Isabella Bufacchi, Il Sole 24 Ore 20/5/2012, 20 maggio 2012
RICAPITALIZZAZIONE GRECA IN TILT
Male e tardi invece di bene e presto. La ricapitalizzazione "ponte" delle banche greche, un’operazione da 50 miliardi di euro pianificata agli inizi dell’anno per essere eseguita subito dopo la ristrutturazione dei titoli di Stato greci, è l’ennesima dimostrazione dell’inadeguatezza e della lentezza dei mezzi di soccorso e degli interventi di emergenza messi in campo dall’Eurozona per arginare la crisi del debito sovrano europeo e delle banche europee. Il pasticcio sul rafforzamento patrimoniale delle banche greche a carico dell’Eurozona (Fmi escluso), un "prestito titoli" a triangolo tra il fondo salva-Stati Efsf, l’Hfsf (il fondo di stabilità finanziaria ellenico) e il sistema bancario greco, finora ha riguardato 25 sui 50 miliardi ipotizzati: l’operazione si è impaludata negli iter burocratici, al punto che le banche greche non hanno potuto più finanziarsi presso la Bce e si sono dovute rivolgere alla linea di emergenza Ela presso la Banca centrale greca.
Ritardi e procedure opache su questa operazione Efsf-Hfsf hanno contribuito in questi giorni a incoraggiare la fuga dei capitali dagli istituti di credito ellenici. Questo fallimento non promette nulla di buono nel caso in cui la Spagna dovesse avere bisogno in tempi rapidi di 50 miliardi per ricapitalizzare le sue banche con il sostegno dell’Eurozona: e questo spiega perché in questi giorni stanno emergendo soluzioni alternative all’Efsf, con proposte che vorrebbero coinvolgere la Bce.
Il presidente della Bce Mario Draghi, in occasione nella conferenza stampa di maggio presso l’Eurotower, è stato molto esplicito quando, rispondendo a una domanda, ha sostenuto che «l’esperienza con l’Efsf non è stata di successo»: il suo funzionamento «non è stato all’altezza delle aspettative e delle necessità» perché è stato creato in un modo che «difficilmente avrebbe potuto funzionare». La Bce non perde però occasione per precisare di non avere nulla a che fare con le ricapitalizzazioni pubbliche dei sistemi bancari europei, operazioni che devono essere orchestrate dagli Stati e dalle banche centrali nazionali.
L’Efsf, come l’Esm (il fondo di stabilità permanente in arrivo in luglio), non ha licenza bancaria e quindi non è in grado di raccogliere velocemente sui mercati grandi importi: questo limite lo rende lento, goffo e inefficace di fronte alle emergenze. L’Efsf riesce a gestire i piani di sostegno finanziario a Irlanda, Portogallo e ora Grecia cadenzati con prestiti trimestrali o mensili: ma non può intervenire rapidamente e in maniera pesante acquistando i titoli di Stato in asta o sul secondario, ai ritmi di cui è stata capace la Bce lo scorso agosto.
La ricapitalizzazione delle banche greche a carico dei partner dell’Eurozona è stata però innescata dalla ristrutturazione dei titoli di Stato greci voluta dall’Eurozona, con perdite inflitte ai privati (anche le banche) e un haircut equivalente al 70% del capitale investito: la Bce, contraria al Psi (private sector involvement), aveva ammonito i politici europei sul fatto che le ricadute del default greco avrebbero danneggiato fortemente le banche greche e che la ricapitalizzazione delle stesse sarebbe stata onerosa e complessa. In effetti la ristrutturazione dei titoli di Stato greci così fatta ha comportato la necessità di sostenere contestualmente il sistema bancario greco (già sofferente per la recessione) con un’iniezione da 50 miliardi: anche se l’Efsf non è in grado di raccogliere un tale ammontare in tempi brevi.
Per aggirare l’ostacolo, rendendo la situazione greca ancor più confusa, l’Efsf ha emesso lo scorso 17 aprile cinque obbligazioni a cedola variabile (Frn), ognuna per un importo di 5 miliardi (totale 25 miliardi) con scadenze 2018, 2019, 2020, 2021, 2022. Questi titoli non sono stati collocati sul mercato (impossibile raccogliere 25 miliardi in un giorno) ma sono stati emessi e trasferiti all’Hfsf come prestito: il fondo di stabilità ellenico avrebbe dovuto a sua volta ritrasferire le Frn prontamente alle banche greche, per consentire loro di utilizzarle come collaterale per finanziarsi presso la Bce: non è chiaro se l’Hfsf, in cambio delle Frn, abbia acquisito azioni delle banche. Ma non è neanche chiaro se questi titoli sono arrivati a destinazione.
Le cinque obbligazioni Frn emesse dall’Efsf saranno restituite al fondo emittente alla data di scadenza: una maniera un po’ contorta per acquistare tempo che pare non abbia ricadute negative sui debiti pubblici degli Stati garanti dell’Efsf (stando a Eurostat, il prestito titoli o securities lending dell’Efsf non viene contabilizzato nel debito pubblico nazionale). L’Efsf sostiene di aver svolto il suo compito, cioè di aver trasferito le Frn all’Hfsf nei tempi previsti: da quella data, non si ritiene responsabile dei ritardi, che sono attribuiti totalmente ai greci. L’Hfsf potrebbe aver messo in stand-by il trasferimento delle Frn alle banche greche a causa dell’esito elettorale di maggio e della mancanza di un Governo: corre voce che mancasse qualche firma di peso.
La Bce si è però trovata costretta, di fronte a questo slittamento, a non ammettere più le banche greche alle operazioni di rifinanziamento presso l’Eurosistema. Questa decisione, contemplata nello statuto della Bce, può scattare sulla base di due motivazioni: le banche controparti non hanno la solidità finanziaria adeguata oppure non dispongono di collaterale adeguato. La Bce ha invitato la Banca centrale greca a fornire la liquidità alle banche elleniche tramite l’Ela, che la espone al rischio di perdita in caso di default. Ma Riccardo Barbieri, chief European economist di Mizuho, ha ammonito che nel caso in cui la Banca centrale greca andasse in default, l’Eurosistema e quindi gli Stati dell’Eurozona accuserebbero comunque perdite notevoli.