Internazionale 18/5/2012, 18 maggio 2012
Alta tensione nel mar Cinese meridionale – Cina e Filippine sono ai ferri corti per un pugno di scogli di cui rivendicano la sovranità
Alta tensione nel mar Cinese meridionale – Cina e Filippine sono ai ferri corti per un pugno di scogli di cui rivendicano la sovranità. Ma una guerra tra i due paesi porterebbe l’intera regione in un conflitto incontrollabile – (Pezzo da Sistemare) Per più di un mese la secca di Scarborough, un pugno di scogli buoni per pescare e poco più, sono stati teatro di forti tensioni tra le Filippine e la Cina. Nell’ultima settimana la situazione è degenerata, con accenni di rappresaglie economiche da parte di Pechino e manifestazioni anticinesi a Manila. La Cina ha interrotto alcune attività turistiche nelle Filippine e intensiicato i controlli sui prodotti provenienti dall’arcipelago, tra cui le banane, di cui è il principale importatore. In molti temono seriamente che il confronto possa portare a una guerra che farebbe scivolare l’intera regione in una spirale incontrollabile, soprattutto se le Filippine chiedessero aiuto agli Stati Uniti. Gli scogli di Scarborough non hanno niente di speciale, ma nel contesto delle dispute nel mar Cinese meridionale la contesa sul loro possesso potrebbe essere il detonatore. La via diplomatica sarebbe la soluzione ideale per risolvere l’impasse e magari anche le contese nella regione. Bisogna sperare che nel frastuono dei tamburi di guerra i leader cinesi e ilippini stiano lavorando in silenzio per evitare che il confronto degeneri. L’ipotesi di una soluzione diplomatica, però, appare oggi molto ottimistica. Per paciicare il mar Cinese meridionale è necessaria una mediazione autorevole e accettata da tutti. L’Indonesia potrebbe essere il paese più adatto a questo ruolo. Considerando gli interessi divergenti di tutte le parti in causa sarà comunque diicile trovare un mediatore, e ancora più complicato individuare una soluzione. Un ruolo attivo degli Stati Uniti è poco probabile, dato che la Cina non vuole coinvolgere la comunità internazionale e non vedrebbe di buon occhio un’eventuale presenza americana nella regione. Per gli stessi motivi un intervento delle Nazioni Unite è altrettanto irrealistico. L’Indonesia è il paese più grande del sudest asiatico per ricchezza, superficie e popolazione. Fa parte del G20, sostiene l’Asia-Paciic economic cooperation (Apec) ed è tra i fondatori dell’Associazione dei paesi del sudest asiatico (Asean). Ha esperienza di leadership e organizzando spesso vertici regionali ha dimostrato la sua abilità nelle relazioni internazionali. Ma soprattutto l’Indonesia non è coinvolta nelle dispute del mar Cinese meridionale. Partner economico sia della Cina sia degli Stati Uniti, può essere un mediatore più gradito di qualsiasi altro stato della regione. Approccio multilaterale Se dovesse intervenire, Jakarta dovrà trovare una soluzione per un contenzioso che al momento sembra irrisolvibile. dato che tutti gli stati coinvolti nelle dispute del mar Cinese meridionale hanno fatto capire di non essere disposti a fare un passo indietro, forse è necessario che tutti abbandonino le loro pretese di sovranità ed esplorino insieme le risorse della regione. Una proposta del genere potrebbe servire ad attenuare le ostilità abbastanza a lungo da portare i contendenti a dialogare. Al di là delle rispettive zone economiche esclusive, lo sviluppo congiunto delle risorse in acque contese potrebbe essere la soluzione migliore per tutti. Un approccio multilaterale alle dispute potrebbe chiarire e sempliicare le questioni legate alla sovranità ed essere utile per la condivisione delle risorse naturali. Comunque vada a inire, è chiaro che una guerra nel mar Cinese meridionale non servirebbe a nessuno. Non ci sarebbe alcun vincitore, e a farne le spese sarebbe l’intera area dell’Asia e del Paciico. Anche la Cina ha molto da perdere e poco da guadagnare. Minacciare un’azione militare può servire ad accontentare i nazionalismi, ma a parte questo è inutile. Per ora sembra che il calcolo dei costi e dei beneici sia suiciente a scongiurare lo scoppio di una guerra, ma è diicile che i due paesi si ritirino dalla contesa. L’orgoglio glielo impedisce. Si dice che questo sarà il secolo dell’Asia e del Paciico, ma non sarà così se la regione si ritroverà impantanata in una guerra. oggi i paesi del sudest asiatico stanno attraversando un momento di rapida crescita economica, e un conlitto non farebbe altro che sottrarre risorse preziose al processo di sviluppo. Se dev’esserci una guerra, allora bisogna combatterla nelle stanze della diplomazia e non sul campo di battaglia.