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 2012  maggio 21 Lunedì calendario

Sesso, arte e rock’n’roll Le imprese di Schifano tra Warhol e le borgate - La foto sarebbe benissi­mo sulla copertina di un disco rock o nella lo­candina di un film tipo Romanzo criminale : capelli lun­ghi, maglioncino attillato, jeans a zampa d’elefante su stivale cam­pero

Sesso, arte e rock’n’roll Le imprese di Schifano tra Warhol e le borgate - La foto sarebbe benissi­mo sulla copertina di un disco rock o nella lo­candina di un film tipo Romanzo criminale : capelli lun­ghi, maglioncino attillato, jeans a zampa d’elefante su stivale cam­pero. Se New York ha avuto Andy Warhol,nella Roma degli anni ’60 c’era lui,Mario Schifano,non solo il più grande pittore del nostro do­pog­uerra ma l’unico in grado di di­ventare personaggio autentico tra Dolce Vita e maledettismo di borgata. Lo racconta Luca Ronchi, regi­sta cinematografico già autore del documentario Mario Schifano Tutto , che sceglie di far parlare le voci dei protagonisti di una stagio­ne davvero irripetibile, nel bellissi­mo Mario Schifano. Una biogra­fia (Johan&Levi, pagg. 432, euro 29). Colleghi artisti, collezionisti, critici, galleristi, amici e familiari ripercorrono la storia di un mito dell’arte italiana dalla fine degli anni ’50,ancora lontana dalla mo­dernità, e il 1998 quando Schifano muore colpito da infarto. Una sto­ria indissolubilmente legata a quella di Roma (nonostante Ma­rio fosse nato in Libia nel 1934) cit­tà puttana e traditrice, allo stesso tempo accogliente e materna co­me avevano ben capito Fellini e Pasolini. Era la Roma in cui viveva­no sullo stesso pianerottolo di via Brunetti la coppia Moravia-Mo­rante e i giovani pittori Mimmo Ro­tella e appunto Schifano; nono­stant­e non esistesse ancora il siste­ma dell’arte e l’unico vero tramite fosse Plinio De Martiis, gallerista ma soprattutto appassionato, nel­la Capitale arrivarono i grandi americani Rauschenberg e Cy Twombly che poi decise di restar­ci a vivere. Schifano è «divorato» dalla pas­sione per il colore e pensa alla pit­tura in termini inediti di sperimen­tazione, ma la sua voracità tocca anche la musica rock, la biciclet­ta, una Rolleflex del 1958 da cui na­scono le inquadrature monocro­me che aprono la strada all’utiliz­zo della fotografia accanto alla pit­tura, e soprattutto le donne che im­pazziscono per questo giovanot­to con il fisico da attore americano sbarcato sul Tevere, I soldi della sua prima mostra li spende per una MG bianca: non ha la patente e si schianta contro un palo. Tra le sue vittime illustri della prima ora c’è la modella Anita Pallenberg, che più avanti ritroveremo nel­l’entourage dei Rolling Stones, possessiva, gelosa e regolarmen­te cornificata. I due, che si vestono come modelli di Vogue , partono insieme per New York in nave nel 1963: Schifano è convinto che Ilea­na Sonnabend si sarebbe convin­ta a fargli una mostra, ma gli artisti americani della galleria non lo ve­dono di buon occhio, soprattutto Rauschenberg che aveva visto re­spingere le sue avances dal pitto­re romano, eterosessuale convin­to. Le donne nella vita di Mario oc­cupano un ruolo fondamentale: sono belle, nobili, ricche e attra­verso di loro l’artista sottolinea il desiderio di riscatto sociale, an­che se la sua famiglia non era umi­le (il padre era impiegato al Mu­seo Etrusco di Roma): con Adfera Franchetti finisce tre mesi in gale­ra per uso di hashish, con Nancy Ruspoli tornerà invece in Ameri­ca per un lungo viaggio, Anna Cari­ni è la più amata negli anni ’60, mentre tra i flirt mondani non van­no dimenticate Marianne Fai­thfull, Benedetta Barzini e la di­ciottenne Isabella Rossellini. Altro aspetto molto interessan­te rivelato da chi lo conosceva be­ne: Schifano voleva essere un per­sonaggio, riconosciuto in pubbli­co e tutto sommato non gliene fre­gava molto di dividere il successo con i suoi colleghi pittori che pas­savano per essere degli sfigati. Sta­re sotto la luce dei riflettori signifi­cava assumere quei comporta­menti autodistruttivi che determi­nano il passaggio dall’era alcooli­ca a quella tossica. Nonostante il suo stare spesso sopra le righe (o forse proprio per questo) Schifa­no era inseguito dall’alta borghe­sia italiana, a cominciare da Gian­ni Agnelli per cui realizzò il gigan­tesco lavoro Stanza dei cinesi col­locato nella sala da pranzo dell’ap­partamento romano. L’Avvocato gli piaceva molto e talora gli amici lo prendevano in giro per l’innatu­rale erre moscia a chiosare il tono blasé. Peraltro, nonostante il ciclo Compagni compagni del 1968 e la vicinanza con Potere Operaio, Schifano non fu mai comunista e della contestazione avvertiva il fa­scino più estetico che non politi­co. Di aneddoti gustosi, ma soprat­tutto di up and down il volume cu­rato da Ronchi è pieno. I ripetuti guai con la giustizia, sempre per questioni di droga, ne hanno ali­mentato il mito di maledetto ma allo stesso tempo hanno reso la persona fragile e in balia di molti parassiti. I rapporti con i galleristi sono stati sempre difficili, perché Schifano era un infedele, non manteneva i patti e aveva sempre bisogno di molto denaro per per­mettersi vizi e stravizi. Avesse imparato a gestirsi e a centellinare la produzione, i suoi dipinti costerebbero dieci volte tanto, ma forse non avremmo avu­to quel personaggio straordinario che ha attraversato per quasi qua­rant’anni la storia dell’arte italia­na. Oggi fenomeni così inutile an­dare a cercarli, non esistono più, e tocca accontentarsi di imprendi­tori e ragionieri.