Sabina Rodi, ItaliaOggi 18/5/2012, 18 maggio 2012
Sette fa bene: non copia i magazine Usa di Sabina Rodi Sette, il magazine del Corriere della Sera, ha cambiato direttore (da un paio di mesi, il nuovo, è Pierluigi Vercesi), formato (molto più elegante e friendly), tipo di carta (meno impettita della precedente, ma ugualmente originale), data di uscita (d’ora innanzi uscirà il venerdì e non più il giovedì), formula (l’operazione è stata fatta così abilmente che non sembra che sia stata cambiata)
Sette fa bene: non copia i magazine Usa di Sabina Rodi Sette, il magazine del Corriere della Sera, ha cambiato direttore (da un paio di mesi, il nuovo, è Pierluigi Vercesi), formato (molto più elegante e friendly), tipo di carta (meno impettita della precedente, ma ugualmente originale), data di uscita (d’ora innanzi uscirà il venerdì e non più il giovedì), formula (l’operazione è stata fatta così abilmente che non sembra che sia stata cambiata). E, in più, Sette si è arricchito di un fascicolo tascabilissimo dedicato ai programmi tv. L’operazione, a lungo voluta da Ferruccio de Bortoli, è riuscita pienamente. E deflagrerà in casa d’altri, soprattutto fra gli editori che hanno in mano dei vecchi news magazine in crisi di identità, pieni di medaglie appuntate sul petto, ma anche invecchiati per un eccesso di onore passato. Tali settimanali, che sono sotto un imbarazzante accanimento terapeutico, sono oggi pateticamente vissuti per ciò che essi rappresentavano, non per ciò che essi, nonostante tutti gli sforzi, rappresentano oggi. Si è detto, da più parti, anche in via Solferino, che Sette ha spostato la sua data di uscita di un giorno (dal giovedì al venerdì, appunto) per affrontare di petto il magazine di la Repubblica, il venerdì che, sotto l’abile direzione di Attilio Giordano, surclassava alla grande, ogni settimana, Sette, che, nella sua precedente edizione, si era completamente logorato nella sua eccessiva ripetizione e quindi prevedibilità. Sette esce, d’ora innanzi, il venerdì, non per andare in rotta di collisione con il settimanale di la Repubblica, ma perché vuol conquistare, assieme ad esso, credo, il lettorato del fine settimana. Che è rappresentato da gente che ha voglia di sfogliare con calma una pubblicazione d’attualità che non sia però al servizio della stretta attualità; sulla quale si possano vedere delle foto originali o stupefacenti, stampate alla grande; e dove si possano leggere dei pezzi che non siano della dimensione di un francobollo ma che abbiano il passo del racconto caldo, colloquiale, a tu per tu, senza pretese e senza cattedre. Sette ha il pregio di essere un settimanale che, andando, adesso e risolutamente contro corrente non ha debiti con la pubblicistica periodica americana che è esteticamente perfetta, ma anche concretamente illeggibile da un pubblico italiano, che è tutt’altro che naïf, ma che ha un passato complesso, smaliziato ed esigente. I settimanali americani sono in pesante crisi anche a casa loro perché adottano una formula algida come un ghiacciolo. Per esempio, grafici alla Time o alla Newsweek, in Italia, fanno giustamente fuggire i lettori europei (e segnatamente, quelli mediterranei) più che le orde dei topi da una nave che affonda. Chi abbia un minimo di esperienza giornalistica, sa che quei grafici, in Italia, non rappresentano il futuro. Ma sono il passato. In Italia questi grafici li faceva Espansione già trent’anni fa. E infatti si è visto dove è andata a finire. Adesso questa graficomania ricompare come se niente fosse nei settimanaloni con l’ex pedigree. Essi sono stati importati da giovanotti esuberanti, presuntuosi, e senza nozione del passato che, essendo reduci dai master di giornalismo della Columbia University, credono, in buona fede e del tutto sinceramente, di aver inventato il giornalismo. Questi Cristoforo Colombo alla rovescia (essi infatti vengono dagli Usa per scoprire l’Europa, credendola, appunto, popolata da indigeni sempliciotti che portano l’osso al naso), questi Cristoforo Colombo, dicevo, se fossero usati nelle redazioni dialetticamente e in dosi omeopatiche, potrebbero anche servire. Invece non riescono a mettere loro il freno del buon senso, quei direttori di mezz’età, che, facendosela sotto perché vedono che le loro vendite in edicola stanno evaporando, qualsiasi copertina essi facciano, si sono professionalmente arresi, anche se non lo ammetteranno mai, per cui, al vero senilismo affaticato delle vecchie redazioni con il pannolone in testa (che è stato fortunatamente spazzato via dai prepensionamenti) adesso stanno sostituendo, improvvisamente, torme di giovani internettiani, senz’arte ne parte. Gente, per dirla con Ennio Flaiano, che è buona a niente e capace di tutto. Persone cioè che confondono la lunghezza dei pezzi con la loro leggibilità, dato che non conoscono la vecchia massima di Indro Montanelli che diceva che «sono lunghi i pezzi che, indipendentemente dalla loro lunghezza tipografica, non si leggono fino in fondo, mentre sono corti quelli di cui dispiace che siano finiti». Un rischio di questo genere, Sette non lo ha corso (per il momento) perché Vercesi sa anche che, da oggi, non inizia una nuova era storica (e men che mai nel giornalismo) del tipo appunto di quella che è nata 2012 anni fa. E, quindi, prima di sbattere l’uscio sul naso dei lettori che ha già, ritiene che sia meglio fidelizzarli per poi andare in cerca dei nuovi che pure continuano a esserci, visto che non mi risulta che, nel frattempo, per esempio, siano stati aboliti i licei classici o le facoltà umanistiche. L’Italia non può essere contenuta in 140 battute. Anche se c’è qualcuno che fa finta (mi auguro) di crederci. P.S.- Il nuovo supplemento televisivo del settimanale Sette (testata: Sette tv) merita una menzione particolare e a parte perché è un piccolo e discreto prodotto di altissimo artigianato giornalistico. Un supplemento di servizio, frutto di grande professionalità coniugata con l’umiltà, alla ricerca esclusiva di che cosa può essere utile al lettore. Le precedenti pagine finali di Sette dedicate alla tv, erano invece, palesemente, una discarica disordinata di informazioni, alla compilazione delle quali, evidentemente, la redazione si vergognava di lavorare. Esse venivano badilate nelle pagine perché servivano per adempiere, non per servire. Questo invece è, primo, un fascicoletto tascabilissimo che si propone di fornire al lettore frettoloso informazioni chiare e facilmente individuabili. Ogni giorno di programmi, per esempio, è contraddistinto da un colore diverso della carta. I programmi poi sono ordinati con passione e scelti con cura. Secondo, è un fascicoletto con le sue intelligenti leziosità, come il segno grafico nell’area mediana delle due paginette fronteggianti. Ciò significa che chi lo ha studiato e realizzato si è messo nei panni del lettore e lo ha voluto servire, fornendo ad esso il suo capolavoro, com’è quello di un calzolaio innamorato della sua calzatura. Di ogni sua calzatura. Non è iscritto a nessun ordine ma sa fare, e alla grande, il suo mestiere, in base a una sapienza artigianale che viene da lontano e che si accresce ogni giorno.