Mattias Mainiero, Libero 18/5/2012, 18 maggio 2012
«LE CARTE SU BOFFO? ME LE DIEDE UN ALTO PRELATO»
Direttore, ho un compito impossibile.
Ora di pranzo del giorno dopo la rivelazione. Ma sarà poi un’autentica rivelazione, una ricostruzione certa al cento per cento? Quanto ci sarà, nel retroscena appena reso noto, di lotta intestina e quanto di verità?
Vittorio Feltri è in auto, a Milano. È appena uscito dalla sede de il Giornale. Direzione: «Baretto», ristorante alla moda a due passi da piazza San Babila. Risponde al telefonino. Solo lui può confermare o smentire. La rivelazione: a trasmettere a Vittorio Feltri il documento che accusava Dino Boffo, all’epoca direttore dell’Avvenire, sarebbe stato il direttore dell’Osservatore Romano, Gian Maria Vian. Lo stesso Vian, oltre a passare il testo della lettera anonima, avrebbe dato assicurazioni che i guai giudiziari di Dino Boffo derivavano dalle sue tendenze sessuali. Omosessuali, per la precisione. Non è una colpa, fino a quando l’omosessualità non è accompagnata dalla trasgressione del codice penale. Per esempio, dalle molestie, tanto per intenderci.
Il Giornale pubblicò la storia. Conoscete il resto: siamo nel 2009, governa Silvio Berlusconi, la sinistra è scatenata nelle accuse al Premier. Ragazze, escort, soldi. Clima infuocato, da mesi. Anche Dino Boffo è critico. Il Giornale racconta la vicenda del direttore dell’Avvenire. Chiaro l’intento: guarda da che pulpito vengono certe prediche. Un putiferio. Boffo è costretto ad abbandonare la direzione dell’Avvenire. Poi i dubbi, le precisazioni, le nuove accuse, questa volta non a Boffo. L’intervento dell’Ordine dei giornalisti, la sospensione per tre mesi di Feltri. E una domanda: chi passò quelle carte a Feltri?
Fermi tutti: non è una domanda oziosa, semplice curiosità. Qui si parla del Vaticano, misteri, intrighi, lotte intestine. Il Vicario di Cristo e le poltrone bollenti. Il controllo dell’editoria con il logo della Santa Sede. Fede, affari e politica. Interessante.
Direttore, allora confermi, fu proprio Gian Maria Vian, il direttore dell’Osservatore Romano? Lo dice Dino Boffo nelle sue lettere al Papa. È scritto nel nuovo libro di Gianluigi Nuzzi.
«Ma da quelle lettere non si evince un bel niente. È l’ipotesi, anche se circostanziata, di Boffo. Tutto qui».
Ed è scoppiato di nuovo il putiferio.
«Ho letto, però non sono d’accordo».
Con chi?
«Per esempio, con Maurizio Belpietro».
Il nostro direttore parla di un «bidone» che ti fu rifilato.
«Una cosa non vera. La condanna di Boffo c’è. Non capisco, che vuol dire bidone?».
Torniamo alla domanda impossibile: fu Gian Maria Vian?
«La notizia era già nota. Noi abbiamo avuto quei documenti, che in parte non erano atti ufficiali della Procura o del Tribunale, da un’alta personalità della gerarchia ecclesiastica».
Li hai ricevuti tu?
«Non io personalmente. Arrivarono sul tavolo di Alessandro Sallusti, che me li notificò. E siccome la provenienza era autorevole non mi è mai venuto il sospetto che i documenti potessero contenere falsità. Ciò nonostante, pregai la redazione, che non è fatta da principianti, di fare le necessarie verifiche. Quando le verifiche furono eseguite, scrissi un commento, niente di particolare, dicevo solo, vado a memoria, che Boffo non aveva più i titoli per fare delle prediche moralistiche».
Non fu un bidone. Un mezzo bidone?
«Io mi pongo una domanda: se fosse stata una bufala, tutta una bufala, perché Boffo si dimise e perché le dimissioni furono accettate dalla Cei?».
Beh, si sa come vanno queste cose: c’è la notizia, ci sono le trappole, i giochi di potere. Pare che il Vaticano, in materia, sia uno specialista.
