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 2012  maggio 20 Domenica calendario

SHERYL, LA STRATEGA DI FACEBOOK CON IL SOGNO DELLA CASA BIANCA —

Ogni anno Mark Zuckerberg si dà un obiettivo. Nel 2009 era quello di cercare di indossare la cravatta per assumere un’immagine da «top manager». Nel 2010 la priorità era imparare il mandarino. L’anno scorso cambiare dieta, diventando carnivoro. Nel 2012 il fondatore capo di Facebook vuole tornare a scrivere ogni giorno codici dei software coi quali sviluppare la tecnologia dell’azienda.
E la gestione operativa dell’impresa appena quotata in Borsa? Di quella si occupa il suo numero due, Sheryl Sandberg. La 42enne ex ragazza-prodigio di Harvard (che divenne, giovanissima, economista della Banca Mondiale e poi capo di gabinetto al Tesoro di Washington sotto l’ala del suo mentore, Larry Summers) è molto più di un direttore generale, la carica ufficiale: le sue responsabilità spaziano dalla raccolta pubblicitaria al marketing, dallo sviluppo strategico alle risorse umane, dalla comunicazione ai rapporti con la politica.
Quasi tutto eccetto lo sviluppo ingegneristico. E con la convinta benedizione di Zuckerberg: «Sheryl si occupa delle tante cose che non voglio o non so fare. Lo so, toccherebbe a me. Ma lei lo sa fare meglio e io le sono molto grato».
Quando arrivò a Facebook quattro anni fa, abbandonando Google, la rete sociale aveva 100 milioni di utenti. Ora ha superato quota 900. Sarebbe cresciuta, magari meno velocemente, anche senza di lei. Ma non sarebbe diventata un’azienda redditizia. Fin dal primo giorno, col suo dinamismo e il suo senso pratico, Sheryl ha ricominciato a mettere ordine in un’impresa che perdeva soldi e nella quale tutti, a partire da Zuckerberg, pensavano che la cosa importante fosse creare qualcosa di «cool», di attraente per i giovani. E il risultato economico? In qualche modo, sarebbe arrivato. «Non siamo qui per fare soldi» diceva Mark ai suoi fan.
Con la Sandberg tutto questo è cambiato: la gioiosa (e costosa) macchina da guerra è stata trasformata in una vera azienda. Pareggio nel 2009, profitto nel 2010. Poi il grande balzo: la quotazione di venerdì che ha portato Facebook nell’olimpo dei giganti della tecnologia (già oggi vale più di Amazon e la metà di Google) rendendo miliardari Zuckerberg, diversi suoi compagni di strada e la stessa Sheryl.
La missione della Sandberg non finisce certo qui: lo sbarco in Borsa è stato accidentato e la navigazione futura potrebbe essere difficile, soprattutto se continuerà a crescere l’incertezza che è tornata a dominare i mercati. Appena completata l’operazione-capolavoro della quotazione, Sheryl deve già correre ai ripari, studiando nuovi modi per rendere più redditizia una società che con la pubblicità raccoglie troppo poco, rispetto alle attese del mercato.
E siccome la supermanager, oltre che pragmatica è anche spregiudicata, Facebook ha cominciato a sperimentare in qualche mercato remoto come la Nuova Zelanda un tariffario per gli utenti che inseriscono molte foto nelle loro pagine e vogliono che i loro amici in rete vengano aggiornati tempestivamente. «Non vi chiederemo mai di pagare» è stata per anni la promessa ripetuta da Facebook agli utenti. Ma i tempi sembrano essere cambiati, anche se l’azienda non conferma, limitandosi a un laconico: «Sono solo sperimentazioni».
Sperimentare, cambiare rotta se necessario. È la filosofia di Sheryl che trova limitante inseguire obiettivi precostituiti: «Quando ero ad Harvard o al ministero del Tesoro, chi avrebbe detto che sarei finita a Facebook?». Invece lei coglie sempre di sorpresa tutti: anche i capi di Google, dove ha lavorato dal 2001 al 2008, dopo sei anni passati alla società di consulenza McKinsey. Ma, oltre che capace, la Sandberg è ambiziosa. Coi fondatori Page e Brin alla presidenza e Eric Schmidt allora amministratore delegato, non c’era spazio per arrivare al vertice di Google. Così passò a Facebook.
Dove non è detto che rimanga a lungo: i mille impegni filantropici, la scelta di entrare nel comitato per l’occupazione creato da Barack Obama alla Casa Bianca, i suoi molti discorsi pubblici soprattutto per la promozione del ruolo della donna nella società, fanno pensare a molti che il suo futuro sarà a Washington, in politica. Lei è prudente (altre donne-manager come Meg Whitman e Carly Fiorina hanno già tentato senza successo l’avventura) ma non lo esclude: «Voglio fare cose che contano. E oggi Facebook mi dà questa possibilità».
«Farà altro, mi aspetto di vederla un giorno candidata alla Casa Bianca» dice il capo di Aol, Tim Armstrong, che ha lavorato con lei a Google. La pensano così molti altri, dalla senatrice Claire McCaskill a David Kirkpatrick, autore di «The Facebook Effect», il miglior libro-inchiesta sulla società. La prima a tingere di rosa la Casa Bianca? Sheryl, dicono i suoi «fan», ha molte delle doti della donna che ci è arrivata più vicina, Hillary Clinton: tenacia, preparazione, disciplina mentale, ma anche uno straordinario network di relazioni ad alto livello e qualche «apripista» d’eccezione.
Le manca, ancora, la diplomazia di Hillary. L’anno scorso, quando il Barnard College di New York la chiese di fare il discorso di fine anno (un onore, nel 2010 toccò alla Clinton, quest’anno a Obama) lei man--dò in visibilio le studentesse dicendo che «un mondo nel quale gli uomini si occupano della casa e le donne delle istituzioni è un mondo migliore». Per qualunque carica elettiva, però, avrà bisogno anche del voto dei maschi.
Massimo Gaggi