e dov’era", comunque una falsificazione, valga solo per ciò che ha un valore culturale e contestuale insostituibile. La Torre di Finale Emilia era così stratosfericamente essenziale? O non vale forse la pena, convocando le migliori intelligenze, di tentare una strada diversa, contemporanea, che preservi il senso di quella presenza architettonica ma immagini un percorso migliore e innovativo, magari con un uso collettivo di nuovi, ipotetici spazi fino all’altro giorno inesistenti?»
Paolo Conti