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 2012  maggio 21 Lunedì calendario

Terzi, il marchese americano che ora sui marò fa l’indiano - Con l’ingresso nel gover­no del marchese Giu­lio Terzi di Sant’Agata, abbiamo perso un ec­cellente ambasciatore per avere un modesto ministro degli Esteri

Terzi, il marchese americano che ora sui marò fa l’indiano - Con l’ingresso nel gover­no del marchese Giu­lio Terzi di Sant’Agata, abbiamo perso un ec­cellente ambasciatore per avere un modesto ministro degli Esteri. Lo scapito è irrimediabile. Primo, perché Terzi non sarà mai più am­basciatore poiché l’anno venturo avrà 67 anni e andrà in pensione. Secondo, perché per un anno an­cora ci starà sulla groppa come mi­nistro e, se tanto mi dà tanto, non c’è da stare allegri. Pesa come un macigno la storia dei due marò in India. Sono in ga­lera da oltre tre mesi e nessuno sa quando finirà. Tutto è poco chia­ro, per la solita astuzia italiana. In­certe le regole di ingaggio della missione antipiratesca per colpa della Difesa. Oscura la dinamica ­hanno o no ucciso i due pescato­ri?- per melina collettiva del gover­no. È invece tutta farina del mini­stro marchese l’arrendevolezza da stuoino con i maragià indiani. Schiaffi li prendiamo da tutti, ma stavolta è lo zenit. Dopo l’arresto dei due fucilieri, il 28 febbraio Terzi è andato in In­dia. La visita era già in program­ma. Uno con più grinta avrebbe però messo l’ aut aut :o mi garanti­te che tornerò con i marò o non vengo. Oppure, se decidi di anda­re comunque, non vai - come ha fatto Terzi - a trovare i due prigio­nieri senza la certezza di ripren­derli. Non entri nei luoghi di de­tenzione - con ciò avallandola - e poi dichiari sorridente: «Mangia­no spaghetti e sono trattati bene». Ohoo, egregio Terzi di Sant’Aga­ta, c’è poco da fare il diplomatico. Due suoi connazionali in divisa so­no al gabbio in un Paese «amico» e a rischio di condanna pluridecen­nale ( se non peggio) per avere ob­bedito agli ordini del governo di cui lei è parte. È enorme. Non ri­cordo precedenti. Lei è troppo fiacco, inerte e rassegnato. In una parola, inadatto. Pur di non batte­re i pugni, sfodera un ottimismo ri­dicolo. A ogni notizia dall’India ­sempre pessime finora - lei ripete a pappagallo: «È il primo passo per una positiva soluzione della vi­cenda ».Mesi di primi passi fareb­bero venire l’orticaria a un ippopo­tamo e lei, a furia di dirlo, fa la figu­ra di chi, non sapendo a che santo votarsi, tranquillizza se stesso. Non è nemmeno bello che cer­chi­di mimetizzarsi in questa infe­lice vicenda mandando allo sbara­glio il sottosegretario De Mistura mentre, se le cose filano lisce co­me con i due connazionali liberati dai maoisti indiani, si pavoneggi gorgogliante sotto i riflettori. «Tut­to il team dell’ambasciata e del consolato ha lavorato per questo grande risultato», disse trionfante quando furono rilasciati. Bene, ma ora che ha salvato due turisti spericolati, che sta facendo per i soldati? E proprio adesso ritira l’ambasciatore? La manfrina si fa all’inizio, ora è il tempo dell’azio­ne. Sorvolo su Rossella Urru, ai ceppi da qualche parte nel Ma­ghreb e sui qui pro quo con gli in­glesi, nel blitz in cui è morto l’italia­no, Franco Lamolinara. Tirando le somme: un pianto. Di famiglia marchionale, Giu­lio Terzi è nato a Tresolzio, in quel di Bergamo. Vagì nel castello avi­to sulle rive del Brembo, andando a scuola a Lodi dai Padri Barnabiti e al liceo classico del Collegio Ve­scovile di Bergamo. Dopo la lau­rea in Legge alla Statale di Milano, Terzi di Sant’Agata disse a se stes­so: «Ho due, quasi tre cognomi. Vorrà pur dire qualcosa». E scelse la diplomazia. I tre cognomi sono un marchio della Farnesina. Ci so­no ovviamente anche ambascia­tori normonomati, ma vuoi mette­re con i Terzi di Sant’Agata, gli Adorni Braccesi Chiassi, i Viscon­ti di Modrone, i Buccino Grimal­di, gli Estense di Castelvecchio, i