Aldo Grasso, Corriere della Sera 17/05/2012, 17 maggio 2012
SUL GIRO SI POTREBBE RACCONTARE DI PIU’
Se si segue il Giro d’Italia come un serial, una lunga storia dove ogni tappa è una puntata, le emozioni non mancano mai, anche in quelle di pianura. Il Giro ha il fascino antico del ciclismo (diffidare di chi va in bici ma non guarda il Giro o il Tour!), forse lo sport che meglio rappresenta la fatica umana, nei suoi sudori ma soprattutto nelle sue passioni. Il ciclismo è uno sport ancora molto umano dove gli ultimi possono diventare primi e i primi ultimi. È uno degli sport più maltrattati (giusto combattere il doping ma più giusto ancora combatterlo in tutti gli sport) e insieme più amati.
Quest’anno il Giro era stato descritto come facile e invece (anche grazie al prologo in Danimarca) ogni giorno presenta la sua brava insidia: è una strana corsa, può succedere di tutto. Un Giro senza un predestinato o senza dominatore? Un Giro per Ivan Basso, Giovanni Scarponi o per un terzo incomodo, tipo Joaquim «Purito» Rodriguez? Il Giro d’Italia 2012, per come è stato disegnato, pone un grande problema ai telecronisti. Come spesso succede, la corsa diventa interessante solo negli ultimi km e allora, cosa si dicono Francesco Pancani e Davide Cassani, su Rai3 e Raisport2, e Salvo Aiello e Riccardo Magrini su Eurosport HD? Chiacchierano, parlano, tirano tardi, in attesa del rush finale. Sono telecronache espressamente orientate ai tifosi e ai cicloamatori. E gli altri? Se accanto a due commentatori ci fosse qualcuno, una specie di Philippe Daverio, in grado di raccontare i paesi che il Giro percorre (raccontare significa incuriosire con competenza), la corsa si trasformerebbe in un viaggio avventuroso.
P.S. Qualcuno è così gentile da spiegare ai vari cronisti sportivi che il verbo «defatigare» è un rafforzativo, significa «stancare» e «defatigante» è qualcosa che affatica, che logora le forze. Non il contrario, un esercizio per «togliere la fatica».
Grazie.
Aldo Grasso