Varie, 20 maggio 2012
GRECIA PER FOGLIO DEI FOGLI 21 MAGGIO 2012 - «I
bookmaker di Londra non accettano più scommesse sull’uscita della Grecia dall’euro. Viene data pressoché per certa» (Luigi Zingales). [1] La De La Rue, azienda britannica che produce banconote per oltre 150 paesi del mondo, starebbe mettendo a punto piani d’emergenza per prepararsi a un possibile ritorno della dracma. Mattia Bernardo Bagnoli: «Le indiscrezioni - perché, ovviamente, di questo si tratta - sono state raccolte dal Times di Londra». [2] Andrea Bonanni & Alberto D’Argenio: «Su Internet si possono vedere i filmati, non si sa se veri o falsi, di presunte tipografie cinesi intente sfornare le prime banconote greche “post-euro”». [3]
Il 6 maggio i greci sono andati alle urne. Astensione al 40%, gli elettori hanno bocciato i due grandi partiti tradizionali, Nea Dimokratia (20% contro il 33,5% del 2009) e Pasok (14% dal 43,9% del 2009), promotori della politica di austerità voluta dall’Unione europea e sostenitori dei Memorandum firmati dal governo di Atene con i creditori internazionali. La sinistra radicale di Syriza ha raggiunto il 16% (non era mai andata oltre il 5%) diventando il secondo partito del Paese; a destra il Partito dei greci indipendenti è arrivato al 10%, i neo-nazisti di Alba Dorata, 6%, sono entrati per la prima volta in parlamento. Sulle prime il principale candidato alla guida di un esecutivo nazionale era Antonio Samaras, leader di Nea Dimokratia. [4]
Mentre si calcolavano nel 40% le probabilità di un’uscita della Grecia dall’euro entro la fine dell’anno, Samaras ha tentato di stringere una nuova alleanza con i socialisti del Pasok. [4] Poiché, nonostante il super bonus di 50 seggi spettante al primo partito, ne mancavano due per avere la maggioranza (108 più 41 su 300), il tentativo è fallito. [5] Mandato esplorativo assegnato al leader di Syriza, Alexis Tsipras, il suo programma era chiaro: «Una coalizione che realizzi quello che i greci hanno chiesto nelle urne: cancellare gli accordi con la Trojka (Unione Europea, Banca Centrale Europea, Fondo Monetario Internazionale, ndr), una tragedia per il paese, e pagare solo i debiti che siamo in grado di onorare». Anche questo tentativo è fallito. [6]
Per convincere i greci che devono continuare sulla strada del rigore non resta molto tempo. Adriana Cerretelli: «Meno di 30 giorni per evitare che il 17 giugno il responso delle seconde elezioni in Grecia sia più disastroso del primo». [7] Federica Bianchi: «Il 70 per cento della popolazione non vuole uscire dall’euro, ma è fermamente convinta di poter rimanere al suo interno facendo a pezzi l’accordo che subordina i 130 miliardi di nuovi aiuti a ulteriori licenziamenti nel settore pubblico e a nuove tasse». [8] Questa, in sostanza, è la linea di Tsipras, che non ha mai chiesto l’uscita dall’euro. [9] Alberto Bisin: «Siamo ad una impasse da manuale di strategia politica: la Grecia scommette che l’Europa non avrà la forza di lasciare andare il paese e l’Europa fa la voce grossa in risposta. L’impasse non potrà durare a lungo». [10]
In pochi giorni, mentre scemavano le speranze che potesse essere costituito un governo di coalizione, sono stati ritirati dalle banche 2 miliardi di euro di depositi (il 2% del totale), finiti probabilmente sotto i materassi. [10] Lo scenario più ottimistico prevede che il 17 giugno i partiti favorevoli a restare nell’euro ottengano abbastanza voti per formare un governo: un sondaggio condotto da MARC/Alpha dopo il fallimento dei negoziati segnala il ritorno di Nuova Democrazia: otterrebbe il 26,1 per cento (128 seggi, compresi i 50 di bonus) e il centrodestra supererebbe con l’appoggio di Pasok i 151 deputati necessari, ricostruendo l’accoppiata che per trentotto anni ha dominato la politica del Paese. [11]
Il nuovo governo di coalizione dovrebbe comunque garantire al Paese condizioni meno dure. Bonanni & D’Argenio: «Ci potrebbero essere concessioni “politiche”, che prevedano il rinvio di alcuni tagli e di alcune riforme molto dolorose e l’anticipazione di qualche misura più popolare». [3] Ammesso che l’austerità funzioni, serve tempo, e con la disoccupazione al 22% il ritorno alla dracma non sarebbe comunque scongiurato. Zingales: «Basta citare un breve dibattito che ho avuto con un ex consulente del Fondo monetario internazionale. Alla mia richiesta di cosa avrebbe fatto se gli fosse stato attribuito il potere assoluto in Grecia, mi ha risposto che avrebbe seguito fedelmente il piano di austerità e riforme strutturali delineato da Lucas Papademos, il primo ministro tecnico uscente. Ma quando poi gli ho chiesto che reazione avrebbe avuto se la tensione sociale avesse minacciato il suo potere, ha risposto immediatamente: “Uscirei subito dall’euro”». [1]
Vincesse la sinistra anti Ue, il memorandum di intesa con la trojka sarebbe immediatamente rinnegato. Stefano Lepri: «Vengono perciò interrotti gli aiuti finanziari. Atene non ha altra scelta che dichiarare il default: non pagherà più i debiti. In astratto, si potrebbe farlo anche restando nell’euro. Ma nel concreto caso greco anche eliminando gli interessi sul debito il bilancio dello Stato resta in deficit; dopo poche settimane non sarà più possibile pagare in euro gli stipendi degli statali e le forniture pubbliche. Per saldare i conti il governo emetterà allora certificati di debito in una moneta alternativa, come i patacones della crisi argentina. Sarà il primo passo di un inevitabile ritorno alla dracma». [12]
