Francesco Verderami, Corriere della Sera 19/05/2012, 19 maggio 2012
BERLUSCONI: IL VOTO MALE PEGGIORE
Sono in gioco i destini del Vecchio Continente, e sebbene non sia più della partita, Silvio Berlusconi ritiene che la partita sia sempre la stessa, che Berlino continui a dettar legge, che non abbia intenzione di cambiare schema: «Perché la politica tedesca non riesce a immaginare una Germania europeizzata. Mira invece a un’Europa germanizzata.
Ma questa linea alla lunga rischia di portarci al disastro».
«Non si può morire di rigore», dice il Cavaliere nelle ore più convulse della storia dell’Unione, mentre osserva da bordo campo l’andamento delle trattative ai vertici internazionali. L’indice accusatorio è puntato verso Angela Merkel, contro la cui politica economica «ho sempre fatto blocco a Bruxelles insieme ad altri capi di Stato e di governo, quando ero presidente del Consiglio». È il principio della solidarietà europea che — a suo giudizio — viene piegato agli interessi tedeschi, siccome «la Germania sta approfittando di tutti noi. Con i suoi bund all’1% si finanzia a un costo bassissimo, facendo pagare agli altri — Italia compresa — il costo della linea del rigore a oltranza».
La crisi della Grecia è il simbolo del fallimento di questa linea, «ad Atene la situazione non sarebbe precipitata se si fosse intervenuti per tempo. Invece, il ritardo nell’opera di salvataggio e le misure di rigore che hanno innescato una spirale recessiva, hanno provocato il dramma». Dalle conversazioni ufficiali degli ultimi giorni, Berlusconi ha ricavato un convincimento piegato al pessimismo. Dispera infatti che la Grecia riesca a restare nell’euro, «è difficile immaginare che la situazione sia ancora risolvibile, o piuttosto ipotizzare un percorso che porti i greci verso una politica economica libera dai vincoli europei», e dunque sganciata dall’area della moneta unica.
Quanto sta accadendo dovrebbe spingere i paesi membri dell’Ue a «muovere su Bruxelles» per «denunciare gli errori». Certo, non è dal muro contro muro che si può arrivare a un compromesso, per questo l’ex premier fa mostra di confidare nel G8 di camp David e nei vertici europei che si chiuderanno con il Consiglio di giugno: «La speranza è l’ultima a morire. Però...». Ogni volta che gli chiedono di proseguire nel suo ragionamento, il Cavaliere si trattiene: «Non posso dire quello che davvero penso». Nè rivela se l’ha confidato a Mario Monti, l’altro giorno a colazione.
L’incontro con il suo successore a palazzo Chigi gli ha lasciato un retrogusto amaro, segno di un confronto aspro che ha marcato le differenze. La gestione dell’attuale gabinetto tecnico non lo convince. «Ci vorrebbe ben altro», questo è il suo commento riferito allo stato maggiore del Pdl: «Tuttavia il senso di responsabilità ci impone di continuare a sostenere il governo. Le elezioni oggi sarebbero il male peggiore». E la battuta offre uno spaccato delle relazioni con il Professore. Come non bastasse, Berlusconi non è certo che la legislatura farà il suo corso completo, «non sono convinto che si arriverà nel 2013». Di una cosa è sicuro: «Non saremo noi a provocare le eventuali elezioni anticipate».
È un modo per avvisare gli altri partner della «strana maggioranza» che il Pdl «non cadrà nella trappola sulla giustizia». A tenderla, secondo il Cavaliere, sarebbe stato il Pd: «E ha fatto bene Angelino Alfano a denunciare il comportamento sleale di Pier Luigi Bersani su un provvedimento — quello dell’anticorruzione — che porta peraltro la mia firma». Difficile capire chi stia davvero manovrando per far saltare la luce a palazzo Chigi, mentre intanto tutti giurano di non voler staccare la spina. Nello scambio di accuse, Berlusconi fa salire «una parte» dei Democratici sul banco degli imputati: «C’è chi cerca di provocarci, ma non ci cascheremo. Vorrebbero che mettessimo in crisi il governo sulla giustizia. È vero che è stato disatteso il patto, che l’esecutivo non ha portato avanti di pari passo la riforma delle intercettazioni, come aveva garantito. Comunque noi non cadremo nel tranello. Figurarsi... Ci verrebbero tutti addosso».
«Non dobbiamo fare il gioco di Bersani», ha ripetuto il Cavaliere al vertice di partito l’altra sera. Perché a suo avviso è il segretario dei Democrat che avrebbe «due buoni motivi per puntare al voto in ottobre»: «Primo perché nella situazione attuale, con il disastro della Lega e con Casini che non ha ancora deciso cosa fare, è convinto di vincere. Secondo perché, se si andasse alle elezioni in autunno, non dovrebbe fare le primarie, che lui teme — e a ragione — visto che non ne uscirebbe vincente».
Lo sguardo gettato nello schieramento avverso, non lo distrae dai lavori di ristrutturazione del centrodestra, che il Cavaliere non vuole venga chiamato il campo dei moderati. «Non chiamatelo campo dei moderati», ha chiesto ai dirigenti del suo partito: «È il campo degli incazzati. Siamo tutti incazzati», ha detto, omettendo di dire che l’arrabbiatura è il prodotto della politica economica di Monti. «Non ci sono più moderati. L’unico forse a sentirsi ancora un moderato sarà Casini. Probabilmente però, guardandosi allo specchio la mattina e vedendosi invecchiato, anche Pier si incazzerà».
La battuta — che ha fatto ridere lo stato maggiore del Pdl — lascia intuire il disegno politico di Berlusconi, il suo progetto «rivoluzionario» che dovrà prender corpo nei tempi e modi appropriati per non essere bruciato: una confederazione che sarebbe più di un’alleanza e meno di un partito unico, con il Pdl («il cambio del nome è l’ultimo dei nostri problemi») guidato da Alfano, a cui è affidato il compito di annunciare la proposta, e la delega per il ruolo di federatore.
Un ruolo delicato per il segretario, «che ha con sé tutto il gruppo dirigente, e il mio personale sostegno. Lui sa che siamo legati da un vincolo indissolubile di affetto e di fiducia reciproca». È chiaro dunque che il varo del progetto è legato ai tempi della legislatura. Così come il candidato a palazzo Chigi dipenderà dal modello di coalizione. «A tempo debito», dice Berlusconi: «Ci stiamo guardando intorno. Di sicuro per il futuro servirà gente nuova e capace».
Di sicuro, per sfidare i pronostici che danno vincente il centrosinistra alle prossime elezioni, serviranno anche gli alleati. Luca di Montezemolo non ha ancora sciolto le riserve, «ma se entrerà in campo — assicura il Cavaliere — non lo farà con la sinistra». Quanto a Casini, il fondatore del Pdl gli ricorda che «io di passi indietro ne ho fatti due. Da capo del partito prima e da capo del governo dopo. Nè intendo ricandidarmi a premier». Sarà, ma ogni qualvolta snocciola i dati dei sondaggi — «dai quali risulta che ho il maggior apprezzamento tra i leader europei» — i suoi interlocutori hanno la sensazione che Berlusconi abbia ancora la tentazione: «No, no. Non mi proporrò più da primo ministro. Magari da ministro dell’Economia. Scherzo...». Scherza?
Francesco Verderami