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 2012  marzo 30 Venerdì calendario

INCHIESTA DELL’ESPRESSO SUL TESORO DELLA MARGHERITA


CARLO BONINI
Almeno venticinque milioni di euro sottratti dal 2007 al 2011 dalle casse della Margherita. È l’accusa che la procura di Roma rivolge all’ex tesoriere Lugi Lusi. Lui prima confessa, chiede il patteggiamento ma non lo ottiene. Quindi coinvolge i dirigenti, lanciando loro messaggi minacciosi: "Se parlo, salta tutto il centrosinistra". Malgrado le smentite e le querele dei suoi ex colleghi rilancia: "Ho agito per conto loro, c’era un patto che stabiliva la spartizione dei fondi, 60% ai popolari e 40% ai rutelliani"
L’Affare Lusi è una storia che comincia per caso. E che come una palla di neve si fa valanga. Che torna a spalancare la questione irrisolta della trasparenza dei bilanci dei partiti politici. Fino ad evocare - per dirla con le parole del suo protagonista - una "Cernobyl del centro-sinistra". I fatti. Nel dicembre dello scorso anno, la Banca d’Italia segnala alla Guardia di Finanza operazioni sospette che ruotano su due conti correnti. Il 7975, acceso presso la filiale Bnl del Senato della Repubblica intestato alla "Margherita" e il 10879585, acceso presso una filiale Unicredit e intestato ad una sconosciuta società di consulenza, la "TTT srl". Dal primo conto - annota Bankitalia - in un periodo che va dal 2007 al 2011, sono stati bonificati a favore del secondo 13 milioni 579 mila 200 euro con 90 distinte operazioni tutte sotto la soglia dei 150 mila euro. Un "frazionamento" che insospettisce. Per almeno due buone ragioni. La prima: dal 2007, la Margherita è un partito che non esiste più e non si vede dunque per quale ragione debba spendere quella montagna di denaro in "consulenze". La seconda, quella società, la "TTT srl" è indirettamente controllata da Luigi Lusi, senatore della Repubblica del Pd, che della Margherita è stato ed è il tesoriere.

L’indagine della Finanza e dei pubblici ministeri Alberto Caperna e Stefano Pesci è fulminea. A metà gennaio, Francesco Rutelli, già segretario politico del partito e presidente dell’Assemblea federale che ancora ne controlla l’amministrazione della cassa, ascoltato in Procura, cade dalle nuvole. Soltanto 24 ore dopo, Lusi confessa di essersi appropriato di quel denaro. La vicenda sembra doversi chiudere rapidamente. Lusi propone di patteggiare una pena a 8 mesi di reclusione e la restituzione di 5 milioni di euro. Ma il banco salta. La vicenda apre infatti il vaso di Pandora dei risentimenti e delle rivendicazioni tra le ex componenti della Margherita. Si fa affare politico, oltre che giudiziario. Non fosse altro perché tra il 2007 e il 2011, Lusi ha amministrato oltre 200 milioni di euro di denaro pubblico che il Partito ha continuato a ricevere a titolo di "rimborsi elettorali" per gli anni precedenti il suo scioglimento. Almeno due, sono le domande cruciali. Come è stato mai possibile che, nel Partito, nessuno abbia avuto percezione di quanto accadeva nell’amministrazione delle sue risorse? Su quali basi, revisori dei conti e Assemblea federale del Partito hanno approvato per cinque lunghi anni bilanci le cui voci, come documentano in modo inoppugnabile le indagini, sono a dir poco "opache".

Per altro, l’inchiesta della Procura scopre in febbraio che le dimensioni del "furto" del tesoriere sono macroscopiche, almeno doppie rispetto alla scoperta iniziale. Non 13 milioni e mezzo, ma 25. Un fiume di denaro che Lusi ha utilizzato per comprare almeno tre immobili di prestigio (2 ville ai castelli Romani, a Genzano e Ariccia, e un attico e super-attico in via Monserrato, a Roma), che ha in parte spostato all’estero, in Canada, di cui è cittadina la moglie, l’architetto Giovanna Petricone, e che ha mosso anche su conti italiani per elargire prestiti a nipoti, fratelli, amici. Di più. L’ex tesoriere ha prelevato almeno 11 milioni di euro in contanti dal conto del Partito, ha staccato centinaia di assegni con beneficiario in bianco.