I sostenitori del ritorno alla dracma citano il caso dell’Argentina, che nel dicembre 2001 fece bancarotta e svalutò il cambio pesos/dollaro: banche chiuse per un intero trimestre, i depositi bloccati (una esperienza drammatica passata alla storia come “il corralito”), trainata dalle esportazioni è tornata a crescere dopo un solo anno dal default. Bisin: «Ma è un segreto di Pulcinella che i dati ufficiali non sono attendibili (e non per caso): secondo le stime più accurate, accettate da economisti indipendenti (ad esempio quelli che animano il blog Foco Economico), il Pil argentino sarebbe oggi sovrastimato di circa il 10%. Allo stesso modo il governo controlla e “massaggia”, attraverso la banca centrale, le stime dell’inflazione». [10]
Uscita dall’euro, la Grecia dovrebbe stampare e distribuire la nuova moneta. Gianluca Di Donfrancesco: «L’operazione apparentemente più banale, ma tutt’altro che semplice. Come ricordava giorni fa il Financial Times, il precedente più recente è l’Iraq del 2003, quando la coalizione guidata dagli Stati Uniti fece la stessa cosa. Servirono tre mesi, potendo contare su un dispiegamento di forze imponente. Per garantire l’equilibrio della bilancia commerciale, la nuova dracma dovrebbe entrare sui mercati monetari con un valore del 15-20% più basso rispetto all’euro, ma data la tendenza delle valute a iper-reagire, potrebbe scendere fino a -30% sul’euro. Esistono però stime più pessimistiche. Il Wall Street Journal ricordava che, all’indomani del default, Argentina e Russia subirono una svalutazione del 60-70 per cento». [9]
Collasso del sistema bancario, aziende senza liquidità condannate in molti casi al fallimento, distruzione di posti di lavoro, secondo uno studio Ubs nel primo anno l’uscita costerebbe a ciascun greco tra i 9.500 e gli 11.500 euro (contro redditi medi di 20mila euro). [9] 50 per cento di svalutazione della moneta, 20 per cento di perdita del Pil, 20 per cento di inflazione, secondo Giorgios Papacostantinou, ex ministro delle Finanze che trattò con la trojka, la Grecia tornerebbe agli anni Settanta (quando era un Paese di pastori). [8] Unico aspetto positivo: la possibilità di sfuttare i vantaggi di breve termine della svalutazione (aumento di esportazioni e turismo) per buttarsi sulle riforme. Bisin: «Purtroppo, se la storia ci insegna qualcosa, questi vantaggi di breve termine sarebbero invece utilizzati per procrastinare le riforme, fino alla prossima crisi e alla prossima svalutazione». [10]
I paesi dell’euro potrebbero reagire all’uscita della Grecia con gesti politicamente molto forti, come il varo dei tanto invocati euro-bond e la concessione alla Bce dello statuto di prestatore di ultima istanza, due modi per dimostrare concretamente ai mercati che, dopo Atene, nessun altro Paese dovrà lasciare la moneta unica. Bonanni & D’Argenio: «La Bce detiene una quarantina di miliardi di bond greci che si troverebbero a valere carta straccia. I cento miliardi che l’Europa ha già prestato ad Atene diventerebbero crediti difficilmente esigibili. Ma quello che preoccupa di più i leader europei sarebbe il contraccolpo per le banche private, soprattutto tedesche e francesi, ancora parzialmente esposte sul fronte greco. Per salvarle si ipotizza sia un nuovo intervento di rifinanziamento “mirato” della Bce, sia il possibile utilizzo del fondo salva Stati. Due ipotesi che però sarebbero difficilmente percorribili se, a monte, non si sarà fermato il rischio di contagio ad altri Paesi». [3]
Poiché l’esposizione del sistema bancario nazionale nei confronti della Grecia è di solo 1,5 miliardi di euro, l’Italia correrebbe soprattutto il rischio di un contagio psicologico. Zingales: «Il giorno in cui vedremo i cittadini greci fare la coda per cercare di ritirare i risparmi dalle loro banche, il panico potrebbe diffondersi anche in Italia e in altri Paesi europei a rischio. Se tutti si precipitano in banca, la corsa agli sportelli si trasforma in una profezia autorealizzantesi: a meno di un aggressivo intervento della Bce, le banche non sarebbero in grado di farvi fronte da sole. Né potrebbero gli Stati sovrani, già fortemente indebitati, intervenire in soccorso. Anzi la crisi bancaria trascinerebbe in default anche gli Stati sovrani». [1]
Note: [1] Luigi Zingales, L’Espresso 24/5; [2] Mattia Bernardo Bagnoli, La Stampa 19/5; [3] Andrea Bonanni, Alberto D’Argenio, la Repubblica 19/5; [4] Francesco Moscatelli, La Stampa 7/5; [5] Ton. Mas., la Stampa 8/7; [6] Ettore Livini, la Repubblica 9/5; Elena Polidori, la Repubblica 10/5; [7] Adriana Cerretelli, Il Sole 24 Ore 19/5; [8] Federica Bianchi, L’Espresso 24/5; [9] Gianluca Di Donfrancesco, Il Sole 24 Ore 16/5; [10] Alberto Bisin, la Repubblica 19/5; [11] D. F., Corriere della Sera 19/5; [12] Stefano Lepri, la Stampa 19/5.