Andrea Nicastro, Corriere della Sera 19/05/2012, 19 maggio 2012
LA FAVOLA NERA DI BANKIA AFFOSSATA DAI SUOI PADRINI — I
due grandi partiti spagnoli, il Popolare al governo e il Socialista all’opposizione, hanno provato a spiegare la nazionalizzazione di Bankia, il quarto gruppo finanziario del Paese, come una favola: eliminato il cattivo, si può continuare a tenere i soldi in banca felici e contenti.
Per i socialisti, l’uomo nero è Rodrigo de Rato Figaredo, il presidente dimissionato di Bankia, capro espiatorio perfetto con la sua storia da grand commis della destra. Per i Popolari, invece, tutta la colpa è di Miguel Angel Fernandez Ordóñez, il governatore della Banca centrale di Spagna, scriteriato architetto della fusione tra banche in profondo rosso. Anche lui, colpevole ideale, perché in quota socialista e per di più in scadenza quest’estate. Entrambi sono stati silurati in una par condicio dei sacrifici. Il primo costretto alle dimissioni, il secondo commissariato dalla Banca europea.
Il fumo della polemica ha distratto qualcuno. Pochi. Perché il caso Bankia non è isolato e nell’economia spagnola lupi e agnelli sono ovunque. Neppure i contribuenti possono piangere come gregge da tosare. Negli anni buoni, hanno comprato a prezzi esagerati appartamenti, villette, auto, vacanze che non potevano permettersi e che ora non possono ripagare. L’ansia che si respira ai Bancomat deriva dall’avere un amico su quattro disoccupato e uno su tre con lo stipendio in calo. Ansia per un’Europa che si allontana. Lo spread spagnolo di mercoledì oltre la soglia di 500 punti, ha ricordato che il salvataggio greco è stato deciso a 501 punti, l’irlandese a 519 e il portoghese a 517.
Bankia nasce nell’estate del 2010 dall’unione di sette banche locali sotto influenza del Partido Popular, Pp. È figlia illegittima della pretesa dell’allora premier Zapatero di unire tante debolezze per ottenere una forza. E dell’ambizione del Pp di costruire un polo finanziario di prima grandezza. Premier e governatore della Banca centrale sono socialisti, ma a capo della neonata superbanca va Rodrigo Rato, un peso massimo del Pp.
Rato viene dall’oligarchia franchista, suo bisnonno era ministro di Alfonso XIII. Il padre, però, cadde in disgrazia e mandò il 18enne Rodrigo a studiare in California. Lì il giovane cresciuto a protezionismo e autarchia viene folgorato dal liberismo anglosassone. Diventa l’uomo giusto del post franchismo. È tra i fondatori del Pp, per otto anni fa il ministro delle Finanze, poi direttore gerente del Fmi.
La sua gestione di Bankia è, checché se ne dica, impressionante. Basta la nomina a frenare l’esodo dei clienti. Crea una bad bank, la Bfa, per andare in Borsa. Il Mercato sostiene il titolo. Nei report si parla di «deciso processo di razionalizzazione» che poi vuol dire 4 mila tra licenziamenti e pensionamenti e 840 filiali in meno. In un anno il risparmio arriva al 13%. Non basta. Bankia ha 10 milioni di clienti, 350 mila azionisti, ma anche 32 miliardi di crediti tossici, forse di più. È quel «forse» il cattivo della storia. Senza crisi dell’euro, senza tagli alla spesa pubblica, senza recessione, la cura Rato avrebbe «forse» funzionato a dispetto dei mattoni tossici.
A sostituirlo il Pp ora chiama un «tecnico», José Ignacio Goirigolzarri, e apre le porte della propria Banca centrale a revisori privati e controllori mandati dalla Banca europea esautorando di fatto il governatore socialista. Ma soprattutto si appella all’Europa. «La Spagna — ha detto il premier Rajoy —, sta facendo la sua parte. Ora l’Europa deve salvare l’euro». E questa, davvero, non è una favola.
Andrea Nicastro