Lusi si dimette dall’incarico di tesoriere e il Pd lo espelle dal partito. Nell’inchiesta penale, si moltiplicano gli indagati (con Lusi, la moglie Giovanna, il cognato Francesco Petricone, la nipote Micol D’Andrea) e le ipotesi di reato. Con l’appropriazione indebita, vengono contestati il riciclaggio e il "trasferimento fraudolento di beni". Il gip, con due distinti provvedimenti, dispone altrettanti sequestri di immobili e conti bancari intestati a Lusi, definendolo "un Predone".

Lusi si chiude in un silenzio minaccioso, da cui filtrano di tanto in tanto battute apparentemente rubate in cui l’ex senatore gioca la parte della vittima sacrificale in nome di una "verità politica inconfessabile". Lo scontro con l’ex segretario e amico personale Francesco Rutelli raggiunge punte di straordinaria violenza verbale ("Lusi? Un cancro"). Sopratutto all’indomani della decisione dell’ex segretario di consegnare alla Procura della Repubblica le prime conclusioni del lavoro di due diligence sui bilanci del Partito che la "Margherita" ha affidato alla società "Kpmg". L’immagine pubblica e privata di Lusi ne esce annichilita. L’uomo appare prigioniero di una sindrome narcisistico-compulsiva. Con soldi del Partito, pasteggia a spaghetti e caviale, brucia oltre 300 mila euro in biglietti aerei e vacanze esotiche in resort esclusivi. Insomma, un abisso di cui non si indovina il fondo.

Sembra debba essere il capitolo finale della storia. Ma non lo è. L’ex tesoriere prova a uscire dall’angolo in cui è finito, con un argomento della disperazione. Interrogato una seconda volta dai pubblici ministeri, sostiene di aver operato come "fiduciario della Margherita". Spiega di aver acquistato immobili, prestato denaro a familiari e amici, quale forma di investimento che avrebbe dovuto in un futuro remoto assicurare nuova liquidità a un partito ormai morto da un lustro. Aggiunge di averlo fatto nella consapevolezza di "alcuni almeno nel Partito". Dove godeva della massima fiducia, perché "garante del patto" di spartizione delle risorse politiche della Margherita, che attribuiva alla corrente dei Popolari un 60 per cento e a quella dei rutelliani un 40. Il morto si afferra dunque ai vivi. E nella notte di Lusi, i gatti rischiano di apparire nuovamente tutti neri. Gli spaghetti al caviale a scrocco e il finanziamento delle correnti. Naturalmente, pronunciando invano quella parola che così si rischia di uccidere per sempre. La Politica.

30 marzo 2012

RITRATTO DI LUSI (c.b.)
Chi è davvero l’avvocato e cinquantunenne senatore della Repubblica Luigi Lusi? E’ l’uomo di famiglia abruzzese cresciuto negli scout, per cinque anni segretario generale dell’Agesci, l’ammirato campione di volontariato per i disabili, i bimbi palestinesi, i sopravvissuti di Chernobyl? O è il Predone che gode della dolcezza del "beluga" a 180 euro il grammo che si scioglie sotto il palato, del senso di sazietà narcisista che dà una ricchezza da Creso che si moltiplica con soldi altrui? L’uomo capace di parcheggiare su un conto privatissimo soldi raccolti per i terremotati dell’Aquila. Che ti ruba la fiducia, prima del portafoglio. Raccontano con un qualche sgomento i suoi pochi amici che ancora non riescono a definirsi ex, che forse sia l’uno e l’altro. Perché "nella vita si cambia", anche se nessuno se ne accorge. Ma che le sue due vite, in fondo, non siano che lo specchio di una personalità irrisolta. Che nella foga del "Lusi politico", si rintracci tutto il risentimento, la privazione, del "Lusi scout". Come pure accade a chi improvvisamente e in tarda età assaggia ciò che troppo a lungo ha proibito a se stesso.

