Vittorio Zucconi, la Repubblica 19/5/2012, 19 maggio 2012
Nel mondo che ogni giorno racconta la storia del fallimento, alle 11.05 di New York irrompono da un’altra dimensione 105 miliardi di dollari per contendersi pezzettini di Facebook
Nel mondo che ogni giorno racconta la storia del fallimento, alle 11.05 di New York irrompono da un’altra dimensione 105 miliardi di dollari per contendersi pezzettini di Facebook. Mark Zuckerberg, un fuoricorso di 28 anni mai laureato, dunque nell’età e nella condizione più disperanti quaggiù nel nostro mondo, che si era presentato nel suo furbo costume da studente squattrinato con cappuccetto fra gli Armani e le cravatte di Hermes a Wall Street, diventa titolare di una fortuna personale di 20 miliardi di dollari. Queste cifre da bilancio di Stato, questi miliardi da ammirevole oscenità (nel G8 dell’Aquila 2009, furono promessi, e mai versati, 22 miliardi per sconfiggere la "fame del mondo") sono le fortune che noi, abitanti di questo mondo tangibile e miserabile di default, di salari, di carburanti, di cartellini da timbrare, di ticket sanitari, abbiamo versato al popolo dell’universo parallelo e in continua espansione, quello che chiamiamo "reti sociali", "internet", "app", "interfaccia", "post", "like", "hashtag". Mille nomi appiccicati a qualche cosa che neppure i creatori riescono fino in fondo a capire e spiegare, perché esistono al di fuori di una esperienza umana che era stata costruita sulle "cose", da toccare, da pesare e da valutare. Ma la nuova nazione di Facebook, con il suo ormai quasi miliardo di cittadini, di Google, di Twitter, di MySpace, di Linkedin, di Skype, di Instagram, non è una "cosa". E’ molto di più. E’ un’idea. Il successo della creaturina di Zuckerberg e dei suoi soci e amici iniziali nata dal classico album fotografico degli studenti universitari e liceali americani, confonde definitivamente e sensazionalmente la classica distinzione fra "economia reale" ed "economia virtuale". Facebook, da ieri una "public company", dunque una società per azioni che tutti possono acquistare pagando il prezzo esatto dal mercato, esiste, ma non esiste. E’ più reale di una "derivata", uno "hedge fund", uno "swap", un "quantum trade", uno "spread" o un’altra di quelle bombe carta finanziarie che ci sono esplose in faccia, e continuano a esplodere, grazie alla sciagurata deregulation della speculazione e che soltanto pochi iniziati capivano. Eppure non si mangia e non si consuma. In questo universo alternativo, tutti possiamo viaggiare e viaggiamo, come visitatori e crederci a casa. La usano più di 900 milioni di essere umani, compresi milioni di bambini sotto i dieci anni che teoricamente i filtri di Facebook dovrebbe individuare e bandire. Se ne servono piazzisti di merci come la usa una ragazzina adolescente in Germania per annunciare e organizzare feste di compleanno alle quali affluiscono quasi 200 "amici", creando un putiferio che ha costretto la polizia a intervenire barricando la casetta. Perché anche il "virtuale" sa trasformarsi brutalmente in reale, quando i due mondi si sovrappongono. Tentano, spesso goffamente, di strumentalizzarla politicanti per catturare elettori fingendosi moderni e "stato dell’arte" spacciando vecchie banalità e aspiranti sovversivi per immaginare rivolte e assalti al "palazzo" con video, foto, link, messaggi che esplodono e spariscono in tempeste passeggere di "mi piace". Collega esseri umani al proprio passato e alla aspirazione di un futuro sociale e socievole, esponendoli ai rischi della propria esposizione ai rapaci del commercio e di cercatori dei giochi proibiti, nel flusso e riflusso delle amicizie e di quei pollici versi o alzati che creano la sensazione di essere giudici istantanei di tutto. Forbes, il magazine economico non certo propenso alle iperboli, ha paragonato Zuckerberg a Spiderman, che lancia ed estende i filamenti del proprio superpotere ormai su tutto, ricordandogli che proprio l’immaginario Uomo Ragno avverte che "possedere grande potere comporta grande responsabilità". Dunque Facebook esiste, ma di vita altrui, non di vita autonoma, parassiticamente sfruttando quel fondamentale motore di ricerca umano che è la solitudine, attraverso la parola magica: amicizia. Ha prodotto, insieme con gli altri pianeti e le stelle dell’universo parallelo tutti costruiti su un’idea senza materia, PayPal (tra i primi finanziatori di Zuckerberg) per comperare e pagare tutto senza mai cacciare una monetina dalla tasca, come Amazon, la più grande libreria del mondo senza neppure un negozietto, come Twitter, la foresta amazzonica delle opinioni istantanee cinguettate che svaporano mentre sono espresse, come Google, il Virgilio che ci conduce per mano nell’universo del bene e del male per cercare le nostre verità, un altro mondo. Sono le infrastrutture, i ponti e le strade, le rotte tracciate nel "brave new world" parallello, sul quale viaggiamo leggeri, generando ricchezze pesanti per gli altri. Come è stata la meritata fortuna di Steve Jobs, che ha saputo tradurre in oggetti belli e possedibili, la pulsione della diversità e della novità. Ma proprio nel successo sensazionale dell’Ipo, del primo collocamento pubblico di azioni andato oltre le valutazioni dei signori in Armani e Hermes, c’è l’essenza della possibile entropia, della autodistruzione anche di Facebook, come di altre stelle virtuali divenute buchi neri. E’ infatti adesso, nel momento in cui i due mondi si toccano, nel contatto fra l’immaginario delle amicizie liquide e degli interessi finanziari solidissimi, che il Cappuccetto Rosso rischia. Il difetto fondamentale di FB e di tutta la mistica popolare della Rete, vissuta come una "Volksnet", è quella sua "trasparenza opaca". I signori dei miliardi piovuti dall’altra dimensione vorranno d’ora in poi vederci bene dentro, oltre il vetro smerigliato, perché ora si gioca di soldi, non più di fagioli sul cartellone. Verranno esposti a grandinate di querele attratte da quella spaventosa forza gravitazionale del valore della capitalizzazione e da avvocati famelici. Quando l’immateriale diventa materiale, e l’"idea" si fa "cosa" la trasparenza opaca di Internet rivela che cosa ci sa davvero dietro il vetro, costi, prezzi, valori, profitti. Chi ha un successo tanto enorme e tanto in fretta, come Facebook, può conoscere un crollo altrettanto veloce e rovinoso, e infatti a fine sessione di scambi, già i "money men", i signori in grigio avevano ieri cominciato a sgonfiare un poco il pallone. Da lunedì, Mark Zuckerberg farà bene a cominciare a liquidare con prudenza, a piccoli pezzi per non spaventarli i tori e i buoi della Borsa, il gigantesco portafoglio che il collocamento gli ha gonfiato alle 11.05 di New York. Perché nessuno meglio di lui deve sapere che in questo momento preciso, in uno squallido dormitorio universitario ingombro di calzini sporchi e di cartoni di pizza fredda, un’idea nuova e migliore della sua sta sicuramente nascendo.