Claudio Plazzotta, ItaliaOggi 15/4/2012, 15 aprile 2012
Veneziani, ho iniziato sbagliando – Guido Veneziani, torinese da una vita e milanese da una dozzina d’anni, è nato nel 1964 a Reggio Calabria, «perché ero il primo figlio, e all’epoca mia mamma, di Reggio, aveva scelto di partorire al suo paese, dove poteva contare sull’aiuto della famiglia
Veneziani, ho iniziato sbagliando – Guido Veneziani, torinese da una vita e milanese da una dozzina d’anni, è nato nel 1964 a Reggio Calabria, «perché ero il primo figlio, e all’epoca mia mamma, di Reggio, aveva scelto di partorire al suo paese, dove poteva contare sull’aiuto della famiglia. Poi, dopo poche settimane, ritornammo da mio papà, di Torino». Le sue fortune sono iniziate da un bagno di sangue, quello del settimanale Soprattutto, che nel 2005 chiude per dare vita a Vero. Ma Veneziani lavora nel mondo della pubblicità e dell’editoria dal 1984, imparando i segreti del mestiere da una molteplicità di personaggi e aziende: dal parastato Sipra alle mirabolanti avventure di Calisto Tanzi con Odeon Tv, da Edilio Rusconi a Eduardo Giliberti e Flavio Biondi, fino a Urbano Cairo («aveva ritmi di lavoro disumani») e Alfredo Bernardini de Pace. «Erano grandi tempi: ho ancora in mente il contratto da 1,5 miliardi di lire di pubblicità che riuscii a ottenere da Olio Fiat per il talk show calcistico Forza Italia su Odeon Tv. E poi i miliardi che arrivavano nelle casse dei periodici. Nelle stagioni 1989-1990 il settimanale Gente valeva 60 miliardi di lire di pubblicità all’anno, e una pagina la vendevi a 15-20 milioni di lire. Gioia valeva 100 miliardi di pubblicità all’anno. Ci pensa?». Dal novembre del 2002 Veneziani si mette in proprio. Parte con la concessionaria Advergreen, e poi lancia il settimanale Soprattutto in edicola. Sono anni di grandi errori, che gli costano un sacco di soldi. Fino all’aprile del 2005, quando chiude Soprattutto e debutta, il 16 maggio, con il settimanale familiare Vero. Di lì la sua storia cambia. Il business decolla, le testate si susseguono (ora la Gve ne ha in portafoglio 12), tra qualche giorno si parte pure con la televisione (Vero, canale 137 del digitale terrestre), e lui, Veneziani, governa il tutto dal suo bell’ufficio affacciato sul Parco Sempione, a Milano. Domanda. Però torniamo per un attimo agli inizi, a Torino, in Sipra, nel 1984. Risposta. All’epoca la Sipra aveva due divisioni: una per la Rai e le tv, e una per la carta stampata, in cui Sipra seguiva soprattutto i quotidiani politici. Mi son fatto le ossa in quella società, per poi passare, nel 1987, a Odeon Tv D. Odeon Tv era nata con obiettivi ambiziosi: 5% di share, 250 miliardi di lire di raccolta pubblicitaria... R. Tanzi aveva lanciato Odeon Tv in società con Vincenzo Romagnoli, proprietario della casa di produzione Titanus. Era anche questo che mi aveva fatto scegliere Odeon. Credevo che la presenza di Titanus avrebbe assicurato una library di film molto ampia. Ma Romagnoli uscì presto dalla partita, cedendo le sue quote al costruttore Edoardo Longarini. E il progetto andò a rotoli abbastanza rapidamente. Mi ricordo, però, il talk Forza Italia (condotto da Fabio Fazio e Walter Zenga, con Roberta Termali e Cristina Parodi, ndr), e il contratto pubblicitario da 1,5 miliardi di lire che riuscii a ottenere da Olio Fiat. Nel 1988, comunque, passo in Rusconi a Torino. D. Quelli sono gli anni in cui Edilio Rusconi molla la Sipra e si fa una sua concessionaria interna... R. Si, era guidata da Dante Secchia. Io facevo sempre il venditore di pubblicità nazionale, tra Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta. Anni fantastici, in cui il mercato tirava tantissimo. Gioia diffondeva 400 mila copie, Gente 700 mila. Nel 1992, poi, Rusconi si accordò con Rcs per creare una struttura insieme. D. Cioè, cosa accadde? R. Eduardo Giliberti decise di creare una Rcs pubblicità e una Rcs Publimese. La Rcs pubblicità avrebbe seguito i quotidiani e i settimanali di Rcs e Rusconi. La Publimese i mensili di Rcs e Rusconi. Io andai in Publimese. L’intera operazione, tuttavia, fu un bagno di sangue per Rcs. La società di via Rizzoli, infatti, aveva promesso minimi garantiti altissimi a Rusconi: 220 miliardi all’anno. Poi l’unione tra Gente e Oggi non funzionò, da un punto di vista della vendita pubblicitaria. L’alleanza venne sciolta, e io restai in Rcs pubblicità, guidata da Flavio Biondi. Continuai a lavorare nell’area di Torino, fino al marzo 1996, quando mi chiama Urbano Cairo. D. Come lo conobbe? R. Due anni prima avevo fatto un colloquio con lui, all’epoca amministratore delegato di Mondadori pubblicità. Rifiutai la sua offerta, ma lui si ricordò di me quando creò Cairo Communication. Nel marzo 1996 Cairo era appena partito con la sua avventura. Era in spinta totale per i primi 4-5 mesi, una roba