La vicenda che lo ha inghiottito non ne ha apparentemente scalfito l’arroganza. Nel tono omertoso, nel fare allusivo. Nel proporsi come Gran Sacerdote e Vittima della Politica, del suo Sistema. Che pure ha evocato in ogni passo di questa vicenda. Salvo evitare di fornirne anche soltanto una coordinata. Nell’abisso dell’accusa di appropriazione indebita ha trascinato l’intera famiglia. La sua seconda moglie, Giovanna Petricone, il cognato, Francesco Petricone, una delle nipoti, Micol D’Andrea, utilizzati come "teste di legno" (l’indagine accerterà se consapevoli o meno) di un giochino di incastri societari e intestazioni fiduciarie che sembrava non dovesse finire mai. Dichiarava al Fisco un reddito di tutto rispetto - 400 mila euro lordi annui - ma collezionava ville, tenute, appartamenti, per una ventina di milioni di euro. Nessuno, in nessuna delle sue due case - la famiglia e il Partito - sembra gli abbia mai chiesto conto di tanta sproporzione. Possibile? Lui ora dice che "qualcuno sapeva" del suo vero mestiere. E sembra francamente di ascoltare quel baro che, rovesciando il tavolo, dà dei bari a chi accanto a lui è seduto. Ma questo Lusi probabilmente lo sa. Anche se continua a ripetere che quello che va dicendo è la ’verità’. "Non sono un ladro. Investivo per conto del Partito".
(c.b.)

DICHIARAZIONI DI RUTELLI
"Parliamo di politica e i ladri mandiamoli a finire dove meritano di stare. Mò basta! Avete rotto le palle!". Quando a metà marzo Francesco Rutelli perde le staffe intervistato in tv da Lucia Annunziata, diventa chiaro per tutti ciò che dell’affare Lusi è stato il tratto dominante dal primo istante. Il suo potenziale carico di ricatti, veleni. L’ex tesoriere della "Margherita", da questo punto di vista, è abile. Travolto da un’accusa gravissima, comprende che può essere decisivo spaventare Rutelli (cui è stato per altro legato da un rapporto di amicizia) e i suoi ex compagni di strada. Lasciare intendere che da questa storia nessuno potrà uscire con le ossa intere. Anche perché Lusi conosce bene - per averla sfruttata - l’opacità con cui, senza eccezioni, i partiti amministrano le proprie risorse. E’ un terreno scivolosissimo su cui Rutelli accetta di combattere una battaglia che lo vede sempre solo. Ne va - spiega - della sua onorabilità, della sua storia e del suo futuro politico. Le ripetute conferenze stampa, comunicati, interviste, dichiarazioni, con cui risponde alle allusioni di Lusi e alle legittime domande sollevate dai media che si interrogano se l’ex segretario della Margherita abbia continuato a godere indirettamente dei finanziamenti del partito ormai dissolto anche da segretario dell’Api, offrono l’immagine di un uomo furibondo, non di rado sopra le righe ("Lusi è un cancro") e, paradossalmente, spesso finiscono per ingrassare un clima di sospetto. Anche perché, intorno a lui, che nel 2009 ha diviso i suoi destini politici dal Pd, fondando l’Api, gli ex della Margherita (di entrambe le diaspore) fanno il vuoto. Come se la questione politica che pone la questione Lusi riguardasse solo lui, Rutelli. A maggior ragione quando l’ex tesoriere, nel suo secondo interrogatorio con i pm, porta il suo affondo. "Sono stato il garante di un patto di spartizione dei fondi della Margherita tra le correnti dei Popolari e dei Rutelliani in una proporzione 60-40 per cento", dice. Lasciando scivolare a verbale anche il nome di Gianpiero Bocci, presidente del Comitato di tesoreria (da lui, dall’inizio di questa storia, non una sola parola).
"Una calunnia. L’ennesima di un uomo disperato", replica Rutelli. E fissa per i prossimi mesi l’ultima Assemblea federale della Margherita. Quella che lo metterà in liquidazione e dividerà, per l’ultima volta, ciò che resta della cassa. Poi va in tv da Fabio Fazio e annuncia che tutti i soldi arrivati dopo la fine del partito verranno restituiti ai cittadini.

