Massimo Gaggi, Corriere della Sera 19/05/2012, 19 maggio 2012
FACEBOOK, UNA FAVOLA D’ORO A META’ —
Festa da stadio nel «campus» di Facebook a Menlo Park con Mark Zuckerberg, interprete perfetto della civiltà digitale che azzera le distanze e annienta la materia, che decide di suonarla qui, nel cuore della Silicon Valley californiana, la campana che apre le contrattazioni al Nasdaq di New York, la borsa dei titoli tecnologici. Facebook entra nel listino e poco dopo si impenna dell’11% rispetto ai 38 dollari dell’apertura.
Tripudio e brindisi dei nuovi miliardari. Non solo il fondatore: anche amici e compagni di strada e Sheryl Sandberg, la direttrice generale della società che è stata il motore di questa grande operazione finanziaria. La sua quota, al prezzo di collocamento, vale 1,2 miliardi di dollari. Molto, ma meno degli oltre 5 miliardi (teorici) finiti ieri nelle tasche di Dustin Moskovitz, il compagno di stanza di Zuckerberg, negli anni universitari ad Harvard.
Peter Thiel, che aiutò Mark a trovare il primo finanziamento di 500 mila dollari, ora si ritrova con un pacchetto che vale 2,7 miliardi. Quanto quello di Sean Parker, che convinse Zuckerberg a trasferire la società in California, mentre Chris Hughes, il cofondatore che poi lasciò la società per andare a dirigere, nel 2008, il versante digitale della campagna presidenziale di Barack Obama, si deve "accontentare" di 836 milioni. E’ andata decisamente meglio a Eduardo Savarin, il socio che fu «scaricato» dal fondatore quando si trasferì nella Silicon Valley: la sua quota è analoga a quelle di Thiel e Parker. Ed Eduardo, che ora fa il finanziere a Singapore, ha pensato bene di risparmiare anche i 67 milioni di tasse che avrebbe dovuto versare al Fisco Usa, rinunciando alla cittadinanza americana.
Festa, "champagne" e nuovi miliardari. Ma anche tanta gente comune che, utente quotidiana di Facebook, ha tentato invano di acquistare un pacchetto di titoli e ora manifesta la sindrome dell’escluso: «E’ come non essere invitato alla festa della tua scuola» protesta qualcuno.
Rimpianti che durano poco: dopo una breve impennata il titolo, molto richiesto ma anche massicciamente venduto da gente che aveva comprato con in mente un "mordi e fuggi", comincia a scivolare, fino a chiudere con un più contenuto rialzo dello 0,61% — a 38,23 dollari — sul prezzo di collocamento: molto meno del +15% medio registrato dalle ultime offerte pubbliche d’acquisto. Inoltre, secondo il Financial Times, per evitare che le azioni scendessero sotto i 38 dollari, sarebbero intervenute sul mercato le istituzioni finanziarie coinvolte nel collocamento. Come sempre in situazioni con movimenti simili, la Sec avrebbe avviato una verifica.
Quello di Facebook rimane il terzo Ipo della storia per dimensioni: 19 miliardi raccolti da un’azienda che, con l’azione a 40 dollari, capitalizza 110 miliardi. Tanto per fare un confronto: con l’Ipo del 2004 Google raccolse solo 1,67 miliardi, pari a una capitalizzazione di 26 miliardi. Ma oggi il gruppo di Mountain View vale 203 miliardi. Facebook si ferma alla metà, ma vale più di Amazon (96 miliardi). E Zuckerberg, con un patrimonio personale teorico di circa 20 miliardi, scavalca Larry Page e Sergey Brin, i fondatori di Google, nella classifica dei miliardari.
Finita l’ubriacatura delle cifre a nove zeri, però, per lui arriva il momento di guardare in faccia la dura realtà dei mercati. Oltre 900 milioni di utenti, lo strumento di comunicazione e dialogo più capillare della storia dell’umanità. Con la sua rete sociale Zuckerberg ha fatto miracoli, ma ora Facebook è adulta, perde l’innocenza: niente fuochi d’artificio e, con gli analisti lì a sostenere che anche 100 miliardi sono un valore molto gonfiato per una società che l’anno scorso ne ha fatturati solo 3,7 guadagnandone uno, arriva il momento di rimboccarsi le maniche per cercare di "monetizzare" l’incredibile popolarità di questo strumento. Del resto i segnali d’allarme non erano mancati: i titoli di altre società digitali molto "cool" andate di recente sul mercato, da Zynga a Groupon, oggi quotano meno (a volte molto meno) del valore di collocamento. Fin qui Facebook ha cercato soprattutto di allargare i suoi strumenti di raccolta pubblicitaria, ma ora sembra stia cominciando a esplorare qualcosa di nuovo. In Rete fioriscono i "post" ironici di chi immagina che, per soddisfare l’avidità di Wall Street, Facebook erigerà dei "paywall", facendosi dare soldi dagli utenti per inserire foto nelle loro pagine e, addirittura, multandoli per ogni errore grammaticale.
Ridiamoci sopra, ma dalla remota Nuova Zelanda arriva la notizia che Facebook ha cominciato a chiedere ai suoi utenti una "fee" di due dollari per garantire loro che gli amici vedano tempestivamente tutto quello che inseriscono nelle loro pagine. Il servizio si chiama Highlight ed è una specie di canale "premium", come Reach Generator, servizio pubblicitario "col turbo" introdotto a febbraio. E la storica promessa di Facebook che «il nostro servizio è gratuito e lo sarà sempre»? Per adesso siamo solo alle sperimentazioni, dicono laconicamente dal quartier generale californiano.
Massimo Gaggi