disumana, mi chiamava 30 volte al giorno, sabato e domenica compresi. Partimmo con la raccolta di Io Donna, Tv Sette, Oggi. A me venne affidata la sede di Torino, con il compito di sviluppare la rete agenti in Piemonte, Liguria, Valle d’Aosta. Con Cairo ho fatto un po’ di tutto. Mi sono occupato pure della pubblicità nello stadio Olimpico di Roma, e in seguito mi sono state assegnate anche le regioni Lazio, Campania e Sardegna. Nel 1999 mi sposto in Giorgio Mondadori, appena acquisita da Cairo. D. Cairo communication era in rampa di lancio, sembrava uno dei gruppi più importanti del momento. E lei, invece, a fine 1999 se ne va in Prs. Perché? R. È vero, all’epoca il gruppo Cairo era veramente molto cool. Aveva anche appena comprato la concessionaria di Telepiù. Ma di Prs mi aveva interessato un aspetto: era una concessionaria che aveva molta carta stampata, non dei volumi di Cairo, ma comunque interessante; e aveva la quasi totalità delle concessioni di tv locali. Insomma, mi pareva un mix molto promettente. D. Un paragone tra Cairo e Alfredo Bernardini de Pace, azionista di maggioranza di Prs? R. Beh, Bernardini de Pace l’ho trovato sicuramente più prudente. D. Perché lascia Prs? R. Lo faccio nel 2002, subito dopo aver perso la gara per la concessione di La7. Avevo compreso che quella gara era fondamentale. E infatti lo è stata per Cairo, che ha potuto fare molte sinergie tra carta stampata e televisione. Quelli in Prs, comunque, sono stati anni importanti, molto formativi. A fine 2002 la concessionaria aveva chiuso un bilancio con 60 milioni di euro di raccolta. Io ero consigliere di amministrazione con delega alla direzione generale. E avevo portato in Prs un sistema nel quale Cairo è un virtuoso: ovvero, la numerosità di venditori sul territorio. In Prs, a fine 2002, avevamo oltre 100 venditori, e raccoglievamo pure i canali di Rai Sat. D. Nonostante questo, nel novembre del 2002 rompe con Prs... R. C’era un disaccordo con Bernardini de Pace, e decidiamo di dividerci. Io acquisisco il pacchetto di maggioranza della concessionaria Advergreen, una sorta di seconda linea di Prs. D. A fine 2002, quindi, inizia la sua avventura di imprenditore... R. Sì. E comincio nel momento più sbagliato. Quando ci sono le prime avvisaglie di crisi delle diffusioni e della raccolta pubblicitaria su carta stampata. Advergreen aveva in portafoglio alcune testate Quadratum, Mondadori e Piscopo, che però, per un accordo tra noi, dovevo restituire a Prs a fine 2003. E poi avevo il settimanale Soprattutto, allegato ad alcuni quotidiani. Nel 2003 chiudiamo con 14 milioni di fatturato. Però devo restituire le testate a Prs, e poi lo stampatore Seregni, editore di Soprattutto, mi comunica che intende chiudere la testata. Il tutto in un mercato della periodica in flessione. Certo, avevo pure alcune testate minori, come Spazio casa, Nove mesi, Primo anno, e poi quelle di Gaja (gruppo Camuzzi). Ma le cose non si mettevano bene. D. E decide di prendersi Soprattutto... R. Se fino allora avevo fatto 100 errori, quello era il 101esimo. Affitto la testata da Seregni a inizio 2004, e la lancio in edicola. Sarebbe come andare in edicola con Sette del Corriere della Sera o Il Venerdì di Repubblica da soli: non se li comprerebbe nessuno. Per me Soprattutto è stato un bagno di sangue. Fortunatamente ho capito in tempo che, dopo il successo di Cairo ed Ernesto Mauri con Dipiù, c’era spazio di mercato per i familiari. D. E nel maggio del 2005, dopo la chiusura di Soprattutto, parte con Vero... R. Già quando stavo in Prs sostenevo che i conti economici di molte testate periodiche fossero sbilanciati nei confronti della pubblicità. Settimanali e mensili venivano fatti solo per gli investitori e non per i compratori. E, in genere, quello che piace ai pubblicitari piace poco ai consumatori. Parto con Vero, investo un decimo rispetto a quanto avevo investito su Soprattutto, ma presto una grande attenzione al prodotto, ai contenuti, con Dario Tiengo direttore esterno, e un service giornalistico a confezionare il giornale. D. Poi c’è stata la seconda fase, con Riccardo Signoretti... R. Sì, un direttore monocentrico, con fiori freschi sulla scrivania, che ha seguito Vero, le sue brand extension, il lancio di Top, il rilancio di Stop. Quindi, quando Signoretti ci ha lasciati, siamo passati alla terza fase, con sei direttori che dipendono dalla casa editrice, e un service distaccato ma molto integrato, con oltre 50 giornalisti. D. E a fine maggio, come già anticipato da ItaliaOggi, al via il canale televisivo Vero. Un grande salto... R. Sì, puntiamo sull’intrattenimento in diretta con tanti volti noti e familiari. Dovremmo partire al canale 137, ma credo che a settembre verrà ridisegnata la mappa di assegnazione della numerazione. E tenteremo di avere un numero migliore.