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 2012  maggio 17 Giovedì calendario

QUELLE ACCUSE DI OMOSESSUALITÀ CHE GLI COSTARONO IL POSTO AL GIORNALE DELLA CEI


Nel gergo giornalistico è noto come il “caso Boffo”. Nel linguaggio politico si utilizza di preferenza la locuzione “metodo Boffo” per indicare la diffusione di notizie da parte delle cosiddette “macchine del fango”.
Tutto era partito sul settimanale Panorama che, all’inizio del 2008, aveva pubblicato la notizia della vicenda che aveva riguardato Dino Boffo, allora direttore del quotidiano della Conferenza episcopale italiana, Avvenire. Pochissime righe in cui si riportava «una voce incontrollata su una presunta condanna penale di Boffo per molestie. Panorama è andato a verificare, per scoprire che si tratta di una modesta ammenda di 516 euro con decreto penale del 9 agosto 2004 del tribunale di Terni a norma dell’art. 660 del Codice penale (molestia o disturbo alle persone in luogo pubblico). Quanto basta però per inquinare un clima già abbastanza avvelenato.
Un fatto troppo interessante perché potesse sfuggire a Dagospia, che lo aveva ripubblicato e diffuso in rete. Poi, non se n’era saputo più nulla,né la vicenda aveva suscitato particolare clamore. Era stato necessario che il 28 agosto 2009 il Giornale, allora diretto da Vittorio Feltri, sparasse la storia in prima pagina, per creare un caso nazionale e internazionale, coinvolgendo addirittura i rapporti fra la Santa Sede e il governo italiano, allora presieduto da Silvio Berlusconi, editore-ombra del quotidiano di via Negri, da cui si era originato tanto scandalo. Feltri aveva rincarato la dose, nell’editoriale in cui parlava di come Avvenire avesse «messo mano al piccone per recuperare materiale adatto a creare una campagna moralistica contro Silvio Berlusconi, accusato di condurre un’esistenza dissoluta in contrasto con l’etica richiesta a una persona che ricopra incarichi istituzionali». Perciò per il giornalista bergamasco era giunto il momento di «smascherare» quelli che definiva «moralisti privi di titoli idonei» e questo «affinché i cittadini sappiano da quale pulpito vengono certe prediche». E concludeva: «Se i vescovi hanno affidato al direttore Boffo il compito di loro portavoce si sono sbagliati di grosso, non perché lui non abbia capacità tecniche, bensì perché è privo dei requisiti morali per fare il moralista o per recitarne la parte».
Pochi giorni dopo, Boffo si dimetteva dalla direzione del quotidiano dei vescovi, parlando di «killeraggio giornalistico allo stato puro». Nella sua prima ricostruzione, non si trattava di null’altro che di «una vicenda di fastidi telefonici consumata nell’inverno del 2001, e della quale ero stato io la prima vittima».
Quel che non stava scritto nelle carte processuali, in effetti, era che l’ex direttore di Avvenire fosse un «noto omosessuale attenzionato dalla polizia». Tutto il resto della “velina” uscita nel 2009 corrispondeva al vero, cioè il processo al tribunale di Terni, disposto il 9 agosto del 2004 in base all’«articolo 660 del Codice penale, molestia alle persone» e anche la «condanna originata da più comportamenti posti in essere dal dottor Dino Boffo dall’ottobre del 2001 al gennaio 2002, mese quest’ultimo nel quale, a seguito di intercettazioni telefoniche disposte dall’autorità giudiziaria, si è constatato il reato».
L’incidente, che poi portò alla sospensione di Feltri dall’Ordine dei Giornalisti, era stato causato da quella parte non desunta dai documenti, in cui si indicava che «Boffo è stato a suo tempo querelato da una signora di Terni destinataria di telefonate sconce e offensive e di pedinamenti volti a intimidirla, onde lasciasse libero il marito con il quale il Boffo, noto omosessuale già attenzionato dalla Polizia di Stato per questo genere di frequentazioni, aveva una relazione». Sarebbe stato più prudente saltare quella frase e, dopo un breve omissis, riportare che «rinviato a giudizio il Boffo chiedeva il patteggiamento e, in data 7 settembre del 2004,pagava un’ammenda di 516 euro, alternativa ai sei mesi di reclusione. Precedentemente il Boffo aveva tacitato con un notevole risarcimento finanziario la parte offesa che, per questo motivo, aveva ritirato la querela...».
Da parte di Boffo, comunque, non era partita nessuna azione legale nei confronti del direttore del Giornale. In seguito, i due avevano anche pranzato insieme e Feltri aveva porto le proprie scuse al collega, riconoscendo il proprio errore. Da parte sua, Boffo non aveva smesso di cercare il mandante di quell’operazione. Era convinto che si trattasse di un complotto, ordito in Vaticano e partito dal quotidiano della Santa Sede, L’Osservatore Romano. Ormai, però, quella cosiddetta “informativa” era divenuta una specie di catena di sant’Antonio. Circolava da troppo tempo ed era finita su troppe scrivanie per poter risalire con certezza al primo mittente.

Andrea Morigi