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 2012  maggio 21 Lunedì calendario

APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 21 MAGGIO 2012

«L’attentato di sabato a Brindisi è talmente pazzesco che siamo qui tutti a sperare che a compierlo sia stato, appunto, un pazzo» (Michele Brambilla). [1] «Di sicuro c’è solo che sono carogne» (Attilio Bolzoni). [2]

Sabato la sveglia di Melissa Bassi, sedicenne di Mesagne, figlia unica di Massimo, operaio piastrellista, e Rita, casalinga, ha suonato alle 6.15. Studentessa al terzo anno dell’istituto Morvillo di Brindisi, indirizzo socio-sanitario, alle 7,15 ha preso l’autobus, alle 7.40 è giunta a destinazione. Bolzoni: «Alle 7,42 il botto». [4] Il pensionato Teodoro Minoia: «Un signore ha tagliato con le forbici i pantaloni di una studentessa a terra. Sembrava il morso di uno squalo». Un Nico che mangiava una focaccia seduto al tavolino esterno del suo bar: «Avevano preso fuoco, facevamo fatica ad avvicinarci. Non si spegneva neppure a batterlo con le mani». [5]

«È come le bombe piazzate dai fondamentalisti all’interno dei mercati, come gli attentati in Israele o a Beirut» (Anna Maria Cancellieri, ministro dell’interno). [6] Melissa ha perso subito un un braccio. Arrivata all’ospedale ancora viva, ha avuto il tempo di ripetere ai medici «Salvatemi», poi è morta. [4] Carmine Festa: «Veronica Capodieci, 15 anni, è poco lontano da Melissa. L’esplosione investe in pieno anche lei». [7] Marilù, la ragazza che gestisce il bar interno all’istituto Morvillo, stava preparando i caffè: «Le hanno chiesto un lenzuolo per coprire Melissa, poi le è venuta incontro Veronica con i vestiti anneriti. Marilù le stava consigliando di toglierseli quando ha abbassato lo sguardo ed ha visto il ventre sanguinante della quindicenne. Marilù ha iniziato a gridare». [8]

Veronica ha i polmoni fortemente lesionati, ma i medici dell’ospedale di Lecce sperano fin da subito di poterla salvare. Nell’esplosione è rimasta coinvolta anche sua sorella Vanessa, 19 anni. [8] Festa: «Non è ancora finito l’elenco delle ragazze coinvolte dallo scoppio. Azzurra Camarda, 17 anni e Sabrina Ribezzi, 18, sono ricoverate al centro grandi ustionati del Perrino. Hanno ustioni di terzo grado alle gambe, i medici non sciolgono la prognosi perché sono preoccupati dalle infezioni che potrebbero aggravare il quadro clinico». La lista delle studentesse ferite si completa con Anna Lopertuso, 20 anni, Selene Greco, 16 e Alessandra Gigliola, 20 anni. [7]


Ragazze come tante, anche se il passato delle loro famiglie verrà adesso «scannerizzato alla ricerca di un appiglio che possa spiegare l’inspiegabile» (Marco Imarisio): tre di loro hanno una parentela con pregiudicati della Sacra corona unita, mentre il papà di Veronica e Vanessa avrebbe amministrato alcuni terreni espropriati alle mafie e gestiti dall’associazione Libera. [5] Bolzoni: «Nella città che sino a una decina di anni fa era capitale del contrabbando di “bionde” e che poi è stata “pacificata” è iniziata la caccia all’assassino o agli assassini, la caccia al movente, alla matrice di questo attentato assurdo». [4]

È la mafia locale. Sono gli anarchici greci. È la strategia della tensione con i servizi deviati in campo. Bolzoni: «Ipotesi. Dietrologie. È la mafia siciliana. La scuola è intitolata a Morvillo Falcone, la carovana di Libera partita da Roma l’11 aprile scorso era attesa nel pomeriggio a Brindisi, l’anniversario di Capaci è fra qualche giorno. Una suggestione dopo l’altra». [4] Il ministro Cancellieri: «È stato un gesto atroce, di una crudeltà infinita. Non riesco ad immaginare una mente così perversa e malvagia da aver potuto progettare un attentato del genere». Epperò «stiamo parlando di un territorio ferito dalla criminalità, dove di recente si sono verificati molti episodi di grave violenza». [9]

L’esplosione è stata causata da tre bombole di gas legate l’una all’altra con un detonatore (al momento in cui chiudiamo questo numero non si sa se sia stato utilizzato un timer, ipotesi che appare comunque improbabile). [10] C’entra la mafia? È la domanda che si fanno tutti, a pochi giorni dall’anniversario della strage di Capaci. Marco Dinapoli, procuratore capo di Brindisi: «Improbabile. Essenzialmente per due motivi: il bersaglio colpito e l’esplosivo utilizzato. La mafia non mette le bombe nelle scuole e non fa attentati con le bombole di gas». [11] Cataldo Motta, procuratore distrettuale antimafia di Lecce: «In questa precisa fase storica la mafia brindisina è alla ricerca di un consenso sociale che non ha più. E un atto del genere sarebbe in controtendenza». [12]

Le mafie, si dice, potrebbero pensare ad azioni eclatanti solo nel caso in cui lo Stato decidesse di inasprire le norme del codice di procedura penale e dell’ordinamento penitenziario. Nicola Gratteri, procuratore aggiunto di Reggio Calabria: «Solo allora, probabilmente, dovremmo attenderci una fase con azioni destabilizzanti, perché quello è il momento dove il popolo mafioso potrebbe interrogarsi sulla convenienza a delinquere. Siamo lontani, però, da questi propositi, perché questo sistema giudiziario resterà così e quindi la partita tra Stato e mafia, per il momento, è sul risultato di parità». Gratteri cita come esempio l’intercettazione in cui un certo “Ntoni” di San Luca spiega ad Antonio Cordì, capo dell’omonima famiglia di Locri, in lotta con i Cataldo: «Attenzione perché quando voi sparate e terrorizzate il popolo, il popolo vi abbandona». [13]

