GLAUCO FELICI, La Stampa 16/5/2012, 16 maggio 2012
Carlos Fuentes quando il Messico faceva boom - Lo scrittore messicano Carlos Fuentes, è morto ieri a 83 anni in una clinica di Città del Messico, dove era ricoverato per problemi cardiaci
Carlos Fuentes quando il Messico faceva boom - Lo scrittore messicano Carlos Fuentes, è morto ieri a 83 anni in una clinica di Città del Messico, dove era ricoverato per problemi cardiaci. Il presidente Felipe Calderón è stato tra i primi a rilanciare la notizia via Twitter. Fuentes, nato a Panamá nel 1928, era figlio di un diplomatico ed era stato anch’egli ambasciatore in Francia. Autore di oltre 20 romanzi, aveva ricevuto nell’87 il premio Cervantes. Amico di Gabriel García Márquez, aveva sceneggiato con lui nel 1965 il film il Gallo d’oro . *** Aveva annunciato da poco la conclusione del nuovo romanzo, Federico en su balcón : si sarebbe dovuto intitolare così, o pressappoco. Federico, non Lorca come verrebbe da pensare, ma Nietzsche: «È resuscitato, appare a un balcone alle cinque del mattino, e io inizio una conversazione con lui». E intanto, già era tutto pronto per dare vita a un altro libro, El baile del Centenario , in cui avrebbe ricostruito dieci anni di vita del Messico, dal 1910 al 1920. Il suo Messico, passione costante di una vita di grandi viaggi: era però nato nel 1928 a Ciudad de Panamá, dove il padre era incaricato di affari del governo messicano. I primi anni della sua vita trascorrono in molti luoghi d’America, Santiago del Cile, Montevideo, Buenos Aires e Washington: qui, dove rimane fino al 1940, apprende che il Messico ha nazionalizzato il petrolio, e ciò sarà il segnale della sua «diversità» di latinoamericano nei confronti del mondo occidentale, sarà la scoperta della diffidenza e dell’ostilità determinate da ragioni etniche e culturali. Stabilitosi in Messico, studia Giurisprudenza e frequenta gli ambienti «bene»; si laurea a Ginevra nel 1951, torna in patria e assume incarichi nell’amministrazione statale. Il 1958 è anno importante, quello in cui pubblica il primo romanzo, La región más transparente (in italiano, L’ombelico della luna ), incentrato sull’analisi dell’identità messicana, in linea con le scelte dell’altro grande messicano, il Nobel Octavio Paz. L’anno dopo, pubblica Las buenas conciencias , rispettoso delle convenzioni letterarie correnti, e poi poco amato dall’autore. È lo stesso anno del matrimonio con l’attrice messicana Rita Macedo, da cui divorzierà dieci anni dopo, e da cui avrà la figlia Cecilia. Accade che Carlos Fuentes si trovi a far parte (in posizione prevalente, di grande spicco) della pattuglia di scrittori latinoamericani che negli anni tra Cinquanta e Sessanta dà vita al fenomeno del boom: una narrativa di segno nuovo, di profonda intensità e notevole immediatezza in cui il nome di Fuentes si accompagna a quelli di Gabriel García Márquez, Mario Vargas Llosa, Julio Cortázar, José Donoso e tanti altri. La sua posizione politica, vicina al marxismo, gli costa il rifiuto del visto per gli Stati Uniti, fino al 1969. Ma intanto ha preso a viaggiare per l’Europa, e scrive libri fondamentali. Uno è Artemio Cruz (1962, La morte di Artemio Cruz ), storia del Messico attraverso le vicende di un ex rivoluzionario che cambia parte. E poi, Aura (1962), Cambio di pelle (1967) che riceve il premio «Biblioteca breve» della casa editrice Seix Barral. Sono opere di non semplice approccio, mostrano una profondità di analisi sul reale e sui sentimenti che costringono alla riflessione. Negli anni Settanta, quando la passione castrista di molti scrittori si affievolisce dopoil «caso Padilla», Fuentes si dedica al giornalismo, con posizioni di costante apertura democratica. Nel 1973, nuovo matrimonio, con la giornalista Silvia Lemus. E poi, due anni dopo, il capolavoro, Terra nostra (che malgrado il titolo italiano non è ancora stato tradotto da noi), ancora rivolto ai problemi della cultura e dell’identità messicane. Negli anni Ottanta Fuentes visita il mondo, è professore in innumerevoli università, vince (nell’87) il prestigioso premio Cervantes. Intanto continua la scrittura dei suoi romanzi, fino a El naranjo (racconti, 1993, L’albero delle arance ), in cui si afferma che è il libro con cui si chiude il ciclo narrativo che lo stesso Fuentes ha voluto chiamare «l’età del tempo». Ma fino ad arrivare ai suoi 83 anni, Fuentes è riuscito a donare ai suoi lettori tanta buonissima letteratura, fino al recente Adán en Edén , una storia stralunata in cui il capo del governo si allea con i delinquenti più efferati: «Il narratore è un uomo d’impresa molto potente, che vede il Paese minato sempre più dai narcotrafficanti, attraverso forme diverse di corruzione, e decide di vincere i narcotrafficanti e i criminali nel loro stesso gioco, diventando più criminale di loro». Una metafora, forse, di inquietante attualità, che rende con chiarezza come Fuentes ragionasse al di fuori degli schemi, e con una propria singolare acutezza. Lo si vede anche, ad esempio, in La voluntad y la fortuna , la cui traduzione italiana esce in queste ore presso il Saggiatore con il titolo Destino , dove su una spiaggia messicana le onde lambiscono una testa mozzata, la cui lingua continua a parlare, perché vuole andare in cerca del proprio corpo. In altri campi, quello della letteratura che tanto gli stava a cuore, è stato sempre di una esplicita chiarezza: «Non ho nessuna paura letteraria», affermava pochi giorni fa in un’intervista che potrebbe quasi sembrare un suo elegante testamento; un esempio di ciò si trova nel recente saggio La gran novela latinoamericana , dove passa in rassegna la letteratura di lingua spagnola, ma non cita il cileno Roberto Bolaño. Confessa di non averlo letto, e di non amare di scrivere su ciò che non conosce. C’è da immaginare che Fuentes fosse legato a una sua concezione della letteratura, in cui a lui era toccato un posto da gigante, e per altri nuovi scrittori, magari, poteva esserci posto soltanto in seconda fila.