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 2012  maggio 16 Mercoledì calendario

Maiali che si mangiano tra loro, polli e galline stipati a migliaia in pochi metri, vitelli strappati dalle madri appena nati

Maiali che si mangiano tra loro, polli e galline stipati a migliaia in pochi metri, vitelli strappati dalle madri appena nati. In tutta Italia si discute dei Beagle liberati dall’allevamento di Green Hill, diventati il simbolo della battaglia contro il maltrattamento degli animali, ma come se la passano gli altri? In che condizioni vengono allevati quelli che ci mettiamo ogni giorno in tavola? Per scoprirlo, e documentarlo, gli attivisti di Nemesi Animale – primo gruppo in Italia, con Esseri Animali, che si occupa di «investigazione» – hanno iniziato a infiltrarsi di notte, con telecamere e macchine fotografiche, negli allevamenti industriali della Lombardia, la regione italiana dove si produce più carne. Ecco la cronaca di un’ incursione. CARNE IN GABBIA E URINA Nei casermoni di cemento dove sono rinchiusi dai 5 ai 10 mila maiali (nei più grandi si arriva anche a 20 mila), l’odore di carne in gabbia mista a urina e feci è intenso. Le scrofe gonfie di latte sono strette tra sbarre di metallo e quando si muovono, a volte, schiacciano i cuccioli. Ci sono piccoli cadaveri dentro e fuori i box di cemento, in parte divorati dai topi. «Altri vengono mangiati dai loro fratelli. Il cannibalismo è pratica comune tra gli animali in prigionia», ci spiega Lorenzo, 24 anni, attivista di Nemesi e studente di veterinaria. «Nei box per lo svezzamento si staccano pezzi di orecchie a vicenda». Per legge i cadaveri andrebbero messi nelle celle frigorifere, ma il personale non sempre riesce a fare pulizia quotidianamente. Alcuni maiali hanno tumefazioni sul dorso e sulle zampe. «I tumori sono frequenti», spiega Claudio, «a causa dell’ipertrofia: i maiali sono selezionati geneticamente per ingrassare il più possibile. Sono così grossi che a volte crollano sul loro stesso peso e si spezzano le zampe». Su alcuni animali si vedono cartelli con scritto «Diarrea» e «Se fa meno di 10 cuccioli mandarla al macello». QUI NON SI VEDE IL SOLE I polli vengono cresciuti a terra, stipati in enormi capannoni open space da 10 mila capi. Hanno tutti il becco tagliato, per fare in modo che non si uccidano tra loro, e trascorrono la loro breve esistenza su pavimenti coperti da escrementi. Ai lati, cadaveri schiacciati e in parte mangiati. «Vengono gonfiati di cibo in pochi mesi», spiega un’altra attivista, Francesca, «e poi raccolti in massa per essere portati al macello. Una macchina con braccia meccaniche li rastrella per infilarli in gabbiette di metallo. Inutile dire che molti muoiono. Una volta presi tutti, il capannone viene lavato, disinfettato e riempito di pulcini». Non va meglio alle galline ovaiole. Ferite, spennate, sbeccate, vivono in gabbie a più piani (fino a sette) senza vedere mai il sole. «La luce artificiale perenne fa sì che producano uova a ciclo continuo», spiega Brenda, 26 anni, da 10 vegetariana e da 6 vegana. «A un anno sono già vecchie, con vagine purulente». In molti di questi allevamenti si vedono scatolette da cui partono i fili elettrici per tenere lontani i topi che si mangiano le galline morte schiacciate. AIUTO, MAMMA Gli allevamenti di mucche e vitelli sono forse i meno impressionanti, per l’aria aperta e gli spazi di passaggio relativamente ampi. Ma la realtà è un’altra. I piccoli vengono strappati alle madri a poche settimane dalla nascita e imprigionati in minuscoli box poco distanti: sentono l’odore della mamma senza poterla raggiungere. Il dolore li rende catatonici e immobili. «Può succedere che vengano lasciati per giorni senza acqua né cibo perché sono animali poco redditizi», racconta Claudio, 36 anni, il più anziano del gruppo. «Spesso il prezzo di un vitello sul mercato non copre nemmeno le spese del suo sostentamento. A volte vengono buttati vivi nei cassonetti». L’inseminazione artificiale a cui sono continuamente sottoposte le mucche non è dunque finalizzata ai vitelli, ma al latte che producono di continuo. AUTO-CANNIBALISMO Tra i conigli, chiusi in 3 o 4 per gabbia, i fenomeni di auto-cannibalismo sono frequenti. «Abbiamo visto un coniglietto con le zampe posteriori paralizzate, che se le stava mangiando», racconta Lorenzo. Negli allevamenti c’è un forte odore di ammoniaca, contenuta nell’urina che passa dalle grate del pavimento, e che rende l’aria irrespirabile. Ma i conigli non devono sopportarla a lungo: vivono pochi mesi, per poi finire dritti sulle nostre tavole. Stefania Prandi