Gian Antonio Stella, Corriere della Sera 21/05/2012, 21 maggio 2012
LE FATALITÀ PREVEDIBILI
L’altra volta, quando venne giù mezza città e dappertutto era pieno di morti e perfino il duca Alfonso II d’Este e la famiglia dovettero accamparsi «come zingari» nel cortile della reggia, i ferraresi accusarono quel menagramo del gabelliere e il pittore Helden disegnò sulle rovine un drago fiammeggiante e il papa Pio V ci vide la punizione di Dio per la protezione accordata agli ebrei.
Qualche secolo dopo, però, è inaccettabile che davanti alle vittime e alle macerie del terremoto ferrarese, non potendo più incolpare draghi ed ebrei, si parli ancora di tragica e imprevedibile fatalità. Certo, i nostri avi li fecero bellissimi ma fragili, quei campanili e quelle rocche che ieri si sono sgretolati aggiungendo dolore ai lutti per le vite umane. Non avevano gli strumenti, le tecnologie, i materiali di oggi per reggere l’urto di un sisma. Ma proprio a Ferrara, dopo il devastante terremoto del 1571, ricorda centroeedis.it, l’architetto Pirro Ligorio, successore di Michelangelo alla Fabbrica di San Pietro, progettò la prima casa antisismica. E se con strazio possiamo accettare il collasso di certe residenze antiche, non possiamo rassegnarci al crollo di palazzine e capannoni ed edifici vari tirati su, nel Ferrarese come altrove, in tempi recenti.
Perché noi sappiamo esattamente quali sono le aree a rischio, già colpite in passato e fatalmente destinate a esserlo ancora. I sismologi storici del gruppo di Emanuela Guidoboni hanno contato negli ultimi cinque secoli, in Italia, 88 disastri sismici dagli effetti superiori al 9° grado della scala Mercalli, cioè più gravi di quello abruzzese. Fate i conti: uno ogni cinque anni e mezzo. Catastrofi che hanno causato complessivamente, solo dall’Unità a oggi, oltre 200 mila morti e danni pesantissimi.
Siamo un Paese ad alto rischio. Forse più di tutti per la densità abitativa e il patrimonio storico, monumentale e artistico di cui siamo (forse immeritatamente…) custodi. Altri fisserebbero norme edilizie rigidissime e farebbero regolari corsi d’addestramento per i cittadini e lezioni in classe per i bambini fin dalla materna. Noi no. Da noi gli ascensori salgono dal piano 12° al 14°, gli aerei non hanno la fila numero 13 e chi ha abusivamente costruito in zone pericolose invoca il condono e meno lacci e lacciuoli antisismici. Come se già due secoli e mezzo fa Jean-Jacques Rousseau, dopo il terremoto di Lisbona, non avesse sottolineato amaro: «Non è la natura che ha ammucchiato là ventimila case di sei-sette piani».
Sapete come si intitola un lavoro recentissimo della Guidoboni? «Terremoti a Ferrara e nel suo territorio: un rischio sottovalutato». Vi si spiega che, al contrario di quanto pensavano nel Medioevo, anche sotto la pianura più piatta possono esserci faglie capaci di dare scossoni tremendi e che l’area colpita ieri nell’ultimo millennio aveva contato già 22 «botte» più o meno gravi «eppure quanti sono i cittadini di Ferrara e della sua provincia ad avere percezione della pericolosità sismica dell’area in cui abitano?». Per mesi e mesi gli amministratori locali erano stati martellati: occorre un progetto per affrontare il tema. Risposte? Sorrisi. Ringraziamenti. Rinvii. Perché parlarne se porta iella?
Gian Antonio Stella