Il movente ci potrebbe essere: la risposta all’operazione di polizia (“Die Hard”, 16 arresti) che la scorsa settimana ha ulteriormente indebolito il gruppo dei Pasimeni di Mesagne. Giovanni Bianconi: «Pochi giorni prima, sempre a Mesagne, c’erano stati un paio di attentati probabilmente legati alle estorsioni, ed era stata bruciata l’auto del presidente del comitato antiracket. E proprio da Mesagne arrivava il pullman con cui sono scese Melissa Bassi e le sue compagne travolte dall’esplosione. Coincidenza casuale o ricercata?». [14] Potrebbe anche essersi trattato di un errore, tesi che può difficilmente prescindere dalla presenza di un timer. Guido Ruotolo: «Se l’ordigno avesse dovuto esplodere all’alba sarebbe un avvertimento o una carnevalata». [15]

Il superprocuratore Grasso ha inserito le stragi di mafia del ’92 e ’93 in una «strategia della tensione» che non si sarebbe mai interrotta. Bianconi: «Utilizzando quarant’anni fa i neofascisti e vent’anni dopo boss e picciotti, grazie alle convergenze di interessi. Che quel meccanismo si riproduca dopo un altro ventennio, in una nuova stagione densa di incognite, con la crisi economica e dei partiti che offre prospettive molto incerte, è un’eventualità inquietante ma difficile da escludere a priori. In questo caso coincidenze e suggestioni sarebbero volute per confondere le acque. Dal nome della scuola colpita alla data prescelta (la vigilia delle celebrazioni per il ventennale di Capaci), dalla vicinanza con un atto terroristico come il ferimento del dirigente dell’Ansaldo a Genova firmato da un gruppo anarchico all’ordigno artigianale, senza il tradizionale tritolo. E si tornerebbe a una manovalanza criminale (forse locale, forse no) innescata da menti esterne. Più o meno raffinate». [14]

Terza ipotesi: il gesto di un pazzo. Dinapoli: «Uno alla Breivik». [12] Alberto Flores d’Arcais: «Era il 22 luglio 2011 quando l’estremista di destra, dopo un piano preparato per anni e un delirante memoriale di 1.500 pagine contro il “multiculturalismo che ha inquinato l’Europa”, decise di passare all’azione. Prima un’autobomba nel cuore di Oslo, poi la metodica sparatoria contro decine di giovani e adolescenti nell’isola di Utoya. In tutto, 77 morti». [16] Negli Usa è accaduto più di una volta che un pazzo facesse strage dei compagni di scuola. Il ministro Cancellieri: «Potrebbe anche esserci una matrice di questo genere. In un mondo ormai globalizzato non ci si può stupire più di niente». [9] Brambilla: «Siamo qui a sperare che l’attentatore sia una specie di Unabomber al quadrato». [1]

Alle due di notte di sabato un testimone avrebbe notato uno strano movimento vicino al cancello d’ingresso dell’istituto professionale di via Giuseppe Maria Galanti. Caccia & Imariso: «Avrebbe fornito agli inquirenti una descrizione sommaria di quell’uomo, a quell’ora, in quella piazza, vicino al chioschetto del “Panino dei Desideri”, che è dotato tra l’altro di telecamera antiracket. E dunque quel volto omicida sarebbe rimasto impresso pure nel nastro della registrazione». [11] Si parla di un uomo bianco, di circa 50-55 anni, con una giacca scura, pantaloni chiari e scarpe da ginnastica. Repubblica: «Nel video, sottolineano fonti qualificate, si vedono le fasi precedenti all’attentato: dal momento in cui l’uomo aziona il telecomando a quando si allontana. Dalle immagini, però, il volto dell’uomo non sarebbe riconoscibile». [17]

Se gli addetti del Viminale hanno ragione a escludere la matrice “criminale organizzata”, la caccia agli assassini non vedrà al lavoro solo uomini in divisa. Carlo Bonini: «Le famiglie della Sacra Corona Unita, per una volta, potrebbero avere un interesse convergente e speculare agli uomini dello Stato a trovare per primi chi ha tirato nel mucchio di vite innocenti. Per almeno due buoni motivi, che una fonte investigativa, riassume così: “Se non sono stati loro, loro sanno che qui a Brindisi non avranno pace, notte e giorno, finché non li avremo presi. E sanno, come tutte le organizzazioni criminali che cercano un consenso, che c’è un solo modo per guadagnarselo. Consegnare chi ha osato fare quello che nessuno aveva mai osato”». [18]

Note (in mancanza della data si intende 20/5): [1] Michele Brambilla, la Stampa; [2] Attilio Bolzoni, la Repubblica; [3] Giuliano Foschini, la Repubblica; [4] Attilio Bolzoni, la Repubblica; [5] Marco Imarisio, Corriere della Sera; [6] Fiorenza Sarzanini, Corriere della Sera; [7] Carmine Festa, La Stampa; [8] C. F., La Stampa; [9] Liana Milella, la Repubblica; [10] Francesco Viviano, la Repubblica; [11] Fabrizio Caccia, Marco Imarisio, Corriere della Sera; [12] G. Ru., La Stampa [13] Carlo Macrì, Corriere della Sera: [14] Giovanni Bianconi, Corriere della Sera; [15] Guido Ruotolo, La Stampa; [16] Alberto Flores d’Arcais, la repubblica 17/4; [17] repubblica.it 20/5; [18] Carlo Bonini, la Repubblica.