Claudio Del Frate, Corriere della Sera 18/05/2012, 18 maggio 2012
TRA CIPRO E «HOTEL LUGANO» DALLA GRECIA 38 MILIARDI DI EURO —
Tutti in attesa di uno tsunami valutario che per ora non compare all’orizzonte e che forse non ci sarà. Un miliardo e 200 milioni di euro prelevati in 48 ore dagli sportelli greci; addirittura 68 miliardi che da gennaio hanno preso il volo dalla Spagna: sono capitali destinati ad approdare nel porto sicuro delle banche elvetiche? I rumors della politica dicono che a Berna hanno già nel cassetto un piano di emergenza nel caso in cui il loro sistema creditizio fosse investito dal denaro in fuga dalla crisi dell’euro ma per ora la piazza finanziaria di Lugano non ha percepito questa onda sismica. «E non credo che arriverà: i grandi esportatori greci di capitali non hanno aspettato il default del loro Paese per trasferire qui i loro patrimoni. I piccoli risparmiatori spaventati per il momento terranno i contanti nel cassetto di casa. E se ci sarà da bussare alla porta di qualche rifugio fiscale credo che la rotta più battuta sarà quella che porta a Cipro o in Bulgaria» dice Giancarlo Cervino, studioso dei flussi finanziari che attraversano la Svizzera.
Numeri e parole sembrano dargli ragione: Cipro, grazie a una politica fiscale molto spinta ha visto crescere i depositi presso le sue banche del 60% in 5 anni mentre ben 800 società elleniche (la fonte è Bloomberg) tra cui la filiale della Coca Cola hanno spostato la loro sede in Bulgaria dove le tasse sono meno pesanti e la stabilità finanziaria e politica migliori che in Grecia. Eppure i capitali appartenenti a risparmiatori greci custoditi in Svizzera valgono pur sempre secondo il ministero delle Finanze di Atene 38 miliardi di euro: se fossero tassati sarebbe una boccata d’ossigeno per le esangui casse elleniche. Il governo di Papandreou e poi quello del successore Papademos avevano intavolato con Berna la trattativa per tassare quel malloppo off shore. Cosa che ha provocato una immediata migrazione verso altri lidi. È il sospetto manifestato il 9 aprile dal ministro delle finanze Philippos Sainidis rispondendo a un’interrogazione parlamentare: «Non si spiegherebbe altrimenti — aveva detto — come mai l’ammontare dell’euroritenuta (la debolissima tassa attualmente applicata sui conti degli stranieri in Svizzera, ndr) da noi incassata sia scesa ad appena 6 milioni di euro mentre l’anno precedente era il doppio». Insomma «l’assalto ai forni» dei risparmiatori greci non sembra destinato al momento a tradursi in una gita di massa a Lugano. Del resto l’export di valuta in grande stile ha bisogno anche di vicinanza geografica, come dimostra il sempre intenso traffico valutario tra Italia e Canton Ticino: il fiume carsico di denaro diretto verso Lugano sembra non prosciugarsi mai e anche nell’ultimo mese la «pesca» della Finanza ha dato i suoi frutti. Anche grazie all’inedito ricorso a cani in grado di fiutare l’odore delle banconote le Fiamme Gialle di Como hanno bloccato in aprile in due occasioni 200 mila euro in contanti nascosti dentro auto in transito alla frontiera. Ciò ha portato a 40 milioni di euro (in banconote e titoli) il tesoretto intercettato da inizio anno. Ma non è solo il denaro a varcare la frontiera verso Nord; fonti elvetiche segnalano che continua la delocalizzazione di aziende italiane e soprattutto la delocalizzazione di lavoratori italiani che cercano un salario sicuro in Svizzera. «Ormai un posto di lavoro su 4 nella nostra regione è occupato da italiani» ha affermato pochi giorni fa Laura Sadis, componente del governo ticinese. E anche quelli, a loro modo, sono capitali in fuga.
Claudio Del Frate