Enrico Marro, Corriere della Sera 17/05/2012, 17 maggio 2012
IL PESO DELLE TASSE? SU DIPENDENTI E PENSIONATI —
La pressione fiscale è aumentata nell’ultimo decennio (dal 40,5% del Prodotto interno lordo nel 2002 al 45,1% previsto per quest’anno) arrivando a livelli altissimi: ovviamente per chi non evade o non può evadere a causa del prelievo alla fonte. Se si prende l’andamento dell’Irpef, l’imposta sui redditi delle persone fisiche, che è la principale fonte di prelievo del sistema (vale circa 150 miliardi di euro), si osserva un incremento del contributo dei redditi di lavoro dipendente e pensioni mentre cala quello di lavoro autonomo, impresa e partecipazione. Questa la conclusione alla quale giunge il rapporto sull’Irpef (anni d’imposta 2003-2010) di Lef, l’Associazione per la legalità e l’equità fiscale, animata tra gli altri da Massimo Romano, già direttore dell’Agenzia delle entrate dal 2006 al 2008, e da altri collaboratori dell’ex ministro delle Finanze Vicenzo Visco (Pd). Il documento, curato da Lelio Violetti, ex responsabile dell’Ufficio studi della Sogei, la società pubblica per l’Anagrafe tributaria, mette a confronto sei tipologie di reddito dichiarato negli otto anni presi in esame (2003-2010) e la corrispondente Irpef pagata.
Il reddito totale dichiarato ai fini Irpef passa da 655 miliardi nel 2003 a 792 miliardi nel 2010. Di cui quello da lavoro dipendente da 344,5 a 418,1 miliardi. Quello da pensione da 177,3 miliardi a 228,2. Insieme, i redditi da lavoro dipendente e da pensione, rappresentavano, nel 2003, il 79,66% di tutto il dichiarato e nel 2010 l’81,55%, cioè quasi due punti in più. Nel frattempo però l’Irpef versata da queste stesse categorie aumentava di circa tre punti, passando dal 75,59% al 78,42%, interamente dovuti al maggior contributo dei pensionati la cui Irpef è passata dal 21,1% del totale nel 2003 al 23,8% nel 2010, mentre i lavoratori dipendenti sono rimasti stabili intorno al 54,5-55%. Al contrario, nello stesso periodo, il peso degli altri redditi sia sul totale dichiarato sia sull’imposta pagata è sceso.
In particolare, il lavoro autonomo è rimasto a poco più del 4% del reddito totale dichiarato a fini Irpef e l’imposta pagata di poco superiore al 6%. Il reddito d’impresa ha invece subito un andamento altalenante: rappresentava il 4,5% del totale nel 2003, era salito al 5,07% nel 2006 e poi è costantemente sceso fino al 3,81% del 2010. E così l’imposta versata: dal 4,6% del totale nel 2003 al 5,1% del 2007 al 3,9% del 2010. In calo anche l’Irpef pagata sui redditi da partecipazioni: il 6,4% del totale nel 2003, il 5,3% nel 2010. È chiaro che la crisi ha colpito artigiani, commercianti, imprenditori, ma è anche vero che per queste categorie è più facile evadere non avendo il prelievo alla fonte. Così mentre per i dipendenti il reddito, nel periodo 2003-2008, è salito del 21,4% e l’Irpef pagata del 25,7% per gli autonomi il reddito è cresciuto più dell’imposta: il 25% contro il 22%.
«È significativo notare — si sottolinea nel rapporto — che il peso del lavoro dipendente e delle pensioni resta dominante anche nelle classi di reddito più elevate. In particolare, nella classe con aliquota al 41% (da 55 mila a 75 mila euro), le due componenti ammontano a circa il 70%». E anche nella fascia oltre i 200 mila euro di reddito la metà è rappresentato da dipendenti e pensionati.
L’aumento del gettito Irpef dai redditi di questi due gruppi di contribuenti, ha detto Visco intervenendo alla presentazione del rapporto, è dovuto al fatto che «salari e pensioni sono aumentati più del prodotto interno lordo» mentre sugli altri redditi «probabilmente è cresciuta l’evasione». Lo studio sottolinea anche l’effetto negativo sui redditi fissi del fiscal drag, le maggiori imposte pagare a causa dell’aumento nominale dei guadagni che fa ricadere il contribuente in scaglioni ad aliquota superiore. Che fare? Secondo Lef bisognerebbe appunto ridurre il peso dell’Irpef su dipendenti e pensionati. Per Visco, in particolare, si dovrebbe tagliare la prima aliquota dal 23% al 20% e la terza dal 38% al 36% perché «il problema dell’Irpef è l’eccessiva incidenza sulle classi medie, compresi gli operai pagati bene, cioè i redditi fino a 55 mila euro».
Enrico Marro