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 2012  maggio 17 Giovedì calendario

Le carte segrete della maratona - Dagli archivi Olimpici la maratona esce come uno scherzo. Sì, la gara che esalta la fatica, il percorso del coraggio su cui si misurano gli eroi è la sintesi di un carteggio che si occupa di faccende monarchiche e calcoli arrotondati certificati da Scotland Yard

Le carte segrete della maratona - Dagli archivi Olimpici la maratona esce come uno scherzo. Sì, la gara che esalta la fatica, il percorso del coraggio su cui si misurano gli eroi è la sintesi di un carteggio che si occupa di faccende monarchiche e calcoli arrotondati certificati da Scotland Yard. Giusto per dare un’idea di serietà. È noto che la distanza attuale, 42,195 km, è datata 1908 ed è un inchino alla nobiltà: l’arrivo fu spostato di 352 metri per farlo coincidere col palco reale, ma un conto è pensare a una leggenda a cinque cerchi, un altro è leggere i documenti dell’epoca, messi on line ieri dall’archivio britannico. Dal politecnico di Regent Street: «Chiediamo il permesso per esigenze inderogabili di modificare il conteggio. Quello proposto è più intelligente». Firmato Mr Lupt, con buona pace dell’epica. Le Olimpiadi sono costruite sulle parole, scambi infiniti, lettere, documenti, fogli sottolineati e paragrafi cerchiati per trovare soluzioni. Fantasmi di carta che rievocano più di 100 anni di storia. Dalla prima Olimpiade moderna a Londra 2012, gli archivi nazionali britannici mettono on line un tesoro (nationalarchives.gov.uk). Si scopre che Mosca 1980 non aveva nessuna possibilità di evitare il boicottaggio «sarebbe del tutto inappropriato che gli atleti britannici sfilassero in quello stadio», il telegramma arriva dagli uffici del primo ministro inglese, rimbalza per le varie sedi degli Affari Esteri americani e ritorna dall’ambasciata olandese con frasi sempre più risolute. Non c’è mai il tentativo di trovare un’alternativa, quella linea morbida che emerge dai telegrammi del 1935. Un anno prima dei Giochi nazisti in tanti pensavano di starsene a casa, dall’ambasciatore inglese a Berlino arrivano analisi sulla «questione ebraica», risposte allarmate e una serie di domande. Ma è lo stesso diplomatico a suggerire la calma: «La Germania ha investito molto, si dice pronta ad aprire il mondo, Hitler di certo userebbe il boicottaggio per la sua propaganda. E non c’è certezza che senza di noi i Giochi non abbiano luogo». Il punto è che gli altri preferirebbero andarci, «lasciare allo sport e al messaggio olimpico il suo spazio indipendentemente da quel che succederà tra gli i governi». L’America spedisce in Europa una relazione di un membro del comitato olimpico che assicura: «Gli atleti ebrei saranno trattati come gli altri, potranno gareggiare». La Gran Bretagna ci prova timida suggerendo una rivolta dal basso: «Se la rinuncia partisse dagli atleti, senza coinvolgere le cariche di stato...». La risposta arriva mesi dopo e non è diretta: «Il nostro uomo in Germania, il generale Sherrill, ha chiesto prove di buona volontà e il comitato olimpico tedesco ha incluso in squadra due atlete di origini ebraiche». La buona volontà non calma l’opinione pubblica. L’ultimo fremito esce da un articolo della Washington Post allegato a un appunto, «continua la polemica sulla partecipazione statunitense». Finisce lì, tra pensieri lasciati a metà e richieste di coraggio barattate con mancanza di certezze. Dagli archivi escono anche fascicoli leggeri, uno dei più divertenti è datato 1908. I Giochi avrebbero dovuto essere in Italia ma l’eruzione del Vesuvio cambia i programmi: i cinque cerchi passano a Londra obbligata a inventarsi in pochi giorni un percorso per la maratona. La distanza che si utilizza ancora oggi, 42,195 km viene fissata lì. Dopo un battibecco fra organizzatori e comitato olimpico internazionale sulla conversione tra metri e miglia e «l’indiscutibile esigenza di mettere l’arrivo sotto il palco reale». Ci sono disegni, mappe scarabocchiate e punti esclamativi che sostengono ragioni assolute. La misurazione definitiva sta su un documento macchiato, chiuso con la resaincondizionata agli incomprensibili calcoli: «Così sia». In assenza di regole il cambio passaporti usciva dalla capacità di persuasione. Erano prima gli atleti a vendersi, poi i comitati a sostenere la causa e le ragioni e i torti si perdevano in «gratitudine alla nuova patria» e altre enfatiche affermazioni. «Respinto», «Accettato», bolli e firme. Paccottiglia burocratica, ma basta grattare dietro i francobolli per capire il bisogno di cambiamento. A ogni edizione un retroscena fino a Barcellona 1992 dove sono solo notizie di record «di nazioni», «di atleti», «di biglietti venduti». Per i segreti dei Giochi globali bisogna aspettare.