***

LA FAMIGLIA DI LUSI
Nel suo abisso, Luigi Lusi trascina un’intera famiglia. Fratelli, nipoti, moglie, un cognato. Che prova a difendere con il solo argomento che gli è rimasto: "Erano inconsapevoli e dunque innocenti". Parole che non sembrano aver fatto breccia nelle convinzioni dei magistrati. E non tanto perché tre dei suoi familiari sono oggi indagati (la moglie Giovanna Petricone, la moglie del nipote Micol D’Andrea, il cognato Francesco Petricone) a diverso titolo per ricettazione, riciclaggio, trasferimento fraudolento di beni, o perché quella della "inconsapevolezza" è diventata quasi una boutade. Ma per le considerazioni con cui il gip Simonetta D’Alessandro fotografa la cerchia familiare dell’ex tesoriere in almeno uno dei due provvedimenti di sequestro dei beni. "Come potevano spiegarsi la differenza tra i redditi denunciati dal senatore e l’entità dei suoi investimenti immobiliari, della sua disponibilità di liquidità?". E’ un’osservazione dettata dal buon senso e da una logica stringente. Soprattutto se si va nel dettaglio del loro coinvolgimento. Ai nipoti Giovanni Tuteri ed Emanuele Lusi, l’ex tesoriere offre "prestiti infruttiferi" (e senza apparente scadenza di restituzione) per 130 e 360 mila euro. E in almeno un caso (Emanuele Lusi) quel denaro viene reinvestito per l’acquisto di una casa e per il "primo saldo" dell’acquisto della nuda proprietà di "villa Elena", l’ultima proprietà acquistata dall’ex tesoriere ai Castelli Romani. Per non parlare della moglie Giovanna Petricone, che vede arrivare sul suo conto la bellezza di 3 milioni di euro, che provvede poi a frazionare. Parte in investimenti sui propri conti italiani. Parte con trasferimenti alla società "Filor" con cui sta costruendo una casa nel città canadese in cui è nata. La donna da dove immaginava che arrivasse tanta ricchezza? Dallo stipendio di senatore del marito? Anche Antonino Lusi, fratello di Luigi e sindaco Pd di Capistrello (l’Aquila) dovrà qualche spiegazione. Se non penale, politica. Ha detto di provare "dolore" per il fratello. Ma come mai, sul suo conto, vengono appostati 85 mila euro raccolti dall’ex tesoriere per i terremotati che ai terremotati non sono mai arrivati?

TESTIMONIANZA DI ARTURO PARISI
"Potrei dire che i miei contrasti con Luigi Lusi arretrano alla notte dei tempi. Fin dall’esordio della Margherita è stato un continuo infinito braccio di ferro. Da una parte domande sull’uso politico delle risorse destinate all’azione comune, dall’altra la sistematica resistenza a darne conto. Ma mai il sospetto di una appropriazione personale a fini privati. Un braccio di ferro con un avversario messo a guardia delle risorse del partito a garanzia del fatto che fossero spese a sostegno della presidenza Rutelli e della sua linea politica. È per questo che da presidente dell’Assemblea federale avevo chiesto la costituzione di un comitato di tesoreria che difendesse le minoranze dagli eccessi di potere e, con masochismo, me ne accollai per anni la presidenza. Ma mai avrei immaginato che si finisse a guardie e ladri". Così ha parlato Arturo Parisi dell’affare Lusi. E le considerazioni di quello che è stato per anni uno dei leader della minoranza nella "Margherita" sono diventate sale sulle ferite politiche aperte dalla scoperta della stangata dell’ex tesoriere. Perché dimostrazione che forse non sarebbe stato impossibile accorgersi di quanto stava accadendo se solo si fosse voluto.
E’ un fatto che le parole di Parisi hanno avuto un effetto domino. Sugli uomini della Margherita migrati al centro (con l’avvio di una battaglia in sede civile perché venga riconosciuto il loro diritto a partecipare alla divisione delle risorse residue del Partito). E su quelli confluiti nel Pd. Come Pierluigi Castagnetti. "Ricordo che all’Assemblea federale del giugno 2010 convocata per l’approvazione del bilancio saremmo stati non più di una ventina. Tanto che posi prima un problema di numero legale e quindi di sostanza. La voce di spesa per la propaganda ammontava a poco meno di 7 milioni di euro. Un’enormità per un partito che non c’era più. Chiesi a Lusi di dettagliare quella voce e lui si inalberò. Mi disse che era nell’impossibilità di fornire quei dati. Io risposi che la sua risposta era inconcepibile. Ed avemmo un alterco importante. Annunciai allora il mio voto contrario sul bilancio. Cosa che feci, anche se ricordo che Bianco provò insistentemente e fino all’ultimo a convincermi di non farlo".