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 2012  maggio 19 Sabato calendario

GARANZIE E BOND, IL PIANO PER DIFENDERE L’EURO —

Nella cartella di Mario Monti, ieri alla partenza per il G8, c’era un documento che interessa molto anche a Barack Obama. Negli aspetti tecnici l’ha preparato la Banca d’Italia e va al cuore di una delle decisioni vitali sul tavolo sia del vertice degli Otto di Camp David sia in quello europeo di mercoledì prossimo. Fra coloro che attendono di veder applicato quel progetto, per poter a loro volta intervenire se servisse, c’è anche Mario Draghi. La Banca centrale europea, che lui guida, sa che dagli sviluppi del piano di Monti al G8 dipende molto della capacità del sistema euro di rispondere allo choc di una possibile uscita della Grecia.
Soprattutto grazie alla liquidità dell’Eurotower, gli strumenti per riuscirci esistono; ma perché si possano azionare in tempi stretti occorre che il G8 e il summit di Bruxelles nei prossimi giorni producano indicazioni precise.
Il piano discusso ieri al G8 ha un obiettivo semplice solo da enunciare: un sistema europeo di garanzie sui depositi bancari. Attualmente ogni governo offre delle garanzie ai risparmiatori sui loro conti in banca fino a un certo limite (in Italia, a 103 mila euro). L’obiettivo di queste coperture è prevenire il rischio una corsa agli sportelli in caso di panico finanziario, perché i ritiri della clientela potrebbero mettere in ginocchio le banche: in media i depositi di famiglie e imprese finanziano metà del bilancio degli istituti.
Il timore oggi è che le garanzie nazionali potrebbero non bastare, qualora la crisi greca degenerasse al suo ultimo stadio. In Europa infatti le garanzie non sono tutte uguali. Certe sono più alte, altre sono più basse. Alcune sono offerte da Stati con bilanci molto più solidi, dunque più credibili, altri da governi con un conti pubblici fragili.
Se la corsa ai ritiri dei fondi accelerasse in Grecia, per l’Europa si aprirebbe dunque una fase delicatissima. Oggi i depositi bancari in Grecia sono già del 16,7% al sotto dei livelli di un anno fa (in Italia, invece, del 2% al di sopra) ma da quando questa foto è stata scattata nel marzo scorso l’emorragia è proseguita. In Grecia, le autorità europee hanno notato in questi ultimi giorni una corsa ai ritiri di fondi nel mercato all’ingrosso (nei titoli a reddito fisso o nei prestiti interbancari). Questa tendenza stende un’ombra sulla capacità del Paese di arrivare alle elezioni del 17 giugno prima che il suo sistema bancario capitoli. Il default e l’uscita dall’euro possono arrivare anche prima del voto: una corsa agli sportelli è in grado di innescare una reazione a catena in cui al governo di Atene non resta che stampare moneta propria per far fronte ai pagamenti.
Questo precedente greco, a sua volta, può estendere il contagio negli altri Paesi dell’euro oggi in difficoltà. I risparmiatori portoghesi, o spagnoli, o di altri Paesi, potrebbero voler ritirare i loro risparmi dalle banche perché diffidano delle garanzie puramente nazionali sui loro depositi. Il piano che Monti ha portato al G8, sostenuto da Obama e dalla Bce, interviene esattamente su questo punto: creare (anche) un patto europeo per le garanzie in modo da creare un terreno equilibrato e fermare le emorragie di fondi da un Paese all’altro, dal sud al nord. Questo è uno degli sviluppi che la Bce vuole vedere per poi essere pronta, se occorrerà, a fornire più liquidità all’intero sistema.
In primo luogo il piano delle garanzie sui depositi prevede che i governi si muovano in modo coordinato. Va evitata una ripetizione dell’ottobre 2008, quando Dublino agì da sola e offrì garanzie illimitate sui conti irlandesi. Quella mossa creò un deflusso di risparmi dalla Gran Bretagna o dall’Olanda verso l’Irlanda, ma oggi questi atti ostili vanno evitati ad ogni costo: destabilizzerebbero ancora di più il sistema-euro. Il secondo punto del piano dell’Italia al G8 prevede poi un ulteriore livello europeo di garanzie, finanziato in comune, per rassicurare i risparmiatori dei Paesi più fragili.
In cima alle preoccupazioni di tutti c’è la Spagna dove Bankia, terzo gruppo del Paese, malgrado le smentite ha davvero subito dei deflussi nei giorni scorsi. Proprio la situazione iberica è l’altro tema sul quale si concentra il confronto fra leader in questi giorni. Ed è il secondo dei problemi che la Bce vuole che i politici affrontino, prima di potersi impegnare direttamente a tutela dell’euro. Il punto centrale è che servirebbe una decisa ricapitalizzazione del sistema bancario spagnolo ad opera del Fondo salvataggi europeo, per cancellare i dubbi sulla tenuta degli istituti. Un aiuto da parte del governo di Madrid non farebbe infatti che minare la tenuta dei conti pubblici e non riuscirebbe a eliminare il rischio, per ora eventuale, di vere corse agli sportelli. Ma su questa mossa europea incombe un limite legale, perché il Fondo salvataggi (Efsf) può aiutare solo i governi e non direttamente le banche di un Paese. Anche questo sarà un problema da risolvere in questi giorni, prima che la Grecia rischi di cogliere tutti impreparati.
A fronte di questi sviluppi, la Bce ha già passato in rassegna le sue armi. Fra queste non c’è un intervento diretto su scala colossale come quelli della Federal Reserve. Ma l’Eurotower pensa già all’ipotesi di nuove maxi-aste straordinarie di liquidità per permettere alle banche di non restare senza fondi in caso di choc da Atene e susseguente panico. Quanto a questo, gli istituti di credito italiani dispongono ancora di garanzie regolari da circa 200 miliardi, che permettono di poter tirare nuovi prestiti dalla Bce. Ci sono poi altre leve in mano a Draghi: gli acquisti diretti di bond sovrani, come fatto per l’Italia tra agosto e dicembre, e un taglio dei tassi sotto l’1%.
Tutte leve che non si escludono a vicenda, qualora il contagio greco lo richiedesse. Ma, prima, dai leader dovranno uscire indicazioni univoche: a favore dell’euro nei fatti, non solo a parole.
Federico Fubini