Aldo Grasso, Corriere della Sera 18/05/2012, 18 maggio 2012
«LE TRE ROSE DI EVA» L’INCONGRUO SI FA POP
Per alcuni spettatori (sospesi tra il palato fine e la chattering classes), guardare «Le tre rose di Eva» è diventato ormai un divertimento, esattamente come tanti anni fa andava di moda, fra certi intellettuali più birichini, leggere ad alta voce i dialoghi dei fotoromanzi per confrontarli con i dialoghi di certi film di Visconti o di Antonioni al fine di sanzionare che i primi erano molto meglio dei secondi (mentre la tv generalista piange, i Franti del web, quegli infami, sorridono). Qui i dialoghi sono del tipo «Sono stanca di uomini che si scusano» o «Crediamo di imprigionare i segreti e invece solo loro che ci tengono prigionieri», perfettamente in linea con il target cui «Le tre rose di Eva», il feuilleton o «prime time soap», soggetto di serie di Michele Abatantuono, Gerardo Fontana e Paolo Girelli, regia di Raffaele Mertes e Vincenzo Verdecchi, intende rivolgersi, per bissare il successo di «Un amore e una vendetta» (Canale 5, mercoledì, ore 21.30).
La fiction è una simpatica gara a chi scrive le battute più incongrue, a chi recita più male, a chi dimostra maggiore lontananza dalla vigna e dalla cantina. Già, perché la storia è ambientata in Toscana, fra pettinatissimi vigneti, e racconta di due famiglie produttrici di vino, separate da un antico odio e da un delitto (ma molti cognomi ricordano paesi delle Langhe: Monforte, Camerana...). È la storia dell’amore impossibile (mica tanto) tra Aurora Taviani (Anna Safroncik) e Alessandro Monforte (Roberto Farnesi) con contorno di logge segrete, follie varie, donne malmaritate e uomini invecchiati male che giocano alla P2. Naturalmente c’è l’immancabile triangolo cui partecipa l’Abele della situazione, Edoardo Monforte (Luca Capuano).
Ma poi, tanto, si sa già come andrà a finire: la tv popolare (quanto al proprio contenuto) diventando popolare (quanto al suo successo di audience) diventa popolare (quanto alla sua scrittura e alle sue idee).
Aldo Grasso