De Martino di Montegiordano? Del farnesiano, Giulio ha anche le fattezze. Alto e distinto, naso di razza, chevalière al mignolo. Già giovanissimo incuteva rispetto. Per esercitarsi in vista del concor­so, andava da un’insegnante di francese nella Bergamasca. Co­me racconta il figlio della signora, il collega Mauro Suttora, fanciul­letto all’epoca, quando Terzi giun­geva, la mamma ammoniva: «Bambini, non urlate. Arriva il marchese». A 27 anni, nel 1973, Terzi vinse il concorso e si trasferì a Roma. A da­re slancio alla sua carriera, fu l’in­contro con l’ambasciatore Fran­cesco Paolo Fulci, leggenda della Farnesina. Siciliano, oggi ultraot­tantenne, Fulci era soprannomi­nato «canne mozze» per la deter­minazione. Fu lui che bloccò la co­optazione della Germania e di al­tre nazioni, tra cui l’India (che i marò siano una ripicca?), al seg­gio permanente all’Onu, giacché l’Italia ne era esclusa. Terzi ha lavorato con «canne mozze» due volte, in Canada e a New York (Onu). Quella di Fulci era una scuola con riti propri. Chi stava con lui era in una botte di fer­ro purché fosse un soldatino. Il lu­nedì, Fulci dava dei compiti: a, b, c. Il sabato esigeva il rendiconto. Giulio è il prodotto riuscito di que­sto magistero: funzionario effica­ce ma poco addestrato a fronteg­giare l’imprevisto. Ne paga lo scot­to oggi che è in politica. L’altra esperienza clou fu, da ambasciatore in Israele (2002-2004), la preparazione del viaggio a Gerusalemme di Gian­fry Fini, allora vicepresidente del Consiglio. Amico dell’aennino, Mirko Termaglia, bergamasco an­che lui, che si era tanto raccoman­dato, Terzi si mise di punta per fa­re digerire un nativo neofascista ai superstiti della Shoah. La cosa, come si sa, andò benissimo. Fini fece mea culpa , mise la kippah e si innamorò di Israele. Terzi entrò nelle sue grazie e, se oggi è mini­stro, lo deve a lui che ne è stato il principale mallevadore. Dopo Fini, fu di moda tra gli ex missini pellegrinare in Terrasan­ta. Tra i primi - con Terzi ancora ambasciatore - Gianni Aleman­no, allora ministro dell’Agricoltu­ra. Per non essere pedissequo, Gianni pensò a qualcosa di origi­nale: donare cinquecentomila eu­ro alla fondazione Peres (Shimon Peres, l’attuale capo dello Stato, ultimo grande d’Israele) per pro­grammi agricoli congiunti israelo­palestinesi. Peres accettò entusia­sta. Quando Alemanno giunse a Tel Aviv, Terzi - all’oscuro di tutto - voleva portarlo dal suo omologo con cui aveva preparato un incon­tro. «Ho un impegno», replicò Ale­manno e andò da Peres. Il mini­stro israeliano, offeso, fece una scenata.Terzi si incupì.«È la diplo­mazia dei dilettanti. In fumo anni di lavoro», esagerò. La sera però i tg, d’Italia e Israele, riferirono en­fatici l’incontro tra l’emergente Alemanno e il grande Peres. Terzi si unì svelto al coro e disse all’incir­ca: «È il frutto del nostro intenso la­voro e dei giusti rapporti intessu­ti... ». L’ultimo incarico prima del go­verno, l’ambasciata di Washin­gton (2009-2011), gli ha procura­to una piccola amarezza. Sui ses­santa, Giulio si è separato dalla moglie, Gianna Gori. Negli Usa era con la nuova fiamma, Antonel­la Cinque, da cui ha avuto due ge­melli, oggi di quattro anni. Indi­spettita, la signora Gori spedì una lettera circolare a Quirinale, Palaz­zo Chigi, ecc. per denunciare che il marito «spacciava un’altra don­na »come«moglie dell’ambascia­tore ». Scandaletto da nulla che pe­rò ha innescato nel nostro Giulio una frenesia querelatrice. Prima ha denunciato l’ex moglie,poi Da­gospia per avere scritto che la cop­pia ordinale­ cardinale, Terzi-Cin­que, vive a Roma in una dimora di favore, poi il Fatto per avere detto che il ministro ha contese col Fi­sco. Ha graziato solo Panorama che ha pubblicato la foto dell’auto blu del ministro che porta i gemel­li al nido. A noi, non resta che chiederci come abbia la testa per queste cre­tinate con i tanti buchi che deve tappare.