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 2012  maggio 19 Sabato calendario

L’ex rettore di Sant’Apollinare sotto accusa per concorso in sequestro. Sequestrato anche il personal computer del prelato

L’ex rettore di Sant’Apollinare sotto accusa per concorso in sequestro. Sequestrato anche il personal computer del prelato. Al quinto giorno di lavoro della polizia scientifica sull’ossario di Sant’Apollinare - nella stessa cripta dove lunedì è stata aperta la tomba del boss «Renatino» De Pedis - emerge una novità dell’inchiesta a lungo tenuta coperta, segreta, inaccessibile. Il quinto indagato per la scomparsa di Emanuela Orlandi, la quindicenne cittadina vaticana sequestrata nel 1983, ha un nome. Oltre ai quattro della banda della Magliana, nelle indagini figura un insospettabile. Un ecclesiastico: è monsignor Piero Vergari, rettore di Sant’Apollinare all’epoca dei fatti, rimosso dall’incarico nel 1991, un anno dopo aver perorato la causa dell’«indegna sepoltura» con una lettera al cardinal Poletti in cui descrisse il gangster romano come «grande benefattore». Allontanato dai suoi superiori, «don Pierino» tornò nella natìa Umbria, a Sigillo, per poi proseguire l’attività pastorale nel Reatino. Vani in tanti anni - visto il carattere veemente - i tentativi di avvicinarlo. Nonostante curi un sito a suo nome, Vergari non si dilunga in spiegazioni. Ama il latino: Parce sepulto , perdona chi è sepolto, ha scritto in un testo in cui ricorda l’incontro con «Renatino» a Regina Coeli, le volte che il boss lo aiutò «a preparare le mense dei poveri» e che «quando seppi in tv della sua morte, ne restai meravigliato e dispiacente». In conclusione, nuova citazione: De mortuis nil, nisi bene . Dei defunti si deve dir bene. Anche Emanuela Orlandi però, sospettano gli inquirenti, è morta. Morta ammazzata. La pista presa nel 2008 dopo le rivelazioni di Sabrina Minardi, la femme fatale di De Pedis che accusò il suo amante di aver organizzato l’omicidio, ha portato all’iscrizione nel registro degli indagati (oltre che di se stessa, rea confessa) di tre esponenti della «bandaccia»: Angelo Cassani e Gianfranco Cerboni, indicati come i pedinatori di Emanuela, e Sergio Virtù, descritto come «l’autista» che la caricò in auto e la portò sul litorale, dove fu uccisa, chiusa in un sacco e «stritolata in una betoniera». Ora che il quadro è completo, tuttavia, lo scenario cambia: l’accusa di concorso in sequestro per il monsignore («un atto dovuto, era il padrone di casa», precisa chi indaga), ammesso che non evapori in una richiesta di proscioglimento ricolloca le indagini in un raggio limitatissimo: la figlia del messo papale sparì alle 19 del 22 giugno 1983 cento metri più in là, davanti al Senato, e poco dopo sarebbe finita in trappola e riportata con una scusa dentro Sant’Apollinare. Cosa accadde nel luogo sacro? Incontri a sfondo sessuale? A supporto di tali ipotesi, ci sarebbero il sequestro di un computer e un’intercettazione piuttosto scabrosa che coinvolge un seminarista. E anche la tenacia con cui da giorni viene setacciata la cripta: una volta aperta la bara di «Renatino» si pensava che il lavoro fosse finito, e invece la Scientifica sta passando al setaccio le 200 cassette di ossa trovate nei sotterranei, dopo aver usato il georadar in cerca di vani dietro le pareti e sotto il pavimento. Una di quelle ossa appartenne alla povera Emanuela? Il dubbio, per quanto «residuale», è drammaticamente questo. E, se verrà fugato, per risolvere il giallo della «ragazza con la fascetta» non resterà che una scelta: tornare a battere le vecchie piste legate ad Alì Agca, ai servizi segreti dell’Est e al terrorismo internazionale, un tempo percorse a lungo e poi scartate.