«Ripeto: i documenti arrivavano da un’alta personalità. Per questo non ci fu neanche il sospetto che potesse trattarsi di una trappola o che ci sarebbero state code velenose. E come potevamo immaginarlo: io non sono un prete e neanche un sacrista, non sono neanche cattolico, neanche credente. Ho dato una notizia, punto. Non venendo la notizia da una sacrestia di paese, mi pareva che non ci potessero essere dubbi».
Però pare che si trattasse di una sacrestia editoriale. So che non mi dirai mai il nome, ma devo insistere: Vian, sacrestano dell’Osservatore?
«Se io dicessi chi mi ha dato la notizia, l’Ordine dei giornalisti mi potrebbe perseguire di nuovo».
Per la verità, oltre all’Ordine, c’è anche la coscienza giornalistica che impedisce di fare certe cose. Le fonti vanno tutelate. Per noi è un ritornello.
«Guarda, dell’Ordine ce ne sbattiamo i coglioni, fin quando però non minaccia di sbatterci fuori. Con l’Ordine non si scherza. La coscienza non ti espelle, l’Ordine ti radia».
E dunque niente conferma.
«A me non fregherebbe nulla di svelare nomi e cognomi, ma se lo facessi non lavorerei più. Sono già stato condannato a tre mesi di sospensione, che altro c…».
Tre mesi nonostante le scuse.
«Scuse è una parola grossa. Intendiamoci: a volte si chiede anche scusa. Si sbaglia, si cerca di rimediare. Nel caso specifico, ci fu una precisazione. Quando Boffo, tramite il suo avvocato, si fece vivo e chiese una precisazione, io la feci e la misi in pagina. Per il resto, non c’è stata mai una lettera di smentita da parte di Boffo».
Sembra tutto così semplice, lineare.
«Semplice? Tre mesi di sospensione... ».
E gli altri, la redazione, chi fece le verifiche?
«Il pezzo fu scritto da Gabriele Villa. Io non fui querelato da nessuno, neanche da Dino Boffo. E mi hanno colpito. La cosa ridicola è che Villa ha ricevuto dall’Ordine solo una censura. È stato tutto strumentalizzato, tutti giù con il metodo Boffo».
Ormai è una frase fatta, si alzano un po’ i toni ed ecco il metodo Boffo, con annessa macchina del fango. È diventato un modo di dire, un luogo comune. Anche questo è sintomo di successo.
«Un luogo comune, e alla fine io ho pagato con tre mesi di sospensione, che non mi sembra una cosa comune. Però, mi devo considerare fortunato: non mi hanno radiato. Con il clima che correva, tutto poteva succedere».
Il «Baretto» è ormai vicino, il telefonino gracchia, il nome della fonte non viene fuori. Fine dell’intervista. Delusi? E che cosa vi aspettavate, che Feltri, Ordine o non Ordine, spiattellasse nomi, cognomi, età, indirizzi e cariche? Per Boffo fu Vian. Per altri (anche questo si disse) un vescovo che vive dalle parti di Rimini, ma non a Rimini, e neppure a Ravenna. Da quelle parti. Feltri non dice nulla. Dice solo: «Alta personalità della gerarchia ecclesiastica». Vian, storico, professore, è un laico. È nelle alte sfere, ma non fa parte delle «alte gerarchie ecclesiastiche». A rigor di logica, non fu lui. Sicuramente, stando a Feltri, non lui direttamente.
Giornalista di lungo corso, direttore per anni e anni, profondo conoscitore di trappole e bidoni. E un’abitudine consolidata negli anni: di solito, quando Feltri fa una cosa, tutti vengono a saperlo a cosa fatta. Parla, Feltri, racconta. Dice di tutto. A volte fa solo intuire. Al suo vecchio cronista, forse suggerisce. E i suoi segreti non li confida neanche a se stesso.
Direttore, quando tornerai al comando di un quotidiano?
«Non dipende da me. Il mio contratto è ottimo, e poi non ho alcun interesse a rimettermi a fare il direttore. Forse il direttore politico, con un direttore responsabile alla testa del giornale».
Feltri lontano dal timone di un quotidiano? Sembra impossibile.
«Fra poco più di un mese compio 69 anni».
Nel pieno della maturità. Allora? A quando il ritorno? Il «Baretto», eccolo qui. L’intervista è davvero finita. E come volevasi dimostrare, com’è giusto che sia, il nome non è saltato fuori. Figuriamoci. La smentita sì. Quella c’è.
Mattias Mainiero