Andrea Scanzi, il Fatto Quotidiano, 19 maggio 2012
ULTIMO GIRO DI DISCO
Quando una regina muore, i sudditi solitamente piangono. Quando però ad andarsene è la regina della disco music, il genere più ostentatamente frivolo, il cordoglio sembra quasi fuoriluogo. Così, quando ieri pomeriggio si è sparsa la voce che Donna Summer era morta, la Rete è stata invasa da commenti perlopiù ironici. Un po’ per sdrammatizzare e un po’ per non andare fuori tema. Cose tipo: “È morta Donna Summer. In tutte le discoteche i trenini saranno listati a lutto” (Nicola Brunialti). Cinguettii allegri per una morte annunciata. Donna Summer, vero nome La-Donna Andre Gaines, era da tempo malata di cancro. Il peggioramento nelle ultime due settimane. Aveva 63 anni e se n’è andata in Florida, dove stava comunque lavorando al nuovo disco. Nata il 31 dicembre 1948 a Boston, i successi maggiori con la produzione di Giorgio Moroder, il mago di Ortisei che spinse i sintetizzatori verso territori inesplorati (e non sempre indimenticabili), premio Oscar per Fuga di Mezzanotte, Flashdance e Top Gun. Il sito italiano di Donna Summer, che sin dalla homepage si vanta di essere “il più importante sito europeo” a lei dedicato, ancora ieri rispondeva alle critiche trasversali: “Icona per inguaribili nostalgici? Diva della musica da discoteca? Sex symbol del passato? Donna Summer è molto di più”. Probabile, però poche star sono indissolubilmente legate a un preciso momento storico come lei. Gli anni Settanta, soprattutto. Febbri allegre del sabato sera e un John Travolta non ancora sporcato (e migliorato) da Quentin Tarantino. È vero che Donna Summer non si è fermata alla disco. Cantava prima che quel genere esplodesse, ha continuato quando lo ha visto sgonfiarsi tra derive kitsch e obbrobri iper-elettronici. Ha vinto Grammy (cinque) praticamente in ogni categoria, spaziando dal gospel al rock e tenendo ben presente l’R&B. Il grande amore. La critica, e questo è abbastanza inusuale per una icona disco, ne ha sempre avuto rispetto. Intuendo che nella sua voce, e nella sua parabola, c’era molto più dell’effimero.
EPPURE la sua fama è legata principalmente a pochi brani: Hot Stuff, Last Dance, I Feel Love, Bad Girls. Canzoncine vagamente peccaminose con retrogusto ridanciano, ben cantate e meglio prodotte. Successi oceanici che hanno oscurato le ambizioni più autoriali della Summer (il cognome è l’anglicizzazione del cognome del primo marito, Helmut Sommer). Ad esempio la fissazione curiosa, e molto poco commerciale, per le canzoni lunghe. Tracce di 17 minuti (Love To Love You Baby) e suite coraggiose (MacArthur Park Suite) che cozzano con la sua cristallizzazione di “voce da singolo”. La fase discendente cominciò a inizio Ottanta, quando la Summer firmò per la Geffen e – su imposizione della casa discografica – lasciò Moroder per Quincy Jones. Un’ultima manciata di hit (The Woman In Me, State of Indipendence) e sonorità che si ritiene seminali per la nascente new age. Amava i duetti: Con Barbra Streisand, Liza Minnelli, Andrea Bocelli. Un rigurgito di successo alla fine dei Novanta, il tributo delle presunte eredi (Beyoncè, Madonna). Più di cento milioni di copie vendute, dal 2004 nella Dance Music Hall of Fame con Bee Gees e Barry White. Compagni di ventura mercantile e (spesso) sventura qualitativa. Quattro anni fa incise The Queen is back. La Regina era tornata, o così credeva, ma per poco e non tutti se ne accorsero. Bella e sensuale, è stata discretamente scalfita da una polemica sgradevole, quando disse – o le fecero dire – che disprezzava la comunità gay. Probabilmente non era vero, di sicuro cercò da quel momento di dimostrare in ogni modo il contrario. Grande amica di Michael Jackson, Regina della Disco e Re del Pop. Nella sua autobiografia, nove anni fa, si definiva a partire dal titolo “Ordinary Girl”.
RAGAZZA qualsiasi. Tentativo chiaro di abbattere un mito che non gradiva. “Avere successo è solo lavoro in più”. Gli inizi in Germania (“Un momento di grande confusione, era molto stressante”). La depressione parallela alle classifiche scalate. “Pensai di suicidarmi. Mi stavo buttando giù (dalla finestra di un hotel). Non lo avevo programmato. L’avevo deciso in quel momento”. Il secondo matrimonio, i figli, la carriera sullo sfondo. “Nessuno vuole che ti fermi, sei una macchina fabbrica soldi”. Un’idea vaga di serenità e nessuna voglia di tornare al tempo in cui faceva ballare il mondo. E la prima a non divertirsi era lei.