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 2012  maggio 18 Venerdì calendario

FACEBOOM - I

numeri sono pazzeschi e senza precedenti. Viene quotata in Borsa Face-book, l’azienda che ha inventato il social network dal successo travolgente. È nata nel 2004, adesso ha circa 900 milioni di utenti, ma due anni fa non arrivava a 500 milioni. L’accelerazione potrebbe sembrare impressionante. E ciò che desta sorpresa e ammirazione è la figura del padrone di Facebook, Mark Zuckerberg, un giovanotto che ha compiuto 28 anni il 14 maggio: quando è nato, Bill Gates e Steve Jobs erano già miliardari.
Cinque volte il valore di Telecom
Zuckerberg, che si presenta alle conferenzeconglianalistifinanziariinfelpa, sta lanciando la più grande Ipo (Initial public offering) di sempre riguardante un’azienda del web. Il prezzo di collocamento delle azioni è salito di giorno in giorno, prima il massimo era 35 dollari, alla fine 38 dollari per azione. L’azienda della Silicon Valley vende azioni per 18 miliardi di dollari, equivalenti a una valutazione totale della società superiore ai 100 miliardi di dollari. Per avere un’idea delle proporzioni, 100 miliardi di dollari è cinque volte il valore di Borsa di Telecom Italia, o se preferite la somma del valore di due giganti del listino italiano, Eni e Intesa Sanpaolo. Ma Telecom Italia ha un giro d’affari attorno ai 30 miliardi di euro, Face-book nel 2012 arriverà attorno a un decimo di quella cifra. Il che significa che se Telecom Italia vale metà del suo fatturato, Facebook viene valutata fino a 25 volte i suoi ricavi.
I multipli sono l’alfa e l’omega della finanza, ma adesso vedremo che stavolta è diverso, Zuckerberg sembra farsi beffe della religione dei multipli, e i mercati più che mai si prostrano in adorazione della sua felpa. La bolla Internet di fine anni Novanta, in confronto a quello che vediamo in questi giorni, fa sorridere. Andiamo a rivedere le cifre. Il grande botto del secolo scorso fu la quotazione di Netscape, la società di Marc Andreessen, allora ventiquattrenne inventore del primo browser per navigare in Internet: prima fece Mosaic, poi Netscape. La società fu collocata al pubblico il 9 agosto 1995 al prezzo di 28 euro per azioni. Alla fine del primo giorno di quotazione il prezzo era già arrivato a 58 dollari e il valore della società a 3 miliardi di dollari, circa 100 volte il fatturato. La bolla era fondata sulla certezza di futuri profitti. A partire dal 1997,quandolafebbrediInternetraggiunse il parossismo, furono quotate al Nasdaq, il mercato delle aziende tecnologiche, 367 internet company. Alla fine del 2000 solo 55 di queste valevano in Borsa più del prezzo di collocamento,mentrelagranpartesierano dissolte, compresa la mitica Pet.com   che doveva fare i soldi vendendo online cibi per cani e gatti. Quando scoppiò la bolla, Yahoo!, che era arrivata a valere 240 dollari per azione, precipitò in pochi mesi a 11 dollari. Amazon crollò da 105 a 8 dollari. Molto è cambiato da allora. Si parlava di new economy e intanto i soldi si facevano con la old economy. A fine 2000, mentre scoppiava la bolla internet , Telecom Italia valeva 75 miliardi di euro, cinque volte il valore di oggi.
Modello Google
Adesso le Internet company sono realtà solide e concrete. Amazon, dopo il bagno di cui sopra, è risalita in modo costante. Oggi vale in Borsa 102 miliardi di dollari; Yahoo!, nonostante un inesorabile declino, è quotata 18 miliardi di dollari, più di molte società della old economy . Durante i dieci anni che sono passati dall’attentato alle Torri Gemelle, che sancì emotivamente la fine dell’infanzia della new economy, c’è stata la quotazione di Google. Nel 2004 il motore di ricerca è stato collocato in Borsa con un valore di 23 miliardi di dollari, un ordine di grandezza superiore all’epopea di solo 5-6 anni prima. Oggi Google vale 200 miliardi di dollari, mentre la Microsoft di Bill Gates, vecchia corazzata dell’informatica, vale 261 miliardi, e la Ibm ne vale 231. E lì, Google, nel gruppo dei grandissimi. Solo che di Google abbiamo capito tutti il segreto. Quel motore di ricerca, grazie alla sua efficienza, presiede alla navigazione su Internet, tutto passa da lì. Il fatturato pubblicitario corre, i profitti anche. Ecco il multiplo decisivo, il price/earning, cioè il rapporto tra prezzo e utili, in sigla p/e. Il p/e di Google è 19, lo stesso della Apple orfana di Steve Jobs, che pure in Borsa vale oltre 500 miliardi di dollari. La Ibm ha un p/e 15, la Microsoft ha 11. Siamo lì. Invece Facebook, se solo la sua azione si fermasse in Borsa alla moderata quotazione di 38 euro per azione, avrebbe un p/e superiore a 100. E qui si ripropongono molti interrogativi vecchio stile, come quelli degli anni 90.
I dubbi degli analisti
Molte voci di analisti sconsigliano di comprare a questi prezzi le azioni di Facebook. Che è oggi un’azienda molto redditizia: su 4 miliardi di fatturato fa un miliardo di utili. La redditività è molto alta, e con le dimensioni dell’azienda è destinata inesorabilmente a ridursi. Quindi, per fare i profitti che unprezzodi38europerazione presuppone, Facebook deve far crescere in modo esponenziale il proprio fatturato nei prossimi anni. Un’analisi della Bernstein Research è arrivata alla conclusione che Zuckerberg, per mantenere le promesse, deve più che decuplicare il fatturato nei prossimi dieci anni e superare i tre miliardi di utenti. Possibile? Ci credono in pochi. Un piccolo esercito di blogger, analisti togati, riviste specializzate e finanzieri autorevoli, consigliano di tenersi alla larga dalle azioni Facebook. Le sconsiglia Barron’s, bibbia finanziaria per palati finissimi, mentre Warren Buffett, detto il mago di Omaha, semplicemente l’uomo più ricco del mondo, ha fatto sapere che lui non compra azioni Facebook perché non sa come valutarle, e quindi ha preferito staccare un assegno da 10 miliardi di dollari per comprare azioni Ibm per il suo fondo Berkshire Hathaway.
La missione di Zuckerberg
E qui scatta la magia, o se preferite la follia, del tempo presente. Mentre analisti e finanzieri in ogni angolo del pianeta fondevano i loro computer per calcolare la redditività prevedibile delle azioni Facebook, Zuckerberg ha scritto una lettera agli investitori per avvertirli che la sua società non è nata per fare i soldi, ma per compiere una “missione sociale” (testuale) e “rendere il mondo più aperto e connesso”. L’obiettivo di Facebook è “un mondo migliore, dove la gente con più informazioni può prendere decisioni migliori”. Quelli calcolano la redditività futura, e lui avverte che l’unica sua preoccupazione (come capo azienda e azionista di inattaccabile maggioranza anche dopo la quotazione) è di aiutare il mondo a diventare migliore. Ma la cosa più sorprendente è che il mercato accoglie con giubilo il proclama di Zuckerberg, e il prezzo di collocamento delle azioni non fa una piega. Siccome non c’è molta gente desiderosa di buttare i propri soldi, l’unica spiegazione è che i mercati cominciano a imparare che dare alla propria impresa un’etica, forse, è il modo più furbo per inseguire il profitto.