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 2012  maggio 20 Domenica calendario

Sparatorie, estorsioni e droga La «Puglia felix» non c’è più - Benvenuti all’inferno. Brin­disi come Bogotà ai tempi del narcotrafficante Pablo Escobar

Sparatorie, estorsioni e droga La «Puglia felix» non c’è più - Benvenuti all’inferno. Brin­disi come Bogotà ai tempi del narcotrafficante Pablo Escobar. Attentati esplosivi, omi­cidi, regolamenti di conti, traffici di armi e droga, racket e usura. Lo scenario tratteggiato nelle ultime informative della Direzione inve­stigativa antimafia fa accappona­re la pelle. I clan Pasimeni-Vitale e i Rogoli-Buccarella hanno ingaggiato una furibonda guerra senza quartiere che sta seminando terrore e mor­te. La posta in palio è il controllo della filiale locale della Sacra coro­na unita, o meglio di una «nuova» Scu che vuol mettere le mani sul business milionario del malaffa­re. A cominciare dai fondi europei destinati ad aziende che nascono e muoiono nel giro di pochi mesi intorno all’aerea del Petrolchimi­co. In mezzo, ostaggi della faida, ci sono la città e l’intera provincia. I rastrellamenti mafiosi sono al­l’ordine del giorno. La pressione criminale sul territorio è deducibi­le dalla frequenza e dalla virulen­za dei reati-spia connessi alle estorsioni – osservano gli investi­gatori della Dia – «quali, in partico­lare, gli incendi e i danneggiamen­ti che hanno interessato Brindisi, Mesagne, Fasano, Francavilla Fontana, Ceglie, S. Pietro Vernoti­co e Ostuni ». I bombaroli colpisco­no senza pietà. Avvertimenti e pu­nizioni sono esemplari. La minac­cia si è manifestata nei confronti di «stabilimenti balneari, struttu­re alberghiere, sedi di aziende, au­tovetture, beni mobili e immobili appartenenti a commercianti, ca­pannoni industriali, farmacie, concessionarie auto, magazzini di stoccaggio merci, paninote­che, bar nonché semplici negozi di alimentari». Pure gli spacciato­ri di droga pagano il pizzo e, quan­do gli accordi criminali saltano, scattano anche per loro le senten­ze capitali. Nell’area a sud di Brin­disi si sono verificati gravi «episo­di delittuosi in danno di soggetti sospettati o indiziati di commer­cio illegale di sostanze stupefacen­ti » che danno la cifra di una «situa­zione di effervescenza criminale, foriera di un possibile cambia­mento­negli assetti della criminali­tà organizzata o di una inversione di tendenza nella strategia del mi­metismo sinora perseguita». A Cellino San Marco non è passata la paura per il colpo di pistola alla testa di Gianluca Saponaro, gros­so trafficante internazionale di San Pietro Vernotico. Quattro giorni prima, l’abitazione di un suo affiliato era stata crivellata di proiettili. Le informative antima­fia parlano chiaro. Nessuno è più al sicuro: «professionisti, sindaca­listi e appartenenti alle forze del­l’ordine » sono finiti nel mirino dei gruppi organizzati e dei «cani sciolti». L’intera area metropolitana è una polveriera, ma la Dia tiene d’occhio in particolare San Pietro Vernotico, dove il 19 marzo 2010 l’operazione New Fire (10 arresti per incendi, rapine, estorsioni, furti, armi e droga) ha portato alla decapitazioneuna pericolosissi­ma cellula terroristico-mafiosa. E dove gli «atti di intimidazione, a colpi di arma da fuoco, registrati nei mesi di gennaio e febbraio scorso» avevano creato un clima di «intimidazione sociale finaliz­zata all’attività estorsiva ».Gli inve­stigatori sospettano che l’atmosfe­ra da guerriglia mediorientale in città di quei mesi fosse una strate­gia ben precisa, adottata per «de­terminare il trasferimento del co­mandante della stazione carabi­nieri di San Pietro Vernotico » che, con le sue indagini, aveva creato nonpochi problemi al clan. Un epi­sodio tutt’altro che isolato contro i rappresentanti dello Stato. A Me­sagne, sempre nello stesso perio­do, si erano verificati «due incen­di, in danno di beni di proprietà di due appartenenti alla Polizia di Stato, rispettivamente in servizio presso il commissariato di Ostuni e quello di Mesagne» che avevano partecipato ad alcune attività d’in­dagin­e proprio contro il racket del­le estorsioni. Non va meglio, ovvia­mente, ai magistrati che combat­tono in trincea contro le fameli­che orde mafiose. Al pm che lo ave­va fatto arrestare, il boss del rione Perrino di Brindisi, Benito Leo, vo­leva incendiare l’ufficio. E, assie­me ai locali della Procura, doveva­no essere inceneriti anche i nego­zi di chi non pagava la tangente. L’ordine l’aveva fatto partire dal penitenziario dov’era detenuto. I complici vennero fermati appena in tempo. Tritolo e fiamme sono le armi di distruzione di massa dei clan.Negli ultimi tre anni l’escala­tion è stata impressionante: una trentina di intimidazioni nel Brin­dis­ino è finita nei fascicoli della po­lizia. Gli ultimi episodi si sono veri­ficati a Mesagne (fucilate contro la palestra «G.fit Club») e nel capo­luogo, dove i «signori del pizzo» hanno preso a pallettoni la saraci­nesca di una boutique. E, appena una decina di giorni fa,l’auto di Fa­bio Marini, presidente della loca­le Associazione antiracket, è stata divorata dalle fiamme. Le cosche brindisine sono diffi­cili da contrastare perché hanno una spaventosa potenza di fuoco. In appena sei mesi lo Stato ha pre­so a schiaffi i clan che si stavano riorganizzando militarmente. Se­questrati 10 fucili, 3 pistole, una bomba a mano e due «ordigni esplosivi artigianali idonei a com­mettere attentati dinamitardi». Niente in confronto al sequestro di otto chili di polvere da sparo per cave scoperti a Oria, insieme a 70 metri di miccia a lenta combustio­ne e a­ltri trenta metri di miccia de­tonante. Roba da professionisti. Come dimostra la scelta della Sa­cra corona unita brindisina di affi­darsi ad artificieri esperti per le operazioni «pirotecniche» più spettacolari. Non «soldati sempli­ci » che posizionano le bombe, co­me fa la camorra napoletana, ma specialisti che sanno perfettamen­te come si piazza un timer e come si può far saltare in aria un palaz­zo. Sono 84 i mafiosi assicurati al­la giustizia in un anno. L’ultima operazione, ricorda la Dia, è di ap­pena dieci giorni fa. Sedici affiliati sono stati arrestati per una sfilza di reati che vanno dall’associazio­ne mafiosa alle estorsioni, dal dan­neggiamento all’incendio dolo­so. L’inchiesta l’hanno ribattezza­ta «Die hard», duri a morire. Co­me i malavitosi di queste parti.