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 2012  maggio 21 Lunedì calendario

COME NACQUE IL PAKISTAN LA STORIA DEL SUO FONDATORE

Ai tempi di Zulfikar Ali Bhutto, passai un anno in Pakistan. Ricordo che fui colpito dall’assoluta riverenza che le classi colte mostravano per Muhammed Ali Jinnah, considerato il Padre del Pakistan (e molti, menzionandolo, si alzavano in piedi!). È innegabile che fu Jinnah a realizzare la divisione del subcontinente indiano e la conseguente indipendenza del Pakistan, allora diviso in due parti distanti fra loro migliaia di chilometri. Io sono convinto che se avesse prevalso il pensiero opposto, il subcontinente indiano si sarebbe certamente risparmiato la spartizione,
le successive guerre di aggiustamento e lo stato di protratta semi-belligeranza in Kashmir e in Jammu. Inoltre oggi non vi sarebbero due Stati nemici e confinanti, dotati sia di bomba atomica, sia della tecnologia per produrla, e della facoltà di fornire l’una e l’altra a terzi. In sintesi, il mio giudizio storico su Ali Jinnah non riesce ad essere positivo. Qual è la sua opinione?
Pietro Del Buono
idbuono@yandex.ru
Caro Del Buono, i contrasti fra la maggioranza indù e la minoranza musulmana appartengono alla storia del subcontinente e furono in molti casi esacerbati dal modo in cui l’amministrazione britannica sfruttò, per meglio governare, le loro invidie, le loro gelosie e i loro reciproci risentimenti. Sin dagli inizi del Novecento, ciascuna delle due comunità aveva associazioni che aspiravano ad assumerne la rappresentanza. La maggiore associazione degli indù era il partito del Congresso, fondato nel 1885, e quella dei musulmani la Lega musulmana. All’inizio della Grande guerra l’avvocato Muhammed Ali Jinnah, nato a Karachi nel 1876, era membro di entrambe le associazioni. Aveva iniziato la sua carriera politica nel Congresso, ma si era iscritto alla Lega, insieme ad altri giovani musulmani, nella speranza di neutralizzare l’influenza di coloro che guardavano all’Impero Ottomano come al più affidabile protettore della loro causa. In quegli anni, quindi, Jinnah immaginava un percorso in cui indù e musulmani avrebbero lavorato insieme per l’indipendenza del subcontinente e la creazione di uno Stato in cui le due comunità avrebbero potuto convivere pacificamente.
Dopo la fine della Grande guerra, la spartizione dell’Impero Ottomano e l’apparizione di Gandhi sulla scena politica, il movimento per l’indipendenza dell’India divenne più visibile e meglio organizzato. Ma la collaborazione fra le due grandi comunità rimase saltuaria e precaria. È particolarmente interessante, quindi, che nel 1937 Jinnah abbia scritto a Gandhi per chiedergli di essere aiutato a creare le condizioni per un migliore rapporto tra il Congresso e la Lega. Nella sua grande Storia dell’India (Laterza 2000), Michelguglielmo Torri ricorda che Gandhi rispose: «Vorrei fare qualcosa, ma sono totalmente impotente. La mia fede nell’unità (fra indù e musulmani, ndr) è fulgida come sempre; ma non vedo alcuna luce del giorno in questa impenetrabile oscurità e, in tale disperazione, grido a Dio perché conceda luce». In realtà, come osserva Torri, il rifiuto di Gandhi non era motivato dall’impotenza, ma dal desiderio di sostenere la posizione di Jawaharlal Nehru che era, a sua volta, fortemente deciso a battersi affinché il Congresso restasse «l’unico e legittimo rappresentante del popolo indiano».
A queste contrapposizioni strategiche, caro Del Buono, occorre aggiungere che Nehru considerava la Lega un’associazione troppo comunitaria, troppo marcata dalla sua identità religiosa e trappo conservatrice. Per un indiano educato a Londra, laico e attratto dal programma politico dei laburisti britannici, la Lega non poteva essere un compagno di viaggio. Questi contrasti spiegano perché tre anni dopo, nel 1940, Jinnah abbia cominciato a parlare pubblicamente dell’esistenza di due nazioni. Per il seguito di questa storia, destinata a concludersi con la tragica e sanguinosa spartizione del 1947, le consiglio la lettura del libro di Torri.
Sergio Romano