Giovanni Caprara, Corriere della Sera 22/5/2012, 22 maggio 2012
Sei anni di terremoti tormentarono il Ferrarese. E nel febbraio 1576 finalmente tutto cessò. «In Ferrara portò danni inestimabili e si contarono oltre 2
Sei anni di terremoti tormentarono il Ferrarese. E nel febbraio 1576 finalmente tutto cessò. «In Ferrara portò danni inestimabili e si contarono oltre 2.000 scosse. Nell’area epicentrale si avvertirono rombi sotterranei, avvennero bagliori nell’atmosfera, si osservò il rigonfiamento improvviso delle acque del fiume Po con alterazioni del suolo ed emissioni violenti di acqua nerastra frammista a sabbia». Gli effetti si sentirono da Venezia a Roma e così li raccontava il canonico Sacrati in una lettera al vescovo di Verona Agostino Valier. L’evento colpì anche la mente dell’architetto Pirro Ligorio spingendolo a progettare subito un edificio antisismico. «Ha solo utilizzato delle regole geometriche di proporzioni e particolari costruttivi di collegamento tra pareti e solai, regole che se fossero state applicate in modo sistematico avrebbero enormemente ridotto nei secoli successivi vittime e danni», commenta Gian Michele Calvi dell’Istituto universitario di studi superiori di Pavia e direttore di Eucentre, il centro europeo dove si insegna come costruire per difendersi da terremoti. «Quel sisma ferrarese — aggiunge —, effetti spettacolari a parte, si può dire quasi il gemello dell’attuale». E se persino il tempio di Diana a Efeso nel VI secolo avanti Cristo aveva seguito criteri antisismici come racconta Plinio il Vecchio (costruito su terreno paludoso su strati di carboni e pelli sistemati sotto le fondazioni), dalla fine del Seicento la scienza fornisce agli ingegneri le conoscenze necessarie ad erigere case antisismiche. Dopo il terremoto di Lisbona nel 1755, persino Voltaire e Rousseau discutevano e scrivevano della questione animatamente. Ma inutilmente, potremmo aggiungere, se ancora oggi gli edifici crollano e si piangono i morti. Eppure non sembrano interventi complicati quelli necessari per neutralizzare i movimenti del suolo. «Si può verificare anche adesso nelle costruzioni antiche o relativamente recenti in muratura se hanno caratteristiche adatte per resistere — spiega Calvi —. Gli elementi più vulnerabili sono gli architravi di finestre e porte che dovrebbero essere formati da elementi continui, non da mattoni posti in verticale, e da camini e parapetti adeguatamente collegati alla struttura altrimenti cedono. L’edificio deve essere come una scatola con tutte le parti ben collegate tra pareti e solai. La vista di ogni fessura è segno di pessima connessione e indice di rischio. Le foto del Municipio di Sant’Agostino con la parete esterna staccata mostra proprio questo difetto». I condomini degli ultimi decenni spesso sono nati «deboli» perché ha prevalso un criterio troppo economico. «Nelle torri in cemento armato di quattro o sei piani — aggiunge Calvi — il problema che spesso si presenta in aree considerate una volta non sismiche è che il loro telaio è privo delle strutture necessarie a contrastare le forze di un sisma in ogni direzione». In pratica, meno travi di collegamento e quindi costi di costruzione inferiori. E questi edifici sono difficili da adeguare. «Solo un intervento di isolamento costituito da un diaframma che separa le fondamenta dall’edificio — precisa — può salvare la situazione consentendogli di scorrere e impedendo alle onde sismiche di penetrare nel palazzo». Quanti condomini degli anni Sessanta, Settanta e Ottanta sono spuntati con queste caratteristiche? «I primi trattati per costruzioni antisismiche si scrissero subito dopo il terremoto di Messina nel 1908 e sarebbe bastato seguirli per tutelarci — racconta Calvi —. Invece le prime norme cominciarono ad apparire solo negli anni Sessanta e anche quelle rimasero poco note. I terremoti del Friuli nel 1976 e dell’Irpinia nel 1980 segnarono la svolta che portò alle prime classificazioni. Ma regole moderne e adeguate esistono soltanto dal 2003». Per sapere se una casa le rispetta ci sarebbe l’Ufficio Territoriale provinciale (l’ex Genio Civile) che esegue una vigilanza nelle zone più a rischio. «E nelle altre chi controlla? — conclude Gian Michele Calvi —. Forse una spinta arriverebbe da una logica assicurativa: chi mette l’edificio in sicurezza ha polizze più basse». Giovanni Caprara