Pietrangelo Buttafuoco, la Repubblica 19/5/2012, 19 maggio 2012
C’ ERANO UNA VOLTA PROIETTI E FO ORA IL COMICO SCRIVE L’ OPERA AGRA
Tutta una pappa di gna-gna avvolge più del cellophane l’ arte della commedia, sparita dalla pagina stampata in un risucchio improvviso. I comici, messi alla prova della scrittura, non fanno genio né sregolatezza, bensì marketing. Solo Alessandro Siani ( Non si direbbe che sei napoletano) sembra far vanto del mestiere infischiandosene. Pubblica un libro con sola materia comica e fa pienoni. Gli altri, invece, sembrano voler ispirare compassione per farci scordare quanto sappiano far ridere. Forse in obbligo alla liturgia dell’ impegno (le pie solidarietà), forse per una forma di superstizione, fatto sta che i comici latitano rispetto all’ ars comica moderna, che è arte di scena ma sa dare il meglio come scrittura e quindi lettura. E se anche fosse in nome della vena politica (il cui apice non è la satira dei televisivi) dovrebbe almeno riuscire a ripetere il successo popolare - quindi "politico" - di A me gli occhi, please, lo spettacolo di Gigi Proietti del 1982, su testi di Roberto Lerici. Lo racconta un libro dallo stesso titolo, ed è un viaggio di tende e teatri e piazze sempre esauriti. E dell’ attor comico, ovviamente, con «la felicità che riusciva a diffondere tra la gente semplice e complicata». Ad applaudire Proietti e la scrittura di Lerici c’ erano De Filippo, Antonioni, Fellini «ma anche il ragioniere, l’ operaio, la massaia, una processione continua». E quando una spettatrice morì per un malore, Proietti dovette continuare lo show con la salma adagiata dietro le quinte, perché il medico legale, nel frattempo arrivato per constatare il decesso, prima di provvedere al referto volle godersi tutto lo spettacolo. Favola dalla morale sfacciata: la morte come risvolto naturale della comicità. La mestizia è la nuova moda. Piccoli sintomi non fanno una stagione letteraria, ma il comico, come categoria, non è certo un passatempo da destinare agli scaffali della varia se due totem del dominio culturale quali il Nobel e l’ Oscar sono stati comminati a due italiani, Fo e Benigni, due classici la cui arte non dura pochi mesi per finire nel nulla. E a questo punto tanto di cappello a Benigni, che, certo, annacqua tutto il divino della Commedia dantesca ma quantomeno non precipita nell’ orrido intimismo. Tutto l’ intimo del comico, dunque. Serena Dandini in luogo di Dario Fo. Il Divano invece che un Mistero Buffo. Un melodramma anziché un esperimento dada, ed ecco quindi la lettura di Grazie per quella volta, confessioni di una donna difettosa. È il successo librario della star televisiva; quanto a sentimentalismo, va sul solco di un altro trionfo di simile genere, La casa sopra i portici, autobiografia di Carlo Verdone, che, in tema di comicità, chiarisce tutta la questione: non c’ è niente da ridere. Da piangere, magari. Di sincera commozione. Come con un altro bestseller: Neanche con un morso all’ orecchio di Flavio Insinna, attore e comico, che dismette il proprio bagaglio d’ euforia per riprendere il tema del lutto e svelarsi nel dolore. Forse è il cortocircuito tra malinconia e maschera; ma è una maschera comunque triste se non tragica: ci sono solo lacrime vere, non una risata e neppure un Amleto che - giusta citazione di Petrolini - «per diporto va al cimitero». Non c’ è alcun Codice Perelà ma c’ è Stikazzi - o, meglio, Il metodo stikazzi, l’ instant pop di Aliberti Editore. Tutto, nell’ Italia della crisi, è lasciato all’ insulto o al rutto da blog. Tutto è pronto per Weimar, ma senza l’ ombra di un Kabaret e di un Brecht. Forse c’ è solo la scrittura appartata di Ermanno Cavazzoni, autore troppo raffinato per fare il pop, visto che i tremolii intellettuali sono la vanagloria di una comicità sazia e disperata. Basti pensare al titolo di Veronica Pivetti, altra attrice leggera che sulla pagina scopre la gravità: Ho smesso di piangere. Con la depressione evocata nel sottotitolo. Giusto un avviso ai lettori: effetto collaterale. Non c’ è Perelà, proprio adesso che tutto è maschera; non c’ è quindi Aldo Palazzeschi, ma in libreria non c’ è neppure un Achille Campanile. Si apra dunque un creditoa favore di Mattia Torre, autore per Dalai di In mezzo al mare. Finalmente, con lui, una scrittura tutta di umore, degna dell’ arte: «Non capisco niente del mondo che mi circonda figuriamoci di me che ne sono un’ infima parte». Nel 1971 usciva per Einaudi, Comiche di Gianni Celati, ex lavapiatti e girovago. È il libro che molto piacque a Italo Calvino ma al netto di certe censure erotiche. Oggi torna per Quodilibet completo di scene osé ed è tutto un fulgore manicomiale. E l’ arte della commedia, abilità antichissima della nostra schiatta, dev’ essersi dissolta tutta, se quando scende dal palco - dove comunque non esalta - stenta a trasformarsi in libro. Se solo si facesse la trascrizione in bella pagina tipografica dei film di Pietro Germi - da Signore & signori a Divorzio all’ italiana passando per Sedotta e abbandonata - se ne potrebbe ricavare un lussuoso e autorevole Meridiano mondadoriano, un tomo da bissare con il laboratorio di varietà tele-teatrale di Garinei & Giovannini, di Marcello Marchesi e della struggente poesia "malincomica" di canzoni come Sempre, musica di Franco Pisano, testo di Mario Castellacci, a suo tempo affidata all’ interpretazione di Gabriella Ferri: «Come un vecchio ritornello che nessuno canta più». Il reiterare del comico è, giustamente, solo un battere sullo stesso chiodo. E la capocchia è quella del potere. La comicità sazia e disperata di oggi, infatti, fatto nudo il Re, mette in mutande il Giullare, lo riduce al ruolo di "decisore culturale".A Dario Fo, per evocare la lotta di classe, la fame antica del Ruzante, bastava il gesto di acchiappare una mosca e farne un boccone, mentre oggi i comici fanno dottrina. Senza Berlusconi è evaporata la verve a tutti i cavalli di razza dello spettacolo, compresi gli scrittori bisognosi di altri scrittori per farsi dire quello che devono dire in tivù ma Michele Serra e Francesco Piccolo, carta canta, scrittori quali sono sanno mordere. Ed è il caso di dire "carta ride".