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 2012  maggio 17 Giovedì calendario

Sopravviverà la stampa credibile L’Ordine dei giornalisti? Non serve per diventare professionisti dell’informazione

Sopravviverà la stampa credibile L’Ordine dei giornalisti? Non serve per diventare professionisti dell’informazione. I giornalisti economici? Troppo pochi quelli bravi. La cronaca nera senza morbosità? Dai la notizia, ma dopo tre giorni basta. E il web non sostituirà i giornali di carta: ci vuole tempo e lavoro per costruirsi una reputazione credibile, chi ha investito in questo senso sopravviverà. È la sintesi della lectio magistralis di Enrico Mentana che si è tenuta ieri a Milano, nell’Aula Maggiore dell’Università Bocconi stipata di studenti attenti e silenziosi «come in nessun’altra aula», commenta un tweet in diretta. Una lezione di due ore e mezza a cavallo tra professione e società, ma con una conclusione politica: «Io non voto da anni, perché non mi si possa mai tacciare di parteggiare per questo o per l’altro schieramento. Ma se fondate un partito di soli giovani tra i 18 e i 28 anni, che faccia pesare il vostro numero e che porti avanti con serietà un programma di riforma di questa società gerontocratica che non lascia spazio alle nuove generazioni in nessun settore, io sono disposto a votarvi. Avete bisogno di uscire da una sindrome di “non antagonismo”. Nessuno vi regalerà niente: prendetevelo. Seguendo le regole della democrazia dovete scardinare il potere delle generazioni che vi hanno preceduto o loro non vi faranno mai entrare nelle stanze del potere. Mai. Pensate ai partiti, a chi ci governa, ai sindacati che trattano con i ministri sulle riforme del lavoro: i più giovani sono quelli della mia età e io sono del 1955. Oppure pensate a Emilio Fede: quando Mediaset l’ha pensionato la domanda giusta non era: “perché?” Ma: “perché era ancora lì a 81 anni?”». Quello della conquista senza benedizione a priori è un tema caro al direttore del Tg di La7: «Anche per diventare giornalisti. Lasciamo ai notai l’esame di stato, noi concentriamoci sulla sostanza di questo mestiere che è la notizia. Se vogliamo farne una professione, cominciamo a scovarla, a raccontarla con chiarezza e con entusiasmo. Non serve essere iscritti a un ordine per fare i giornalisti: la notizia è di chi ce l’ha e la scrive per primo. Che sia un blog o una testata nazionale non importa». «Quello che manca in Italia, però, sono i giornalisti economici con una preparazione solida universitaria: se qualcuno di voi mi mandasse un curriculum io lo assumerei al volo», rilancia Mentana parlando ai ragazzi che frequentano la scuola di direzione aziendale di cui Mario Monti è ancora presidente, seppure per il momento la carica sia stata congelata dagli impegni istituzionali del professore a capo del Consiglio dei ministri. «Certo», continua, «poi bisogna capire se avete la stoffa. Fior di laureati non riconoscerebbero una notizia neanche se ci andassero a sbattere contro. Gente senza una laurea, me compreso, può avere un particolare istinto per tutto quello che è inedito, interessante, per quello che può far scoccare la scintilla. In poche parole, ha fiuto per la notizia. Rimane però il fatto che quando ci sono notizie economiche in ballo io spesso devo chiamare amici specializzati e chiedere loro di spiegarmi come funziona: se non capisci fino in fondo il meccanismo dell’economia e della finanza non puoi pretendere di comunicarlo in modo da farlo capire a tutti». Passando dalla economia alla cronaca, Mentana semplifica: «La differenza tra una notizia di cronaca efferata data in maniera da soddisfare il dovere di cronaca e data in modo morboso? Io sono fiero di aver dato notizia del delitto di Avetrana solo per tre giorni dopo il ritrovamento del corpo della povera Sara. Tutto quello che è stato raccontato dopo, i particolari o le supposizioni, tutto quello è il lato morboso della cronaca che noi non copriamo». E a proposito di cronaca, in questo caso politica e giudiziaria, a metà lezione lo smartphone di Mentana gli comunica dell’indagine su Umberto Bossi e famiglia. Notizia che, ovviamente, Mentana condivide subito con il suo pubblico. «Oggi la tecnologia ha rivoluzionato l’informazione, è vero», commenta il giornalista, «ma dietro a una firma, a una testata, oggi come ieri ci vuole una reputazione fatta di anni di imparzialità e duro lavoro. Gli approfondimenti, i punti di vista, i confronti sono ancora in mano alle redazioni che hanno il modo e il tempo di confezionarli. E poi non illudiamoci che l’informazione sul web sia gratuita: paghiamo la connessione, l’elettricità, l’utilizzo del device. Quello del quotidiano che compriamo in edicola è solo un costo più evidente».